Certo, si vola alto, molto alto, ma d’altronde “tanto nomini nullum par elogium”.
Ripartiamo dal basso e vediamo un piccolo bambino biondo crinito che, accompagnato dai suoi genitori, entra in una chiesa di Roma.
Il bambino sono io e la chiesa è San Pietro in Vincoli.
Al centro torreggiante, maestosa, la figura del Mosè, uno dei capolavori del nostro Michelangelo, e provate ad immaginare quale potesse essere l’impressione su di un ignaro bambino di sette anni.
La parola giusta è potenza: non si può parlare di rappresentazione di stile od arte, ma di pura potenza, la potenza di chi raccoglie il popolo ebraico, fa sì che abbandoni la custodia della forza egizia e, attraverso il mare, lo conduca alla patria designata.
Tento di immaginare quello che provò Sigmund Freud nelle sue varie visite, in anni diversi, di fronte all’insigne rappresentante del suo popolo ed, infatti, il grande Freud ne fu talmente impressionato da comporre un testo base della sua psicoanalisi.
Ma non c’è un solo Michelangelo nella nostra storia, ce ne sono altri, ed un altro maestro di vita scopriamo in Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio.
Impossibile raccogliere un giudizio sulle sue opere, tanto grande e tempestoso il suo breve periodo creativo, ma vorrei ricordare un dipinto che amo in particolare.
Matteo e i publicani che contano il denaro tassato, mentre una lama di luce li raggiunge nel buio seguendo la mano di Cristo accompagnato dai discepoli.
Il classico raggio di luce nell’oscurità, tipico del Caravaggio, ma questa volta la rappresentazione dell’irrompere della divinità su un banale atto umano, come a rischiararlo e a potenziarlo, portandolo fuori dal comune.
La pittura del Caravaggio che segue, o meglio, prosegue la scultura del Buonarroti nel flusso mai interrotto dell’Arte.
Secoli dopo ecco un altro Michelangelo, maestro in una nuova Arte, il Cinema.
E il soggetto è un campo da tennis, quasi deserto, in un giardino di Londra, così lontana dai luoghi comuni, in cui due giovani giocano a tennis, ma non hanno racchette, non esiste una pallina, c’è solo una serie di movimenti che allude allo sport, quello vero.
Improvvisamente, la pallina immaginaria esce dal campo e tocca a lui, il nostro fotografo, raccoglierla e forse rilanciarla, mentre la camera lo inquadra, facendolo risaltare per quello che è, un povero essere umano.
È il finale di “Blow-Up”, il capolavoro del terzo Michelangelo, che tanta influenza ha esercitato su di me, sia in Italia che a Londra, sede non banale del film.
Non voglio fare confronti fra i tre artisti, dico soltanto che hanno esercitato una profonda influenza su di me, e vorrei che altrettanto facessero su tanti, schiavi del banale.
Viator
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