Il fascino indiscreto della politica senza qualità

Prima o poi, questo nodo verrà al pettine. Magari i Cinquestelle riusciranno a conservare – a questo turno – il serbatoio di consensi accumulato a dispetto della pattuglia improbabile di candidati presentati. Forse per qualche mese reggerà il clamoroso voltafaccia con cui Di Maio ha sconfessato otto anni di vaffa grillini mettendo sul  –  suo – vessillo un «si accomodi». Però colpisce la fretta con cui commentatori anche esperti e di vaglio sembrano essersi convinti che, in fondo, la conversione dei duri e puri all’italico motto del «Franza o Spagna purché se magna» segni l’inizio di una inesorabile – e augurabile – inclusione istituzionale. Il cui approdo sarebbe una loro incorporazione soft nel governo di una delle più grandi – e più esposte – democrazie occidentali. No. La Storia – con la S maiuscola che, a dispetto delle nostre miserie, esiste ancora – non ha mai fatto di questi sconti.

Nemmeno – si parva licet – con la gloriosa rivoluzione sovietica, che si resse abbastanza bene fin tanto che la leadership – eccezionale – dei bolscevichi poté contare sull’appoggio convinto di un vasto ceto intellettuale e professionale. E naufragò rapidamente appena fu lasciata in balia dell’ideologia. Né era sprovvisto di un solido – solidissimo – retroterra borghese e grande-aziendale il populismo fascista che inaugurò, cento anni fa, l’ondata degli assalti antipolitici al cielo del potere. Figurarsi se basterà qualche tecnico improvvisato e l’uso spregiudicato delle fake news a fare entrare – e restare – i pentastellati nei salotti buoni e nelle stanze dei – pochi – ministeri dove si prendono le decisioni chiave. Perfino il Cavaliere – che certo non era un parvenu e ha governato per quindici anni grazie al suo know-how di imprenditore e la schiera di quadri aziendali e politici selezionati da un entourage di tutto rispetto – venne messo senza complimenti alla porta quando entrò in rotta di collisione col suo ministro plenipotenziario di economia, finanza e tesoro. Una lezione che ha imparato bene, a sentire i comizi con cui sta cercando di riprendere quota.

No. La qualità conta ancora. E conterà sempre di più, per fare funzionare il nostro mondo – al tempo stesso – ipercomunicante e iperspecializzato. La fulminante risposta di Burioni al giornalista candidato grillino che lo sfidava al contraddittorio sui vaccini – «si prenda una laurea e un dottorato, e allora ne riparliamo» – segna lo spartiacque invalicabile tra la capacità di persuasione e quella di soluzione dei problemi. Ed è questa la linea che divide – nel medio e lungo periodo – il merito dall’incompetenza. Una linea che non riguarda solo il fossato tra le elite professionali e i campioni dell’uno vale uno. Ma dovrebbe essere applicata anche, con meno spocchia e più approfondimenti, a quel poco che rimane in campo del ceto professionale di partito. Una categoria che ha fondato la nostra democrazia e che è diventata lo zimbello e il capro espiatorio di qualunque giornalista à la page – o aspirante tale.

Diamo per scontato il declino – talora il degrado – della specie, quasi in via di estinzione. Ma proprio per questo, servirebbe mettere in evidenza – positiva – i casi in cui ancora un candidato riesce a raccogliere in proprio il consenso sul territorio – non solo grazie a una sigla ma attraverso decenni di presenza amministrativa. Anche se il territorio è al Sud. Anzi, proprio se il territorio è il Sud. Evitando di crogiolarsi nell’equazione – francamente, un po’ razzista – che i voti al sud sono tutti clientelari. Magari adoperando come prova una battuta sulla frittura di pesce.

No, non siamo alla vigilia del trionfo della politica senza qualità. Nelle aule di Montecitorio, sbarcheranno un po’ di imboscati. E i più cercheranno di mimetizzarsi. Ma la stoffa farà la differenza. Si è visto perfino sulla scena più leggerina di Sanremo. E’ bastato andarsi a ripescare cantanti capaci di cantare, incuranti dell’età e delle mode. E gli ascolti sono tornati alle stelle. Andrà così anche con il prossimo governo. All’inizio ci sarà molta confusione. Ma proprio per questo è importantissimo tenere alta la guardia – e la coscienza – sulla capacità di distinzione. Sapendo che dipende anche da noi che la qualità venga rapidamente a galla.

(“Il Mattino”, 12 febbraio 2018)

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