Come sempre, la colpa è dei social. Lo stop a vuoto su Astrazeneca, con le sue disastrose conseguenze nella fiducia di milioni di cittadini in lista d’attesa, sarebbe un altro episodio di infodemia. L’impazzimento di notizie infondate che monta via facebook e twitter, generando psicosi di massa incontrollabili. Troppo facile. Certo, la rete ha le sue logiche, spesso illogiche, di distribuzione massiva e pervasiva di notizie. Ma in questo caso, la prima fonte di confusione e disinformazione non è stato il web, ma lo stato. Con le sue tante articolazioni, settoriali e territoriali, tutte accomunate dal medesimo tarlo originario: un colossale deficit digitale. Di cui il disastro organizzativo e comunicativo sui vaccini rappresenta il flop più clamoroso.
L’unico dato che riusciamo a conoscere è quanti vaccini arrivano (su quelli che arriveranno ormai nessuno si fida più dei numeri che continuano a propinarci a dosi alterne). E in che misura le regioni riescono – con molta fatica – a utilizzarli. Ma a chi vengano somministrati, e in base a quali criteri, è un terno al lotto. Basta leggere la lettera accorata di Michele Salvati sul Corriere per avere l’ennesima prova dello sfascio della sanità lombarda perfino nei confronti dei più anziani e fragili dei suoi assistiti. Ma in molte altre regioni i risultati non sono granché migliori. In compenso, se gli ultraottantenni sono lasciati liberi di contrarre in zona cesarini il covid, altre amministrazioni zelantissime hanno – già da due mesi – provveduto a vaccinare giovani psicologi impiegati (come quasi tutti) in qualche azienda di consulenza, ma doverosamente iscritti all’Ordine. Per non parlare delle patologie che dovrebbero rappresentare un fattore di aggravamento del rischio e di cui tutte le asl sono tenute ad avere documentazione puntuale, visto che su questa base si rilascia spesso l’esenzione dai ticket. Sembra, invece, che il compito di segnalarlo su apposito registro presunto informatizzato spetterebbe ai medici di base, ad personam, come se fossero medici condotti di un paesino di cent’anni fa.
Che fotografia ne viene fuori? Un dagherrotipo di un sistema balcanizzato di informazioni sanitarie, senza alcuna centralizzazione e integrazione delle basi dati. L’unica cosa che – per così dire – funziona è il reticolo corporativo e sindacale di associazioni di vario ordine e grado. Docenti – scuola per scuola ed ateneo per ateneo – operatori sanitari – dai medici di pronto soccorso agli amministrativi dei laboratori privati – giornalisti, avvocati e giudici – tribunale per tribunale e testata per testata, fino – si spera – alle aziende con i loro dipendenti (tranne quelli al nero). In pratica, sarebbe bastato che gli ultraottantenni si mettessero insieme sotto qualche sigla e diligentemente compilassero un loro elenco degli affiliati, e avrebbero – quasi – certamente avuto accesso a un qualche titolo di priorità. Fornendo loro alle autorità (in)competenti la lista informatizzata che mancava.
E tutto ciò a un anno e passa dagli esordi disastrosi dei bollettini covid quotidiani gestiti nel più assoluto disprezzo dei più elementari criteri di analisi e rappresentazione statistica. Infatti, al vertice – non fatevi illusioni – purtroppo sono messi ancora peggio. Non c’è stato nessuno in grado di illustrare al Ministro Speranza che la percentuale di trombosi era la stessa – bassissima – di quella registrata nei paesi occidentali in assenza di una campagna di vaccinazione. Ma hanno aspettato che si pronunciasse l’Ema. Col risultato – come ha spiegato tristemente e autorevolmente Galli – che un numero ben maggiore di decessi ce li ritroveremo come conseguenza dei rifiuti di vaccinarsi alimentati dalla disinformazione pubblica.
Commentando con disincanto l’ennesimo piano del Ministro Colao per la digitalizzazione del paese, Riccardo Luna ricordava che di simili buoni propositi è da vent’anni lastricata la via dell’inferno digitale in cui oggi il paese si ritrova. E richiamava giustamente l’attenzione sulla priorità vera, che è culturale: come «far crescere le competenze digitali di almeno trenta milioni di italiani». Davvero una sfida titanica. Per evitare – come diceva Keynes – di rimanere su tempi troppo lunghi morti di infodemia, potremmo cominciare con un corso accelerato per tutti i responsabili pubblici di gestione dei dati sanitari. Per questo governo, così ricco di esperti e tecnocrati, non dovrebbe essere una impresa difficile. Possiamo anche aspettare ancora un poco che arrivino i vaccini per tutti, ma senza fiducia e trasparenza si ammala la nostra democrazia.
di Mauro Calise.
(“Il Mattino”, 22 marzo 2021).
Sono d’accordo sul tema di fondo, un po’meno sui giudizi sulla gestione italiana della pandemia. Suggerirei un tema da approfondire:su covid e sua gestione i media (anche quelli che si pretendono seri) si sono comportati come una D’Urso qualunque. Non sarebbe ora che l’ordine dei giornalisti si dotasse di un codice etico per contrastare un po’ la mala informazione dei social anziché fare loro concorrenza al ribasso? Dopo quasi due anni di enormi cazzate sparate senza sosta h24 forse i giornalisti per primi dovrebbero riflettere sulla enorme quantità di informazioni negate al pubblico o nascoste dal facile gossip sul Covid e dai balletti tra improbabili esperti e scellerati opinionisti.