- Trumpisti di tutto il mondo, unitevi!
Il problema è serio, o almeno dovrebbe.
Uno viene al mondo. Non l’ha chiesto lui: né che, né dove, né quando, né da e con chi. Se pre-interpellabile, magari ne avrebbe, leopardianamente, fatto a meno: e in sul principio stesso / la madre e il genitore / il prende a consolar dell’esser nato… Però, abbiamo sempre pensato, una volta che gli/ci sia capitato, dovrebbe essere ovvio che in un ambiente terracqueo normale l’assai perplesso nuovo venuto acquisisse almeno il diritto di muoversi per l’intero globo dove, come e quando gli paia: è suo come di tutti i precedenti natu (altro che asilanti, “migranti economici”, “clandestini”!). Oggi la miscela esplosiva innescata dalla contemporaneità di globalizzazione, crisi dal 2008, strapotere assoluto e incontrastabile della finanza irraggiungibile e inidentificabile, ma connotata nella sublime espressione “i Mercati” (non ne sarebbe bastato uno solo??), guerre diffuse e alimentate all’infinito anche per tutelare un traffico d’armi espanso e incontrastabile (“posti di lavoro”…) e ripresa alla grande del rapporto Masse e potere (come genialmente analizzato e sintetizzato da Canetti) rende invece categoricamente informulabile questa naturale quanto spontanea ovvietà.
Sono già lontani gli anni in cui i nostri muri si riempivano di scritte irridenti ai confini e supplicanti gli immigrati di “salvarci dagli italiani!. Proprio quando comincerebbe a essercene essenziale e istintivo bisogno, non si troverebbe più nessuno, probabilmente, disposto a rischiare di scriverci in questi termini, vista l’aria che tira.
Il tragico sarcasmo della sorte vuole che quella “del Rifugiato” -nell’inutile e ipocrita retorica complessiva delle “Giornate Mondiali” ormai di qualsiasi cosa, anche se questa è seria: fu istituita dall’ONU nel lontano ’51 sulla scia della Convenzione di Ginevra – venga a cadere alla vigilia di un’estate presumibilmente torrida, nella quale finiscono in primo piano le gabbie naziste escogitate per i bambini messicani e centroamericani da Trump. Che le ha dispiegate, si badi bene, ci spiegano i commentatori, con l’intento di avvantaggiarsene nelle prossime elezioni autunnali di medio termine. Dimostrando così che lui fa esattamente quanto si era impegnato a fare in campagna elettorale, vincendo proprio in grazia di quelle promesse lì. E non sarebbe stato il solo, ancor che l’antesignano: ecco ora qualcun altro assai più vicino, di giorno in giorno. I più all’antica di noi -anagraficamente e culturalmente…- a dire la verità non si sono ancora ripresi dallo choc di constatare che i “grandi della Terra” twittino: ai nostri occhi appare irrimediabilmente, questa attitudine, come una diminuzione non rimarginabile di autorevolezza e credibilità. Naturalmente non abbiamo capito niente: è proprio questa la prova del nove del fatto che che siamo irrimediabilmente tagliati fuori. Non riusciamo a liberarci dal trovare scandaloso, ai limiti dell’inammissibile (a voler essere indulgenti, eccentrico o irresponsabile…) che un “capo di Stato o di Governo” -si noti il linguaggio ufficiale degli ineffabili “vertici” UE, G7, G20 e chi più ne ha ne metta- scelga una forma di comunicazione così prosaicamente quotidiana e ufficiosa come un “social”. Invece proprio qui è il suo punto di forza, e di incontro consensuale coi “leoni da tastiera” immortalati genialmente dal “Napalm 51” di Maurizio Crozza. Quelli dei quali l’anima candida Laura Boldrini non ha potuto che lamentarsi. Che l’inventore dell’invito a fare qualcosa con/a lei in auto sia seriamente in predicato per un’alta carica comunicativa del “governo del cambiamento” dà proprio l’esatta misura della… radicalità di quest’ultimo.
Uno normale si aspetterebbe che la sistematizzazione delle gabbie separanti per bambini (che hanno perfino destato la riprovazione di Lady Melania, che oltretutto è anche lei un’immigrata: a quando una lettera al “Washington Post” in analogia a quella di Veronica a “Repubblica”?) risulti fatale, in termini di voti, a Trump. Invece, svegliamoci, è e sarà esattamente il contrario, e non possiamo farci niente… Erdogan in Turchia, al-Sisi in Egitto, Orban in Ungheria e i suoi soci cechi e polacchi, Kurz in Austria, la Merkel e Conte dalle spalle al muro coi sovranisti-nazionalisti ben profumanti i rispettivi Gabinetti, per non dire di Russia, Corea del Nord, Cina stessa. Si potrebbe proseguire con altre nazioni e continenti, non è che siamo messi proprio bene, non viene da prevedere la Pace Perpetua. La guerra dei dazi incredibilmente scatenata da Trump a livello mondiale potrebbe davvero essere la goccia che fa traboccare il vaso: tra i molti scenari di possibile applicazione a livello mondiale, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
- Il dubbio di Minniti e le certezze di Salvini
In fondo spuntarla alle elezioni vuol dire aver saputo leggere prima degli altri un paese com’è davvero, o in quel momento o addirittura, e meglio, nel profondo. Mentre Gentiloni con gentilezza, e Renzi e i suoi patetici seguaci con sicumera e prosopopea, si affannavano a spiegare agli italiani, statistiche e decimali di percentuali alla mano, che tutto aveva finalmente ripreso ad andare magnificamente, e che la vera Italia che contava era quella che si presentava in abito da cerimonia alla Casa Bianca per consumarvi l’Ultima Cena con l’altrettanto tramontante Obama (ripensata oggi, la scena deflagra in tutta la sua ipersurreale surrealtà…).
Intendiamoci bene: oggi lo scenario italiano offre al momento, a mio modesto avviso solo due possibili leaders credibili, diametralmente opposti tra loro: Salvini e Gentiloni. Quest’ultimo è stato sonoramente ripudiato dalla stragrande maggioranza degli elettori il 4 marzo: forse se avesse potuto governare non totalmente ingabbiato dall’immortalità del renzismo, già nella formazione stessa -incredibile- del ministero-fotocopia, con l’intero Cerchio ex-Magico imbarcato in blocco, le cose avrebbero potuto andare in parte diversamente. Sebbene probabilmente il contrapporre i decimali delle statistiche favorevoli alla realtà quotidiana percepita come totalmente sfavorevole nella sua concretezza avrebbe in ultima analisi reso alla fine il risultato fatale comunque. Salvini ha buon gioco, rispetto all’incredibile accoppiata Conte-Di Maio. Per il resto è difficile stare seri: Berlusconi l’immortale e i suoi che rischiano quasi di venire vissuti da nuovo Bardi della Democrazia; Renzi e il suo caravanserraglio talmente suonati da non rendersi neppure più conto di esserlo, immutabili e irresistibilmente incardinati in quel Senato di cui avevano annunciata la cancellazione; la cd. “opposizione interna” del Pd, lui davvero cancellato nel paese da un quinquennio di staisereno, assolutamente non in grado di pervenire; l’area Leu inesorabilmente punita nelle urne, e oscillante ora tra l’inattitudine comunicativa assoluta di Grasso, le nostalgie filopiddine di parte degli Articolo 1, le oscillazioni di intransigenza a priori di SI e la fantomaticità divenuta anche programmatica dopo il congresso on-line da cabina telefonica di Possibile. Si aggiungano ora anche le insoddisfazioni “futuribili” di Laura Boldrini, che pare intenzionata a diventare la Pisapia punto 2. Per fortuna che resistono il nostro Fornaro ora alla Camera e la De Petris al Senato: a garantire almeno la plausibilità di una decenza parlamentare, mentre Grasso annuncia l’apertura del tesseramento di Leu, e Speranza lo avvia davvero in Art. 1.
Va dato atto a Salvini, si diceva, di aver letto bene due cose: la potenzialità criptofascista di una fetta non piccola dei suoi concittadini, che il quadro generale in atto sta facendo inesorabilmente riemergere. E soprattutto la fine di fatto già intervenuta dell’Unione Europea, che in termini sostanziali, politico-morali di fondo, è sostanzialmente finita da quando i paesi del cd. “gruppo di Visegrad” hanno potuto prendere le posizioni che ha preso del tutto inpunemente, relegando, con la complicità tacita o esplicita del resto dell’Unione, l’Italia molo del continente nel Mediterraneo al ruolo del “vai avanti tu che mi viene da ridere”. Era fatale che la mossa, per quanto illusoria e puramente scenica, “adesso prendetene un po’ voi” di Salvini incontrasse un consenso generalizzato. Che l’ha incoraggiato al neppur troppo più cripto nazismo della posizione sui rom: ma non è che nel giro di poche ore le piazze italiane traboccassero di migliaia di cittadini protestanti.
- “Uno straccio di alleato“?
La sera di sabato l’altro, mentre seguivo -anche un po’ distrattamente, lo confesso- su RaiTre il documentario di Paolo Santolini Così in terra su don Luigi Ciotti, mi tornava alla mente la domanda spontanea che mi ero già rivolto assistendo su RaiNews24 alla diretta del vibrato e vibrante discorso dello stesso sacerdote-fondatore ai 40.000 della manifestazione nazionale di “Libera” a Foggia il 20 marzo: «Ma cosa pensano del suo atteggiamento e della sua azione i cnfratelli di don Luigi? Che abbia ragione e faccia bene? Che potrebbe prenderla un po’ più calma? O, sotto sotto, che sia un’anima bella, se non fanatico che gira a vuoto, o quanto meno uno che, come prete, farebbe bene a occuparsi un po’ più del Cielo e un po’ meno della Terra?».
Non sembri una domanda oziosa o provocatoria. Non penso assolutamente che nel clero italiano ci sia un’aliquota significativa di sacerdoti assimilabili al grottesco frate-complice disegnato per Nino Frassica da Pif e dal nostro concittadino e amico (conterei di tornare a parlarne presto in un pezzo apposito) Luca Ribuoli nelle due recenti serie Rai di La mafia uccide solo d’estate. Ma, devo dire, e non credo di essere l’unico, che qualche dubbio mi viene.
E, a Palermo, posizione e accenti del cardinale Pappalardo, ad esempio, sono risultati ben diversi -e anzi radicalmente opposti, per fortuna, a quelli a suo tempo denotati, ad esempio, dal suo non dimenticato predecessore Ruffini (che anzi, per non sbagliare, di accenti non ne usava proprio, o li impiegava solo in senso negazionista). Ma certo, nelle mie pur non inesistenti o casuali frequentazioni di ambienti ecclesiastici, non mi è mai accaduto di sentir parlare degli argomenti mafia-‘ndrangheta-camorra-Sacra Corona e/o simili. Ai nettissimi interventi del vertice cattolico -dallo storico invito sdegnato al pentimento di Giovanni Paolo in terra sicula, alle più recenti e reiterate prese di posizione di Francesco- non mi è mai accaduto di registrare una spontanea ripresa degli stessi temi e discorsi a livello, per così’ dire, “di base”.
So di che parlo: sono figlio di siciliani, e un quarto di secolo fa, intervenendo nell’isola a una festa di matrimonio, qualche domanda sullo stile dell’accoglienza ricevuta e sull’identità profonda dei più in vista -tra i numerosissimi invitati- mi ero visto pur costretto a farmela, apprendendo poi da qualificatissima fonte di non averlo fatto a sproposito.
Ciotti procede a colpi di Vangelo e Costituzione; Salvini di Vangelo e Rosario (forse alludendo, noi che lo trattiamo da minus habens, alla funzione che ebbe il simbolo di preghiera nella lotta antislamica dei tempi del nostro impegnativo conterraneo “san” Pio V e del suo successore Gregorio XIII). Ma il problema è che la non plateale unanimità di intenti riguardo a Libera e mafia pare tendere a ripetersi anche in tema di immigrazione e accoglienza. Come ammoniva facilmente Serra nella sua Amaca di «Repubblica» di una settimana fa, «chiunque si batta per l’accoglienza, anche per un’accoglienza gestibile e sorvegliata, sappia che sta conducendo una battaglia di minoranza; che ne pagherà il prezzo politico; e che a parte la Chiesa (non tutta) non troverà uno straccio di alleato».
- Il Pontificato di minoranza
«Bergoglio torna a fare il Papa» titolavano qualche giorno fa sia i giornali di destra, nostalgici degli anni filoberlusconiani di Camillo Ruini, riferendosi al discorsi sulla famiglia e il ruolo femminile (come se un pontefice cattolico potesse dire altro…) che «Il Fatto quotidiano», pensando invece agli immigrati e all’attenggiamento di accoglienza verso gli ultimi. Non stupisce ovviamente gli onnipresenti Cavalieri dalla Trista Figura televisivi Sallusti, Feltri e Belpietro, come i più discontinui ma non meno cartaceamente efficaci Chiocci, Marcello Veneziani e Antonio Socci cantino senza interruzioni sempre la stessa canzone. Dà invece molto da riflettere il fatto che, con tutta evidenza, il messaggio di Francesco, del cardinale Bassetti da lui posto alla guida della Cei e della parte più… schiettamente evangelica dell’episcopato italiano non passi, ma anzi produca ormai reazioni apertamente divergenti e polemiche fino alla provocazione e all’insulto. Sono lontani e sembrano ingenui i tempi ineffabili in cui l’incredibile quanto inaffondabile Irene Pivetti neo-presidente leghista della Camera voleva insegnare al cardinale Martini come doveva fare correttamente l’arcivescovo di Milano, o gli stessi più recenti scontri del leghismo meneghino col suo successore Tettamanzi. E non abbiamo dimenticato che hanno operato vescovi apertamente filoleghisti, anche in importanti diocesi lombarde, e nessuno di sentirebbe francamente di giurare che, alla base del clero “secolare”, tutti facciano ferocemente opposizione agli atteggiamenti folgorati dal cardinale Ravasi, in presenza dei fedeli abituali della Messa domenicale di mezzogiorno, anche nelle aree dove Salvini -Vangelo da una mano, Rosario appunto dall’altra: è mica proibito?- raccoglie nelle urne e nella dunate percentuali bulgare. Certo, oggi il Vangelo davvero letto e autenticamente interpretato non è conforme alla mentalità prevalente. «Il vero cristiano è sovversivo»: lo ricordavano sia il Messia Fondatore due millenni fa che mons. Tonino Bello negli anni scorsi. Tanto più vero oggi, con l’eversione fattasi governativa a suon di schede votate (non è la prima volta che succede, nel passato remoto come recente, e non è certo che sarà l’ultima!).
A questo punto, l’augurio non può essere altro che il Signore ci conservi il più a lungo possibile il suo attuale Vicario in terra, nonostante le lamentose malmostosità di «Micromega». Non è infatti assolutamente garantito che il suo successore scelga di chiamarsi Francesco II, sull’esempio di quello che Luciani e Wojtyla decisero dopo Roncalli e Montini. Da metà Ottocento a metà Novecento, almeno la serie dei quattro Pii succedutisi denotò –erano anche altri tempi, d’accordo…- ben diversi orientamenti…
Nel lontano 1982 il Gruppo Cinema Alessandria (che ebbe in quella stagione… quasi 900 tesserati: sembra di parlare di millenni fa! Sarà un caso che anche le elezioni andavano diversamente?) inaugurò la propria stagione alla Sala Ferrero lungi dall’essere amiantata con un magnifico film svizzero, che non si sarebbe mai visto in città senza il suo intervento: La barca è piena di Markus Imhoof, sulla politica di chiusura della Confederazione Elvetica nei confronti degli ebrei fuggiaschi nel corso della seconda guerra mondiale. Chi l’ha visto, magari anche dopo in tv o in streaming, ricorderà certo il suo contenuto e il suo drammatico essere tornato inopinatamente di assoluta attualità.
Pochi sanno però che, a trentacinque anni di distanza, lo stesso Imhoof -che allora era quarantenne: oggi fate il conto voi…- è tornato sull’argomento, presentando al recente festival di Berlino un nuovo film, Eldorado, che torna sullo stesso tempo ma in maniera ancora più stringentemente attuale, perchè lo riprende concentrandosi proprio, neanche a farlo apposta, nell’ottica del trattamento lì e allora riservato proprio ai bambini. Anche Trump e Salvini non hanno inventato nulla.
Chiudo e mando via questo pezzo all’ora di pranzo della Giornata del Rifugiato. Non lo so direttamente -ho mollato convinto i “social” da quattro anni e mezzo…- ma vedo dalle agenzie che Francesco ha twittato anche stamattina nella ricorrenza: «Incontriamo gesù nel povero, nello scartato, nel rifugiato. Non lasciamo che la paura ci impedisca di accogliere im prossimo bisognoso. #withrefugees». Quante cose non ci si sarebbe aspettati di vedere nella vita: anche un Sommo Pontefice che cinguetta…Rincarando poi, più tradizionalmente, con la Reuters, dove definisce immorale la separazione bimbi-genitori e critica la creazione da parte dei populisti della psicosi sugli immigrati. Mah: speriamo che almeno a qualcosa serva.
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