Game over

Premessa d’obbligo: può ancora succedere di tutto. Se a un comizio presidiato dai servizi ci si può arrampicare su un tetto e sparare da pochi metri al candidato, l’unica certezza è che avremo quattro mesi di paranoia, tutti impegnati a blindarsi a vicenda. Ma sul piano politico è finita. Game over. Simbolicamente, l’immagine di Trump che si rialza sanguinante ed incita i suoi fan mette definitivamente kappao Biden balbettante e attaccato cocciutamente alla sua poltrona. Elettoralmente, quelle frange di elettorato centrista già in bilico per le gaffe del presidente non dovranno turarsi più il naso per preferire il suo oppositore. Se è vero che ha venduto tante frottole, non c’è dubbio che abbia dimostrato di avere anche molto coraggio da vendere.

Oggi tutti i riflettori saranno puntati su Milwaukee, dove si apre la convention repubblicana che nominerà formalmente Trump come candidato per la Casa Bianca. C’è da aspettarsi un tripudio mediatico, che contribuirà ad aumentare il vantaggio del tycoon sul presidente. L’attenzione sarà, ovviamente, concentrata sul discorso di investitura. Non vi saranno novità sui contenuti. Ma è probabile che possano arrivare dei cambiamenti nei toni. Ora che – per la prima volta dopo un durissimo corpo a corpo – Trump si sente la vittoria in tasca, è possibile che scelga di usare un linguaggio meno aggressivo, più conciliante. Venendo incontro a quegli elettori che stanno prendendo in considerazione di saltare sul carro del vincitore.

Più difficile è prevedere gli effetti nel campo democratico. Paradossalmente, il fatto che appaia ormai quasi impossibile rimontare lo svantaggio potrebbe spingere una parte del partito a rassegnarsi alla candidatura Biden. Visto che è così arduo e traumatico far fare un passo indietro al presidente, forse è meglio evitare ulteriori lacerazioni interne. Anche perché diventa ancora più difficile per qualsiasi nuovo candidato dovere affrontare un avversario che ha sostituito, in pochi secondi, l’aria della protervia con l’aura del coraggio.

Ma la partita ancora più importante è quella che l’attentato ha riaperto sullo scacchiere internazionale. Dove gli eventi di queste ore hanno aumentato il rimescolamento delle carte iniziato con il tragicomico duello televisivo. Nelle cancellerie di tutto il mondo le quotazioni di una vittoria di Trump non riguardano più soltanto le previsioni di novembre, ma cominciano a tramutarsi in scelte più o meno sotto traccia di come ricalibrare le alleanze.

È probabile, come è già successo in passato, che le decisioni che Trump prenderà, una volta entrato in carica a gennaio, saranno meno tranchant di quanto sono state rumorosamente annunciate. Ma sul fronte più caldo, quello ucraino, la linea appare già molto chiara. Con conseguenze a cascata sui rapporti già complessi e per molti versi friabili all’interno dell’Unione europea.

Già al recente vertice Nato c’erano stati, dietro le quinte, conciliaboli e incontri per saggiare il terreno – e le mosse – in vista di un probabile cambio della guardia alla Casa Bianca. Ed era apparso evidente che, per molti paesi, l’appoggio indiscriminato all’Ucraina era piuttosto una cambiale a scadenza alquanto indeterminata. Da ieri, aumenterà la cautela. Non ancora nelle dichiarazioni ufficiali, ma certo nei calcoli ufficiosi che ciascun capo di governo farà sulle proprie convenienze. Per Trump, l’Ucraina è una lontana nazione in un’area – per lui – geopoliticamente marginale. E il solo saldo che gli interessa di questa guerra è di avere rafforzato il legame – e la dipendenza – della Russia dalla Cina che, nella dottrina Trump, è il vero e unico nemico degli Usa. Prima ancora che sul terreno militare, su quello che gli sta più a cuore, la competizione economica. In questo scontro, l’Europa è un vaso di coccio che farà sempre più fatica a difendersi, e avrà sempre meno risorse da impiegare nella difesa dell’Ucraina.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 15 luglio 2024).

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