Il governo all’esame europeo

La politica è – da sempre – un mix di cronaca e di prospettiva. Dove il segreto, per vedere chiaro, è distinguerle l’una dall’altra. Gestire la sopravvivenza – difendendosi dai trabocchetti dei nemici e da quelli dei fratelli coltelli – e, al tempo stesso, cercare il vento nelle vele per puntare oltre l’orizzonte. Facile a dirsi, difficilissimo a farsi. Basta dare una scorsa ai giornali, dove fioriscono i retroscena su faide, congiure, ribaltoni che basterebbero a tenere occupato il Premier per 48 ore al giorno. E poi ecco un fondo di Maurizio Molinari su Repubblica che – molto ben documentato – squarcia il velo dell’ignoranza, illustrando come lo smart-working stia «cambiando radicalmente l’idea stessa del luogo di occupazione innescando conseguenze a pioggia», come un mercato globale dei talenti a vantaggio dei lavoratori più istruiti, lo svuotamento dei centri delle grandi città con nuove problematiche fiscali, il ridisegno degli spazi di lavoro con modalità molto più flessibili. Ma quanti tra i nostri politici leggono questo tipo di analisi? Detto ancora più brutalmente: quanto importa ai partiti italiani progettare policy capaci di intercettare questi trend globali, piuttosto che battersi per spendere una manciata di fondi europei per le proprie clientele e territori?

Inutile farsi illusioni. L’assalto alla diligenza – con il suo tesorone europeo – cui assistiamo in queste settimane non è animato dal nobile afflato di contribuire a ridisegnare il futuro del paese. E non certo per cattiveria o mancanza di buoni propositi. Ma – ahia, la banalità del male – perché il ceto politico è lo stesso che, negli ultimi anni, ha aggravato la condizione di declino in cui siamo. E, al di qua delle posizioni ideologiche, non ha gli strumenti culturali per comprendere e relazionarsi alla velocità del mutamento. Al tempo stesso, però, non ha intenzione di farsi minimamente da parte. Sono qui le forche caudine che il governo dovrà attraversare. Riuscire a conciliare la miriade di spinte centrifughe che si addensano in Parlamento, con la svolta di mentalità e di programma richiesta dall’Europa per confermare la linea di credito strappata in extremis al summit di Bruxelles.

La scelta di fare del Ciae, il Comitato Interministeriale per gli Affari Europei, la cabina di regia per gestire la fase 3 delle riforme per il Recovery Fund dimostra che Conte è consapevole che questa sfida si può vincere solo alzando, e rilanciando, la posta. E tenendo i piedi – e la testa – ben saldi nel milieu europeo, il vero baluardo del Premier nella battaglia dei prossimi mesi. Il fatto che sia il Ministro Amendola a coordinare questa task force sancisce un passaggio di testimone tra Prima e Terza repubblica. Superando le illusorie scorciatoie della Seconda, e sforzandosi di recuperare il meglio di quelle famiglie politiche che hanno costruito le fondamenta dell’Unione, riuscendo, con le generazioni più giovani, a conservare – e coltivare – i legami con il motore mitteleuropeo.

Al di là delle contrapposizioni, anche aspre, tra paesi frugali e spendaccioni, il segnale che sta emergendo nello scacchiere internazionale post-covid è che la locomotiva tedesca ha ripreso a fare da traino – e guida – al vecchio continente. Con idee molto chiare su quale sarà la partita del futuro. Il fatto che finalmente sia stato messo sul tappeto con forza il tema della sovranità digitale europea dimostra la consapevolezza che non si può lasciare a poche multinazionali americane il controllo oligopolistico dell’infosfera. Ancor più oggi che la crisi Covid ha moltiplicato in misura esponenziale – tra e-learning e smartworking – il ruolo pervasivo della rete in ogni ganglio della vita associata.

Questa frontiera può apparire distante da molte retrovie parlamentari. E dai circuiti elettorali che alimentano le carriere di deputati e senatori. Ma è un abbaglio. Come ha dimostrato l’ascesa rapida dei Cinquestelle col loro partito digitale, e quella rapidissima di Salvini col suo consenso twitterdiretto, il mondo onlife – come lo chiama Floridi – è anche quello dove germogliano le nuove leadership. Dare a questo ecosistema i valori e le regole di una democrazia più inclusiva, è la sfida in cui si decide se l’Europa riesce a riprendersi le redini del proprio futuro.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 27 luglio 2020).

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