Guido Ratti…uno di noi.

Tutta la Redazione, di cui ha fatto parte in modo egregio il nostro Guido, si unisce al dolore della famiglia Ratti, alle sue amiche e ai suoi amici, ai suoi estimatori e ad un’intera città, per la prematura scomparsa del caro prof. Guido Ratti. Un’istituzione alessandrina che se ne va, una parte della città stessa che prende il volo per lidi meravigliosi e sconosciuti, così come piaceva fare a Guido in vita. Una vita intensissima, vissuta fra le Università di Torino e Grenoble, soprattutto, fra gli archivi di Stato di mezza Europa, sempre con zelo e con ironia. Mai pedante, mai supponente, ben conscio delle limitazioni della vita terrena, anche per i “migliori”, uno fra tutti Umberto Eco, che lui ha conosciuto nelle forme meno paludate e ufficiali e che non cessava di ricordare per la sua ironia e il suo distacco. Persona indipendente e coraggiosa nei suoi “no”, nei suoi “non sono d’accordo” che non erano di facciata o per gusto del contrasto ma stimolo per gli interlocutori che, con lui, non potevano menare il can per l’aia. Onesto personalmente e intellettualmente, scomodo e nemico del facile conformismo. Appartenente alla famiglia della vera Sinistra, quella che vuole i cambiamenti sul serio, che non è disposta a sciocchi compromessi, che ha un culto dell’eguaglianza e della fraternità autentica. Per andare a formare la triade, quella della ricerca di “libertà” che ha sempre fondato il suo pensiero e la sua azione. Il solito refrain  “ci mancherà” qui stride veramente. La perdita è enorme e difficilmente sanabile. ….Ma faremo di tutto per essere smentiti.
Ciao Guido “Le sort n’a pas cesse’ de m’accabler et s’est ingénié à augmenter ma douleur par la mort de mon maheureux général (…) Je ne n’oublierai jamais mon malheureux ami et bienfaiteur Desaix”  . Così si esprimeva il generale Rapp aiutante di campo di Napoleone, presente a Marengo e testimone dello strazio del generale Desaix. Una amicizia profonda e riconoscente che, in qualche modo, immeritatamente, ci sentiamo di condividere e riportare allo “strazio” di oggi.  (n.d.r.)…Allo scopo di mantenerne viva la memoria, in preparazione di altri documenti opportunamente scelti fra la sua varia produzione, rilanciamo uno dei suoi ultimi contributi….

Appunti e riflessioni per ricordare il 1821 (I)

Fra meno di due mesi cadrà l’anniversario di un evento che 200 anni fa ha dato il via all’epopea del Risorgimento nazionale. Il 10 marzo 1821 un gruppo di militari, preso nella notte il controllo della Cittadella di Alessandria e apertala al manipolo dei “carbonari” alessandrini, la mattina innalzarono il tricolore sul pennone della fortezza proclamando l’adozione della Costituzione spagnola nel Regno di Sardegna e l’istituzione di un governo col compito di guidare la monarchia sabauda sia sul percorso costituzionale, sia su quello dell’unificazione nazionale. Firmato dai civili Appiani, Dossena, Rattazzi e Luzzi e dai militari Ansaldi, Baronis, Bianco e Palma (cioè la Giunta provinciale provvisoria di governo) in nome della Federazione carbonara italiana, il proclama è esplicito: “È costituita una Giunta provinciale provvisoria di Governo, incaricata di provvedere alla salvezza ed ai bisogni della Patria ed al fine della Federazione. Essa è indipendente da qualunque altra Autorità, e non cesserà di esercitare gli atti del Governo sintantochè non siasi costituita una Giunta nazionale pel fine della Federazione. Si riterrà legittimamente costituita la Giunta nazionale quando il Re avrà reso sacra ed inviolabile la sua persona e legittimata la sua autorità come Re d’Italia colla prestazione del giuramento alla Costituzione di Spagna”.

La mossa e l’esempio alessandrini furono determinanti perché si estesero subito ad altre guarnigioni piemontesi costringendo Santarosa, Collegno e Moffa di Lisio a smetterla di cincischiare col riluttante erede al trono Carlo Alberto e ad uscire allo scoperto sposando in toto l’indirizzo alessandrino.

Rivedendo queste giornate alessandrine si coglie intanto un dato degno di riflessione e una peculiarità: i moti sono partiti dalla periferia, “dall’altro Piemonte”, mentre le narrazioni sono prevalentemente torinocentriche; i moti sono perlopiù opera e iniziativa di “peones” mentre le narrazioni privilegiano i (presunti) capi; la localizzazione piemontese dei moti è riduttiva perché il moto fu anche locale-regionale, ma il marzo 1821 in Piemonte fu soprattutto l’epilogo di un’epopea cominciata in Spagna nel gennaio del ’20 e proseguita in Sicilia e a Napoli con diramazioni precedenti e successive anche ben oltre questi confini; il termine “rivoluzione”, poi, appiccicato sull’epopea del ’20-21 è sbagliato e fuorviante perché mai vennero chieste teste di sovrani e tantomeno di parlò mai di repubblica.

La dimensione mediterranea emerge perfettamente (assai più di quella locale-regionale) dal manifesto alessandrino del 10 marzo da cui si desume anche come l’adozione della carta spagnola del ‘12 sia stata certo una scelta politica (tra i due modelli costituzionali possibili nell’Europa del primo ‘800 – lo spagnolo molto avanzato che piaceva ai “carbonari” e quello francese molto conservatore per il quale pare propendessero i cospiratori torinesi), ma soprattutto sia stata il tentativo estremo di alimentare con nuove energie il movimento costituzionale apertosi nel ’20 a Cadice dando allo stesso tempo una chance di successo alla “rivoluzione piemontese” che da sola non avrebbe potuto reggere (come di fatto non resse).

Un altro dato interessante del proclama alessandrino (che, si ricordi bene, precede gli atti della Giunta di governo di Torino) è l’uso del termine “Federazione” riferendosi prima di tutto alle società segrete italiane, ma contemporaneamente evocando l’immagine di un’Italia di stati alleati: un’unione, anche qui l’indicazione è esplicita, sotto la guida di Casa Savoia. In questo modo si chiarisce bene ed assume una dimensione piuttosto concreta il concetto di un’Europa dei popoli che si oppone all’Europa degli stati patrimoniali dei re di cui l’impero asburgico era l’esempio più eclatante. E nel contempo anche l’idea di ammutinamento militare perde consistenza. Un’ultima indicazione interessante del proclama del 10 marzo riguarda i colori della bandiera inalberata in Cittadella duecento anni fa. Non mi pare si possa escludere a priori il bianco-rosso-verde ma il riferimento preciso e ripetuto alla Federazione fa pensare con maggiori probabilità ai colori azzurro-rosso-nero della bandiera delle sette carbonare. Questo nulla toglie all’importanza di quel primo tricolore esplicitamente nazionale e certamente non può esser considerato secondo rispetta a altre bandiere tricolori – molto celebrate nel 2011 – che tuttavia, a differenza del vessillo alessandrino, mai avevano inteso rappresentare la nazione italiana.

Guido Ratti

1 cittadella e logo 150 anni unità

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2 bandiera del Regno Sardo

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3 la bandiera della carboneria che probabilmente sventolò sulla Cittadella il 10 marzo 1821

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