Ezio Tarantelli: il lavoro come partecipazione

Abstract

Ezio Tarantelli, probabilmente il più importante economista del lavoro italiano, ha dedicato la sua breve vita, tragicamente spezzata da un agguato terroristico, all’obiettivo di una piena e libera partecipazione del lavoro – attraverso il sindacato – alla gestione dell’economia e della società, in pieno accordo con l’articolo 3 della Costituzione. I suoi studi sulla curva di Phillips, realizzati in collaborazione con Franco Modigliani, hanno dimostrato la subottimalità della politica monetaria come strumento di lotta alla stagflazione ed evidenziato – all’opposto – il forte ruolo del sindacato nell’orientare le aspettative e dare credibilità agli annunci di disinflazione. La sua proposta di concertazione governo-parti sociali dell’inflazione e della politica dei redditi, basata sullo studio comparato dei sistemi di relazioni industriali, ha profondamente influenzato i patti sociali del 1983 (Lodo Scotti), 1984 (San Valentino) e soprattutto 1993 (Protocollo Ciampi), che hanno consentito all’Italia il rientro dall’inflazione, la ripresa dalla crisi del 1991-92 e l’adesione all’euro.

1. Ezio Tarantelli (Roma 1941 – ivi 1985), figlio di Amerigo e di Fernanda Panzironi, si laureò nel 1965 in Economia e commercio all’università La Sapienza di Roma[1]. Dopo la laurea entrò come funzionario nel Servizio studi della Banca d’Italia contribuendo, sotto la supervisione di Carlo Azeglio Ciampi, alla costruzione del grande modello econometrico M1BI con un’interpretazione tuttora rilevante della produttività e dei salari nell’industria. Perfezionò la sua preparazione nelle due Cambridge: in Gran Bretagna sotto la guida di Joan Robinson, e negli Stati Uniti con Robert Solow e Franco Modigliani. Con quest’ultimo instaurò un duraturo e fruttuoso sodalizio intellettuale, realizzando affinamenti analitici della curva di Phillips e un importante lavoro sulla distribuzione del reddito. Negli Stati Uniti conobbe la futura moglie, Carole Beebe.

Docente incaricato di Economia del lavoro presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano (1971-75), divenne assistente ordinario di Politica economica e finanziaria presso la Sapienza, nel 1976 professore ordinario di Politica economica presso la facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” di Firenze e nel 1983 ordinario di Economia politica presso la Sapienza.

Tenne corsi di Relazioni industriali al Mit, all’università della California-Los Angeles e all’Istituto universitario europeo di Firenze e di Econometria alla Luiss di Roma. Stretto collaboratore del Segretario generale della Cisl Pierre Carniti, nel 1981 divenne Presidente dell’Istituto per gli studi dell’economia del lavoro (Isel) costituito dal sindacato per favorire i suoi studi e in particolare lo sviluppo del modello econometrico Mo.Me.L. (Modello del Mercato del Lavoro). Dal 1981 al 1983 fece parte, con Aris Accornero, Mario Tronti, Rita Di Leo, del gruppo redazionale della rivista “Laboratorio politico”.

Tra i maggiori studiosi italiani di neocorporativismo, nel 1981 elaborò la proposta di predeterminazione dell’inflazione e della scala mobile (il sistema di indicizzazione dei salari all’inflazione allora vigente), in un quadro di concertazione sociale della politica dei redditi e di piena occupazione. Il suo impianto offrì il fondamento teorico all’accordo sul costo del lavoro del 22 gennaio 1983 (Lodo Scotti) e, più ancora, al patto sociale del 1993 (Protocollo Ciampi[2]). Il 27 marzo 1985, al termine di una lezione alla Sapienza, fu assassinato da due terroristi. L’assassinio fu rivendicato dalle Brigate Rosse con un documento di settanta pagine nel quale veniva attaccato per il ruolo di consulente negli accordi di predeterminazione della scala mobile. Opere principali: Studi di economia del lavoro (1974), Il ruolo economico del sindacato (1978), Economia politica del lavoro (1986), L’utopia dei deboli è la paura dei forti (a cura di R. Filosa e G. M. Rey, 1988), La forza delle idee (a cura di B. Chiarini, 1995).

2. Nel caso di Tarantelli, risulta impossibile separare il ruolo di scienziato alla ricerca di un’analisi tecnica del mercato del lavoro adeguata, aggiornata e confermata dai dati, da quello di attore, consigliere del sindacato ma impegnato in prima persona nella proposta di politica economica[3]. Questo suo doppio ruolo caratterizza la qualità e l’ampiezza della sua ricerca scientifica e, al tempo stesso, la sua visione del lavoro e del suo ruolo nell’economia contemporanea.

Tarantelli ritaglia per se stesso il ruolo di “economista politico del lavoro”, come evidenzia il titolo della sua opera maggiore (pubblicata postuma) (Tarantelli 1986). Nella sua ricerca, infatti, il lavoro non compare soltanto come attività produttiva, condizione sociale che caratterizza qualità e trasformazioni del sistema economico, forza che muove i consumi e anche gli investimenti. Ma compare inoltre come forza collettiva, politica e sociale, che si esprime come «base operaia» in continuo dialogo non solo con l’impresa e con il sindacato (l’istituzione che la rappresenta); ma anche, attraverso il sindacato, con il sistema delle imprese e con lo Stato[4].

Inoltre, con riferimento ai suoi effetti in ambito economico, sociale e politico, nell’opera di Tarantelli il lavoro ricomprende il lavoro non retribuito e il non-lavoro il cui sostentamento dipende, nell’ambito del nucleo familiare, dalla remunerazione del lavoro stesso: non solo le persone che ne accudiscono gratuitamente altre, quelle che cercano un’occupazione o che non lo cercano più perché scoraggiate, ma anche le persone invalide o gli anziani con un reddito insufficiente. Sul lavoro organizzato in termini di soggetti collettivi (base operaia, sindacati, movimento operaio in senso lato) ricade pertanto la responsabilità politica di rappresentare nel conflitto industriale anche gli interessi di coloro le cui condizioni di vita dipendono dalla remunerazione degli occupati.

3. Nei brevi anni della sua attività di studioso e prolifico pubblicista, l’opera di Tarantelli si costruisce a partire dall’analisi di alcuni snodi problematici fondamentali. Il primo è l’emergere del conflitto sociale e sindacale nella seconda metà degli anni ’60. Tarantelli critica l’analisi monetarista, che tende ad addossare l’insorgenza e la simultaneità del conflitto nei paesi sviluppati all’espansione della spesa pubblica americana necessaria a finanziare la guerra in Vietnam, alimentata da un’eccessiva creazione di moneta. Nel regime di cambi fissi definito a Bretton Woods (che gli Stati Uniti abbandoneranno nel 1971), l’inflazione americana si sarebbe trasmessa automaticamente alle altre economie del sistema monetario, comportando una riduzione del potere d’acquisto dei salari. Da qui la forte reazione sociale e sindacale di cui sarebbe simbolo il maggio francese.

Ma Tarantelli nota che nelle economie avanzate l’ondata inflazionistica si registra solo dopo il 1971. E poiché il conflitto si era manifestato assai prima (nel 1964 negli USA, nel 1968 in Europa), esso va spiegato non con l’espansione monetaria, ma attraverso l’ipotesi del “salto generazionale” legato allo school-boom e al baby-boom delle generazioni nate dopo la fine della guerra (Tarantelli 1986, 462-90). Questi giovani, ormai usciti dal clima di pacificazione sociale postbellica, nei paesi occidentali e in Giappone entrano in urto con le generazioni al potere nell’economia e nella società, più anziane, meno numerose e mediamente meno scolarizzate. Il conflitto coinvolge la qualità, il numero e la remunerazione dei posti di lavoro e dei ruoli professionali offerti. Per questo si estende con facilità dai giovani al lavoro organizzato: anzitutto alla base operaia meno qualificata, quindi a tutto il sistema occupazionale.

4. Con gli shock petroliferi del 1973 e 1979, l’inflazione esplode in Italia così come in tutte le economie avanzate, e ad essa si accompagna una fase di stagnazione economica (la stagflazione). Tarantelli evidenzia la possibilità di un ruolo esplicito e rilevante del sindacato nel rientro dalla stagflazione. L’affinamento della teoria della curva di Phillips (la relazione macroeconomica tra inflazione e disoccupazione), condotto negli anni con Modigliani mette in evidenza, da un lato, il ruolo delle aspettative di inflazione nella determinazione dell’inflazione effettiva, dall’altro, che la forza negoziale del sindacato (approssimata dalla percentuale dei lavoratori i cui contratti vengono rinnovati alla scadenza) costituisce un elemento di garanzia della credibilità di un annuncio sull’inflazione futura capace di influenzare le aspettative degli operatori economici (Tarantelli 1988, 345-472).

In mancanza di un ruolo unitario, esplicito e forte del sindacato nella moderazione delle aspettative di inflazione, si verifica l’impossibilità – o almeno la forte subottimalità – di una manovra di rientro dalla stagflazione attraverso la sola restrizione monetaria. Il rischio non è soltanto di accentuare la stagnazione, ma che la restrizione porti a una traslazione della curva di Phillips tale da trasformarne il percorso in una «curva boomerang» per i lavoratori: una situazione in cui, come effetto della scalata dei prezzi, la disoccupazione aumenta proprio nel momento in cui la decurtazione e non l’aumento del potere d’acquisto dei salari è maggiore (Tarantelli 1978, 159-73).

5. Nel 1975 l’accordo stipulato tra le organizzazioni sindacali e degli imprenditori (Patto Lama-Agnelli) introduce una correzione del sistema di indicizzazione dei salari all’inflazione: la cosiddetta scala mobile unificata. Al crescere dei prezzi al consumo, ogni lavoratore avrebbe ricevuto la stessa somma in lire, indipendentemente dal suo salario (il cosiddetto punto unico, parametrato al livello superiore degli importi precedenti l’accordo). Ma in presenza di tassi di inflazione a due cifre la conseguenza è un rapido appiattimento dei differenziali salariali cui si accompagna un’ondata di conflitti a livello aziendale che, nel tentativo di ripristinare le “giuste relatività” salariali, accelera la spirale inflazionistica.

La scala mobile, inoltre, rendeva molto difficile abbattere le aspettative sui prezzi. Come qualsiasi sistema di indicizzazione, essa era legata non ai prezzi attesi, ma agli aumenti del trimestre precedente. Nonostante la moderazione delle richieste avanzate dai sindacati nel rinnovo contrattuale del 1976, la scala mobile tendeva a riprodurre automaticamente nel trimestre corrente il già alto tasso di inflazione del trimestre precedente, indipendentemente da qualunque annuncio della banca centrale. Potenziava replicandole nel tempo, con una sorta di ‘effetto eco’, tutte le fonti d’inflazione: non solo il prezzo del petrolio e le svalutazioni del tasso di cambio, ma anche gli aumenti delle imposte indirette e delle tariffe pubbliche. «Nel 1976, il nuovo sistema adeguava i salari industriali all’aumento dei prezzi al consumo del trimestre precedente in misura superiore al 90 per cento» (Tarantelli 1986, 371).

6. Il 24 gennaio 1978, poche settimane prima che i millecinquecento delegati sindacali riuniti nell’assemblea convocata dalla Federazione unitaria Cgil-Cisl-Uil sancissero, con la “svolta dell’Eur”, una linea di collaborazione alla «politica dei sacrifici» proposta dal segretario del Partito comunista Enrico Berlinguer per fronteggiare la stagflazione, Luciano Lama, intervistato da Eugenio Scalfari, dichiarava che ormai, in un’economia aperta, né il profitto, né il salario o l’occupazione, potevano essere considerati variabili indipendenti. L’affermazione del Segretario della Cgil, in contrasto con il noto risultato di Piero Sraffa (1960), relativo ad un’economia con lavoro omogeneo, trovava in Tarantelli (1988, 291-302) un importante sostegno teorico. In un’economia con lavoro non omogeneo, la distribuzione primaria del reddito aperta agli esiti del conflitto industriale, caratteristica del modello sraffiano, viene «chiusa» con la funzionalità del «cordone ombelicale» che trasferisce il risparmio dei lavoratori all’investimento, assicurando la piena occupazione. Tuttavia, se il salario reale supera le capacità di questo cordone ombelicale, l’investimento cade al di sotto del tasso di sviluppo di pieno impiego e, «di conseguenza, l’occupazione deve, prima o poi, cadere. Si torna ad un effetto che, nel lungo periodo, riproduce la nostra curva boomerang» (Tarantelli 1986, 437).

Nel frattempo, l’inflazione continuava a crescere e il salario medio cresceva anche più: nel 1980 la prima è al 21 per cento e l’anno dopo, nonostante un ridimensionamento al 18 per cento, il secondo aumenta del 24 per cento. Il 14 aprile 1981 Tarantelli avanza sulle colonne di ‘Repubblica’ la sua proposta di predeterminazione concertata della scala mobile (Tarantelli 1995, 115-17, 118-19).

Non propone affatto, come talvolta è stato scritto, l’abolizione della scala mobile; e nemmeno la riduzione del suo grado di copertura dell’inflazione. Propone che, invece di adeguare il salario all’inflazione del trimestre precedente, il raffreddamento dell’inflazione avvenga «sulla base di un profilo del numero dei punti di scala mobile decrescente nel tempo, concordato dalle parti sociali, con conguaglio a fine anno a carico delle imprese per la differenza tra il numero dei punti concordati e i punti effettivamente scattati», in modo da garantire comunque sia il potere d’acquisto dei salari sia il grado di copertura vigente. In questo modo, il trascinamento al futuro dell’inflazione passata si verifica solo al momento dell’eventuale conguaglio finale (di importo sperabilmente molto modesto), mentre salari, fisco e prezzi, sindacati, imprese e governo, condividono e annunciano insieme a tutti gli agenti economici gli stessi espliciti obiettivi di raffreddamento.

7. Il 22 gennaio 1983, al termine di una trattativa durata un anno e mezzo, Vincenzo Scotti, ministro del Lavoro del governo Fanfani, porta a termine l’accordo che va sotto il suo nome. Per la prima volta vengono fissati obiettivi di inflazione condivisi trilateralmente da governo, sindacati confederali e Confindustria: 13 per cento per il 1983 e 10 per cento per il 1984. Il grado di copertura della scala mobile viene però tagliato del 15 per cento e la contrattazione aziendale è bloccata per due anni, senza alcun tipo di conguaglio. Se il patto evita di fissare un profilo decrescente della scala mobile coerente con gli obiettivi annuali di disinflazione, affronta però molti altri temi. La compensazione del sacrificio salariale è affidata a miglioramenti in tema di rinnovi contrattuali, fisco, assegni familiari, assistenza sanitaria, tariffe e prezzi amministrati, e altro.

Tarantelli, anche grazie agli stimoli di Philippe Schmitter, lo scienziato politico americano suo collega all’Istituto Universitario Europeo, aveva nel frattempo approfondito il tema del neocorporativismo, con studi di comparazione internazionale dei sistemi di relazioni industriali che troveranno la più completa espressione nell’opera postuma “Economia politica del lavoro” (Tarantelli 1986). Il neocorporativismo, nella terminologia degli studiosi di scienze politiche, è la forma di governo delle relazioni industriali presente in alcuni paesi europei (Austria, Germania, Paesi Bassi e Paesi Scandinavi) nonché in Giappone, in cui il parlamento affida in parte più o meno rilevante la determinazione dei contenuti della politica economica e sociale all’accordo fra le parti direttamente interessate (associazioni sindacali e padronali), con la mediazione del governo in funzione di rappresentante degli interessi collettivi.

Nella visione di Tarantelli (1995, 144-47, 149-51), il neocorporativismo implica il pieno coinvolgimento del sindacato nella politica economica, la centralizzazione della contrattazione e dell’organizzazione sindacale, la garanzia del rispetto degli accordi presi e la capacità da parte del sindacato unitario di concludere accordi di «scambio politico». È questo «ciò che distingue nettamente le esperienze neo-corporative in atto nelle società occidentali dalla storia, per noi così amara, del corporativismo fascista: (…) l’assoluta indipendenza del sindacato come soggetto attivo della politica economica dal sistema dei partiti e dal governo» (1995, 150). Lo scambio è possibile solo se il sindacato diventa soggetto politico unitario (per le questioni che lo interessano) e si libera del tutto dal ruolo di “cinghia di trasmissione” delle politiche dei partiti. All’accordo Scotti manca, dal punto di vista del sindacato, la capacità di dare vita a un vero e proprio scambio politico, basato su di un progetto unitario e concreto.

8. La fragilità delle basi politiche degli esperimenti di concertazione si manifesterà in modo palese con il fallimento del successivo tentativo di patto sociale condotto nel 1984 da Bettino Craxi, che sostituisce Fanfani alla guida del governo. Tarantelli è coinvolto nelle trattative e riesce a far passare la predeterminazione dei punti di scala mobile ma non il conguaglio in capo alle imprese e/o allo Stato. Soprattutto non riesce a far passare l’idea che, oltre che unitario, il sindacato dev’essere un soggetto politico autonomo, legittimato e capace di disegnare e portare a termine uno scambio politico con il governo, le imprese e (implicitamente) la banca centrale. La trattativa dura a lungo e il testo dell’accordo transita tra le segreterie sindacali e politiche fino al 7 febbraio, quando giunge in prossimità della firma. Esso prevede la predeterminazione degli scatti di scala mobile nel quadro di un processo di disinflazione concordato trilateralmente. Ai lavoratori è chiesto di accettare per il 1985 un profilo di maturazione della scala mobile ridotto di quattro scatti rispetto a quello tendenziale, a fronte (in assenza di conguaglio) di una corposa contropartita fatta di provvedimenti fiscali e sterilizzazione del drenaggio fiscale, governo di tariffe, prezzi amministrati ed equo canone in linea con l’obiettivo di inflazione e altri provvedimenti a favore del lavoro.

Ad accordo praticamente concluso, il Partito comunista impone però alla Cgil di fermarsi: se Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto avevano ricevuto da Cisl e Uil mandato per la firma, e Ottaviano Del Turco l’assenso della componente socialista della Cgil, Luciano Lama annuncia invece la contrarietà della maggioranza della Cgil. Le motivazioni di Berlinguer, che ha richiamato Lama alla disciplina di partito, sono politiche, non tecniche: il sindacato non è un soggetto politico autonomo e non è autorizzato a trattare accordi di politica economica direttamente con il governo, a maggior ragione quando quest’ultimo non abbia ricevuto mandato dal Parlamento (Carniti 2019, 121-39)[5]. Il 14 febbraio Craxi, con l’assenso di Cisl e Uil, procede comunque per decreto; ma l’opposizione del Partito comunista manda in frantumi l’unità sindacale faticosamente costruita nei dodici anni precedenti.

Tarantelli, dato il fallimento dell’ipotesi di scambio politico, rifiuta ogni paternità del decreto[6]. Anche dopo l’approvazione parlamentare (che comporterà la riduzione da quatto a tre degli scatti di scarto tra scala mobile programmata e tendenziale), il dibattito sul decreto resta rovente. Il Partito comunista indice un referendum per abrogarlo, ma Berlinguer non ne vedrà l’esito: colpito da un ictus viene a mancare l’11 giugno 1984. Il 27 marzo 1985 muore anche Tarantelli in un agguato terrorista. Il 9 e 10 giugno, il referendum è vinto dal no con un distacco di 8,6 punti percentuali.

9. Se la teorizzazione della piena e responsabile partecipazione del lavoro alla definizione e all’attuazione della politica economica e sociale attraverso un sindacato unitario e autonomo dalle forze politiche, e per questo capace di scambio politico con il governo, costituisce il contributo fondamentale di Tarantelli allo sviluppo della democrazia sociale del nostro Paese (finora ben lontana da una piena attuazione), la sua visione di economista politico del lavoro coinvolge anche molti altri temi di grande rilievo, tra i quali il rapporto tra consumi e investimenti, il neocorporativismo decentrato, lo sviluppo dell’economia dell’informazione e l’idea, decisamente originale, di porre la lotta alla disoccupazione a fondamento della moneta unica.

Per ragioni di spazio ci limitiamo a quest’ultima idea. Tarantelli avanza la proposta dello «scudo dei disoccupati» poco prima della tragica scomparsa, quando l’euro non è ancora nato, ma esiste l’ecu, l’unità di conto propria del Sistema monetario europeo. La sollecitazione – rivolta in particolare a sindacati e partiti di sinistra europei – è quella di dotare il Fondo sociale europeo di un finanziamento in ecu commisurato al reddito medio e al tasso di disoccupazione della Comunità (1988, 567-81). Ad esso gli Stati membri potranno attingere, in proporzione al loro tasso di disoccupazione, per finanziare esclusivamente «sussidi di disoccupazione, lavoro ai giovani, programmi di addestramento professionale o agenzie del lavoro». In questo modo, oltre agli effetti diretti di queste misure, la domanda interna, il cui sviluppo è l’unica via percorribile per accrescere l’occupazione, verrà sostenuta contemporaneamente in tutti i paesi europei dall’acquisizione di moneta di riserva internazionale, senza alcun appesantimento dei rispettivi vincoli esterni. Lo “scudo dei disoccupati” costituirebbe la base sociale ed economica sperimentale su cui edificare la moneta unica.

In conclusione, lo scopo che si prefigge l’«economia politica del lavoro» di Tarantelli è di trasformare i lavoratori, attraverso un sindacato libero, unito e autonomo dai partiti, in protagonisti fondamentali della politica economica, coscienti del proprio ruolo di promotori dello sviluppo economico e sociale. Scrive Keynes nel 1936: «In realtà, se ogni volta che l’occupazione fosse inferiore al pieno impiego il lavoro dovesse (…), tramite un’azione concertata, accettare di ridurre le proprie domande monetarie, (…) noi avremmo che, in effetti, il controllo degli aggregati monetari verrebbe esercitato non dal sistema bancario ma dai sindacati, allo scopo di raggiungere il pieno impiego» (Keynes, 1936, 267). Tarantelli elabora il fondamento teorico e le caratteristiche di quell’«azione concertata» che, tramite il sindacato, può liberare il lavoro dagli ostacoli (eminentemente politici e culturali) che gli impediscono di concorrere, insieme al governo, alla banca centrale e alle imprese, a produrre il bene pubblico della stabilità del valore della moneta, dei salari e dei prezzi (Tarantelli 1986, 81), e quindi dell’occupazione. Un bene pubblico che, nel caso della stagflazione degli anni ’80, né il mercato né la politica monetaria riuscivano ad assicurare.

L’economia politica di Tarantelli ritaglia quindi per il lavoro un ruolo di partecipazione cosciente alla politica economica e sociale del Paese, in profonda coerenza non soltanto con l’articolo 1 della Costituzione, che lo pone a fondamento della Repubblica, ma anche, e soprattutto, con il progetto di tutela dell’uguaglianza e della libertà sancito dall’articolo 3 allorché proclama che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli (…) che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Se la Costituzione delinea i fondamenti di diritto della partecipazione del lavoro allo sviluppo della Repubblica, l’economia politica di Tarantelli ne disegna alcuni fondamentali snodi concreti che, con il passare degli anni appaiono, se possibile, sempre più rilevanti.

Bibliografia

Data l’improvvisa e tragica scomparsa, l’opera maggiore di Tarantelli (1986) è stata pubblicata postuma, senza poter godere del suo imprimatur. Anche le raccolte dei suoi principali saggi e articoli scientifici (Tarantelli, 1988) e degli scritti pubblicistici (Tarantelli, 1995) sono state realizzate senza poter contare sulla sua guida.

2016, G. Benvenuto e A. Maglie, Il divorzio di San Valentino. Così la scala mobile divise l’Italia, Roma: Bibliotheka Edizioni.

2019, P. Carniti, Passato prossimo. Memorie di un sindacalista d’assalto, 1973-1985, Roma: Castelvecchi.

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1936, J. M. Keynes, The General Theory of Employment, Interest and Money, Edinburgh: R. and R. Clark.

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1986, E. Tarantelli, Economia politica del lavoro, Torino: Utet. (Del volume esiste anche un’edizione identica con il titolo Economia politica del lavoro e delle relazioni industriali comparate).

1988, E. Tarantelli, L’utopia dei deboli è la paura dei forti. Saggi, relazioni e altri scritti accademici, a cura di R. Filosa e G. M. Rey, Milano: Franco Angeli.

1995, E. Tarantelli, La forza delle idee. Scritti di economia e politica, a cura di B. Chiarini, Roma-Bari: Laterza.

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Fiorito, Riccardo. 1985. “Il contributo di Ezio Tarantelli agli studi di Economia del lavoro”, Rivista Internazionale di Scienze Sociali 93, 3/4: 494-519

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L’autore

Leonello Tronti insegna Economia e politica del lavoro all’Università Roma Tre. È stato Dirigente generale del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio, Segretario generale della Fondazione Giacomo Brodolini, Dirigente di ricerca dell’Istat, Assistente di Ezio Tarantelli all’Isel-Cisl. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche in Italia e all’estero e condirettore della rivista “Economia & lavoro”, è stato presidente dell’Associazione italiana degli Economisti del lavoro (AIEL). Ha insegnato presso la Scuola nazionale dell’amministrazione, le Università La Sapienza, LUISS, G. D’Annunzio (Teramo), (come teaching assistant) Pennsylvania State University.

  1. Sulla figura di Tarantelli e sulla sua vicenda sono fondamentali il libro del figlio Luca (L. Tarantelli, 2013) e il documentario da lui promosso (Repetto, 2010).
  2. Su questo accordo e sulla fedeltà alla proposta di Tarantelli si veda Ciampi (1996).
  3. L’idea iniziale di Tarantelli, il quale peraltro (come da lui riferito personalmente all’autore) aveva rifiutato la proposta di Guido Carli di seguirlo quando lasciò la Banca d’Italia per assumere la guida di Confindustria, era di poter dirigere una struttura di ricerca comune della Federazione Unitaria Cgil-Cisl-Uil. All’inizio sembrò che le tre confederazioni fossero d’accordo, ma assai presto la Cgil cambiò idea (Michelagnoli 2011, 30; Carniti 2019, 67). Così, pur essendo stato accolto da Pierre Carniti alla Cisl, le sue analisi e proposte furono sempre concepite e indirizzate al sindacato confederale come soggetto unitario.
  4. Questa rete di rapporti è esaminata in dettaglio, con riferimento ai diversi paradigmi proposti dagli studiosi del movimento operaio e dagli economisti, in Tarantelli (1978, 3-38) e (1988, 9-51).
  5. Una ricostruzione molto dettagliata dell’intera vicenda del decreto è offerta da Benvenuto e Maglie (2016).
  6. Tarantelli (1995, 162-164). Si veda anche la breve intervista sull’argomento in Repetto (2010).

1 Commento

  1. Gli studi di Tarantelli avevano la base fidelistica di un ruolo sindacale pari ai partiti. Berlinguer rifiuta tale ruolo che ha generato l’accordo di S. VALENTINO e impone ai comunisti della CGIL di rifiutare l’accordo. Colpa dei comunisti la succesiva rottura delle Federazioni Unitarie e il prolungamento degli attriti nei sindacati.
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