Proprio nel momento in cui -non neghiamolo- di fronte all’ondata di riflusso parafascisteggiante che tende a sommergerci ogni giorno che passa (in Europa, in Italia, nello stesso spazio immediato attorno a noi), ci ritroviamo sorpresi e increduli, divisi e balbettanti, viene meno -mi sento una volta tanto di condividere una twittata, quella di Daniele Viotti- una delle presenze più alte e atte a fronteggiarla su cui il nostro territorio avrebbe potuto contare.
Il professor don Giampiero Armano questo suo impegno l’aveva esercitato ogni giorno come docente, amatissimo dagli studenti e dai colleghi, presso il “Saluzzo”, con una costanza e una coerenza che, da insegnante di scuola Statale fedele alla Costituzione della Repubblica, considerava suo imprescindibile dovere (ma non dobbiamo essere riusciti a fare così tutti, perché ove lo fossimo non ci ritroveremmo come siamo messi…). E ancora più strettamente, se possibile, una volta ufficialmente “in quiescenza” -che nella sua lettura aveva significato esclusivamente un moltiplicatore incessante di attivismo- come motore inesauribile e, si teme, insostituibile, dell’Associazione “Memoria della Benedicta”, realizzando l’autentico miracolo di coinvolgere Stato, Regione, Provincia, enti locali e soprattutto tanta gente nel portare all’onor del mondo, rafforzare e dotare al fine di renderlo punto di riferimento permanente e definitivo, un Sacrario tanto fondamentale di importanza quanto di arduo accesso e mantenimento.
Ma il suo impegno “esterno” era cominciato ben prima, al di là del pur determinante apporto alla Comunità San Paolo e al gruppo straordinario di preti operai che era venuto a crearsi ad Alessandria tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta (l’impegno sistematico con cui si è sempre adoprato a diffondere i libri dell’antico amico e “collega” di sacramilitanza don Luisito Bianchi). Dal numero 3 di via Baggiolini si era irradiata una forza che, superando i confini ristretti del cattolicesimo ufficiale alessandrino -in questi decenni malauguratamente quasi mai distintosi per capacità di apertura, dialogo e proselitismo, nonostante la spinta decisiva, ma forse tarda quanto a tempistica, del lungo episcopato di Fernando Charrier- aveva saputo dialogare proficuamente nel profondo con la viva e qualificata sinistra alessandrina dell’epoca, ottenendone risultati che poterono parere, allora, non effimeri. Impresa condivisa, in anni più vicini ai nostri, con l’altra imdimenticata presenza straordinaria nel sacerdozio alessandrino, quella di don Walter Fiocchi, e dei suoi puntuali e poi soppressi editoriali su “Voce” (la loro fine, come quella della Marcia della Pace la sera di san Silvestro, fu il segno di un’ulteriore chiusura curiale, rispetto alla quale l’opinione di don Armano era assai forte e chiara, nella sua inimitabile ruvidezza…).
Ma questa città senza memoria, con le ceneri amiantifere che ormai da otto anni hanno soffocato il Teatro Comunale nella più plebiscitaria indifferenza, non ricorda certamente neppure che fu proprio Giampiero, tra il ’78 e l’80, quando la nuova struttura di spettacolo era stata appena inaugurata, e l’Azienda Teatrale Alessandria si adoperava a conferirgli una linea e una caratterizzazione, a dare vita (con Danilo Arona, Giuliana Callegari, Roberto Pierallini e Marisa Vescovo) a un embrionale quanto vivace Centro di Cultura. Che diede la stura alle prime attività musicali -con la sua forte e competente spinta- teatrali, cinematografiche e artistiche di base, che il nuovo luogo di spettacolo sarebbe venuto via via sviluppando, e che furono alla base, con gli altri apporti, delle non dimenticate “Proposte per la Scuola” comunali.
Ma sono soprattutto quanti abbiano avuto la ventura e il dono di poter fiancheggiare Giampiero nella sua inesausta attività di documentazione annuale della Shoah in preparazione della “Giornata della Memoria” e divulgazione della strage della Benedicta e del suo senso storico, politico e umano, presso tutti gli istituti superiori della provincia, ad averne potuto comprendere fino in fondo la grandezza anche pedagogica e valoriale. La visita alla Benedicta del regista antifascista Luigi Faccini (autore tra l’altro di un capolavoro sul tema, Nella città perduta di Sarzana, 1980) e della sua compagna, la produttrice di stirpe e confessione ebraica Marina Piperno, nell’anno in cui presentarono il loro Rudolf Jacobs – L’uomo che nacque morendo (2011: sul probabilmente unico ufficiale tedesco che nel ’44 disertò unendosi alla lotta partigiana fino a sacrificarvisi) costituì un culmine ancora carico, a tanti anni di distanza, di una commozione incomunicabile.
La stessa, peraltro, che suscitavano le bellissime messe domenicali, con canti dal’intonazione profonda e altrettanto felici omelie, da lui concelebrate con don Giorgio Guala proprio alla parrocchia di San Paolo. E l’eleganza suprema con cui, grazie anche alla robusta tempra nativa, ha sopportato per anni il male che lo minava, riuscendo a non darlo assolutamente a vedere, ma parlandone serenamente se capitava (e con la straordinaria, in tutti i sensi, partecipazione al mediometraggio di Maurizio Orlandi 048 – Esenzione Ticket Malati Oncologici nel 2010).
In un articolo recente mi chiedevo cosa pensassero realmente di don Ciotti e del suo lavoro i suoi confratelli nel sacerdozio e nell’episcopato. La stessa domanda mi sento di poter riproporre, identica, a proposito del suo amico don Giampiero, che l’aveva avuto ospite e oratore ufficiale proprio all’ultima Benedicta. Ha incontrato adesione, incoraggiamento, riconoscimento di esemplarità, quel suo modo di agire e di incidere, tanto religiosamente fervido quanto rigorosamente “laico”, in una maniera e in una misura che tanti sedicenti laici davvero si sognano?
Ci sono tanti, proprio tanti modi di essere prete. Non ho la presunzione di poter giudicare, di fronte a una scelta di vita tanto assoluta e radicale. Ma personalmente il modo di don Giampiero (e dei non pochi altri come lui) è quello che mi piace, e soprattutto mi convince con l’esempio, di più.
…
(*) Manteniamo per ovvi motivi il nome “Giampiero” come trasmesso dal civis Nuccio, ricordando che sono presenti varianti quali “Gianpiero”, “Gian Piero” ma… evidentemente, si tratta di “grafismi” a cui lasciare lo spazio di un singolo pensiero.
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