I forni di Di Maio

Le vittorie in generale, e quelle elettorali in particolare, hanno sempre un effetto di euforica esaltazione sui vincitori. L’esaltazione ha colpito Matteo Salvini quale leader designato dal centrodestra e Luigi Di Maio capo indiscusso del M5stelle. Per qualche giorno, all’indomani del voto, la schermaglia politica verteva su chi doveva fare il presidente del Consiglio: Salvini o Di Maio? In seguito Salvini ha allentato le sue pretese. Di Maio, invece, ha coltivato e continua a coltivare l’ambizione di diventare Premier, Così dopo aver chiesto a Salvini di abiurare l’alleanza con Berlusconi – proposta respinta, poiché è in forza di quella alleanza che il centro destra ha ottenuto il maggior consenso elettorale – Di Maio ha chiuso velocemente il forno del centrodestra, rivolgendosi al PD, sostenendo, inizialmente, che destra o sinistra per loro era indifferente, si trattava solo di aggiornare il “contratto di governo” escludento i temi di maggior contrasto. In pratica chiedeva al Pd i voti per diventare Primo Ministro.

L’idea dell’intercambiabilità tra destra e sinistra non poteva essere accettata dal PD. Non basta chiudere il forno del centrodestra, per aprire un confronto serio con il PD. Bisogna cambiare registro. Abbandonare la demagogia populista e scendere sulle cose concrete delle compatibilità e dei vincoli contabili. Bisogna recuperare un più alto livello di moralità e di educazione civica.

Il fatto che nel corso della campagna elettorale e durante i cinque anni dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, i grillini avessero fatto un’opposizione becera, basata sulla denigrazione personale, su calunnie ed insulti, limitando la loro attività alle barricate dentro l’aula di Montecitorio contro la Presidente Boldrini ed il governo di centrosinistra, non poteva essere cancellato con un colpo di spugna.

Ora – dice Di Maio –  dobbiamo guardare al futuro nell’interesse dal Paese e degli Italiani.

Dialogare va bene, ma resta da stabilire su quali basi politiche e programmatiche e su quali valori costruire l’intesa per governare il Paese. I 5stelle debbono sciogliere ogni ambiguità in ordine all’Unione europea e all’Euro, contribuire a mettere a punto una Legge di stabilità che eviti l’aumento automatico dell’Iva e rispetti i parametri previsti dai “Trattati Comunitari”, confermare i programmi di investimenti pubblici predisposti dal Governo Gentiloni, assicurare equilibro e stabilità al sistema previdenziale del nostro paese.

Ernesto Galli della Loggia, in un articolo apparso sul Corriere, si domandava se davvero gli elettori leghisti e pentastellari volessero e pensassero che fossero realizzabili misure come la flat tax al 15%, un reddito di cittadinanza  generalizzato a tutti i senza lavoro, l’abolizione di fatto della Legge Fornero sulle pensioni, l’espulsione di oltre mezzo milione di clandestini presenti nella Penisola?

La maggioranza degli italiani sicuramente voleva e vuole cambiare, Voleva e vuole cambiare la condizione del Paese in generale. Vuole infrastrutture e servizi pubblici (specie sanità, trasporti urbani e locali, scuole) migliori e più equamente distribuiti tra Nord e Sud, periferie più vivibili, una burocrazia statale più efficiente e meno oppressiva con i suoi mille regolamenti, una tutela dei lavoratori più larga e penetrante, una sicurezza pubblica maggiore e una giustizia più veloce. Vuole essere sottoposta ad un carico fiscale più sopportabile. E vuole infine una maggiore capacità da parte del potere pubblico e dello Stato di contrastare la prepotenza degli interessi forti (dalle banche ai fornitori di utilities, alle organizzazioni malavitose). Di questi temi, né la Lega né il M5stelle ne hanno fatto oggetto nei rispettivi programmi elettorali. Hanno preferito legare i loro propositi di cambiamento alla flat tax al 15% e all’abolizione della legge Fornero. Questo – dice Galli della Loggia – perché in Italia si pensa sempre ad un cambiamento dell’impossibile. Si tratta in prevalenza di proposte di maggiori spese come il salario di cittadinanza senza indicare le rispettive coperture finanziarie. E ancora, come pensano nel concreto, di individuare e raccogliere i cinquecentomila clandestini sparsi in tutta la penisola per poi deportarli non si sa dove, come propone Salvini?

I novatori radicali sanno che se le loro proposte non si librassero nei cieli delle fantasie più o meno realizzabili e delle spese più o meno avventurose, se fossero proposte pratiche e ragionevoli dovrebbero vedersela con un fortissimo numero di oppositori. Cioè con tutti coloro che da quelle proposte ne avrebbero uno svantaggio.

Di Maio, con tutti i suoi forni rischia di restare senza pane e furibondo per non  riuscire a fare il Primo Ministro, adesso si rivolge minaccioso al Presidente Mattarella intimandogli di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni entro giugno. Ma se i partiti e gli schieramenti usciti vincitori dal voto del 4 marzo (centrodestra e M5stelle) non riescono a dare un governo al Paese, prima di giungere a nuove consultazioni si cambi almeno la legge elettorale.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*