I giovani che fanno politica senza votare

Se i partiti volessero davvero riprendere a dialogare con i giovani, la ricetta è sotto gli occhi di tutti. Riprendendo, ieri sul Corriere, gli ultimi dati di Eurobarometro, Maurizio Ferrera spiega che non è vero che le nuove generazioni si sono allontanate dalla politica. Tutt’altro: «i giovani stanno sperimentando una nuova forma di cittadinanza politica: dalla figura dell’elettore che si esprime a cadenze prestabilite al netizen, il cittadino in rete, che partecipa online anche ogni giorno». Detta in poche parole – ma con dovizia di percentuali – l’unica partecipazione in calo è quella al voto. Cioè, un sistema di espressione delle preferenze che ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della democrazia. Ma oggi rischia di diventare obsoleto.

Per la verità, gli studiosi americani da più di mezzo secolo sostengono che ci sono tanti altri modi di fare politica: impegnarsi nei dibattiti pubblici, essere attivi nel volontariato, manifestare per cause importanti. Da sempre alle prese con una bassa affluenza alle urne, i politologi statunitensi hanno spesso sottolineato che votare non è l’unico indicatore di salute, e forse neanche il principale. Ora che il fenomeno sta impattando anche in Europa – e da ultimo, clamorosamente, in Italia – rispondere a queste domande dovrebbe essere la priorità di ogni partito. Ancor più di quelli di sinistra, che sono stati storicamente gli alfieri e i protagonisti della mobilitazione delle masse.

Tanto più che, oggi, la risposta appare molto più semplice rispetto a qualche decennio fa. Ieri si poteva contestare che le altre forme di partecipazione alla politica fossero sporadiche e, comunque, difficili da misurare: per qualità, diffusività, rilevanza. Oggi, invece, siamo letteralmente sommersi da dati che illustrano come le nuove generazioni non siano affatto disinteressate alla politica. Solo che «molti di loro (il 40%) non considerano il voto come uno strumento importante per far sentire la propria voce». Il mondo attraverso cui discutono, si informano, costruiscono il proprio futuro non è quello dei partiti e della loro rappresentanza elettorale. È il mondo della rete.

Il dato, in se, non è sorprendente. La nostra vita è ormai immersa nel web: acquisti, conti bancari, giornali, eventi sportivi, serie televisive, pornografia, istruzione si nutrono e sono nutriti da internet. Con una percentuale e intensità che aumenta esponenzialmente con il diminuire dell’età. Perché mai la politica dovrebbe sfuggire a questa grande trasformazione culturale? Invece, per molti partiti, la rete resta un tabù. Non sanno come intercettarne i messaggi, i linguaggi, le tendenze. Le uniche sortite che riescono a catturare un po’ di attenzione le fa il leader emergente di turno, magari anche col ricorso a qualche tecnica manipolatoria. Ma si tratta di relazioni fugaci, incapaci di sedimentare legami più duraturi. Perché non c’è, nella cultura dei partiti, alcuna consapevolezza di cosa sia e come funzioni la cultura giovanile della rete.

Lo si è visto, in modo eclatante, nel modo in cui le primarie del Pd hanno chiuso frettolosamente la porta alla partecipazione online al voto. E, in modo ancor più perentorio, nel fatto che, per contrastare l’astensionismo, nessuno al governo – e tanto meno dall’opposizione – abbia avuto l’ardire di avanzare la proposta di introdurre anche in Italia – come in tanti altri paesi del pianeta – il sistema del voto elettronico. Ci siamo finalmente conquistati una procedura nazionale blindatissima di certificazione della nostra identità digitale. E da anni possiamo trasferire in modo arcisicuro i nostri soldi da una banca a un’altra. Ma esprimere il nostro voto, no. Neanche a parlarne. E se qualcuno avesse il coraggio di tirar la testa fuori dal sacco, state certi che lo zittirebbero all’istante.

Ma la vera motivazione non è l’insicurezza informatica. È la totale inadeguatezza dei partiti. Se i giovani potessero votare online, si aprirebbe una nuova frontiera per la conquista del loro consenso. Una frontiera per la quale il nostro ceto politico è totalmente impreparato. Meglio continuare a far finta di combattersi con i comizi e lasciare che del digitale si occupino i nuovi padroni. Dopo tutto, leader globali come Musk non hanno certo bisogno del voto per decidere se continuare a salvare l’Ucraina con i satelliti starlink, o se mettere o meno il bavaglio alla libertà di espressione su Twitter. Una realtà che la gran parte dei giovani ha capito fin troppo bene.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 20 febbraio 2023).

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