Mai andare al cinema con delle aspettative!
Lo abbiamo imparato dalla vita, però – al cinema – qualche volta ci caschiamo ancora.
E’ stato così – almeno per me – per iI filo nascosto, film scritto diretto e co-prodotto da Paul- Thomas Anderson, ambientato all’interno dell’industria della moda londinese degli anni cinquanta.
Più che “estetizzante” il film mi è sembrato “anestetizzante”, faticoso, pretenzioso, fatto di una storia che senza dubbio ha molti spunti per un setting psicoanalitico, ma pochi per fartela amare, troppo presa da sè stessa, narcisisticamente e arrogantemente.
Molte amiche ci si sono fiondate per il bel tenebroso Daniel Day-Lewis ( preferisco da sempre lo sguardo miope di James Dean ), che senza dubbio pienamente incarna nel film la paranoica arroganza del protagonista.
Non so perchè ma l’ho sempre pensato così nella sua vita personale: uno che lascia la donna dalla quale ha avuto un figlio per via fax , uno che sposa l’altezzosa figlia di quell’Arthur Miller che comprendeva bene la psiche dell’America ma forse meno bene quella della Monroe (e forse anche la sua ), uno che non è riuscito a trasmettere sullo schermo l’eroica eroticità di Tomas, protagonista di quell’insostenibile leggerezza dell’essere di cui Kundera fu buon cantore, insomma uno così non mi ha mai catturata.
Perdonate, ho sconfinato un poco nel gossip, ma ci sta con questo film che l’unica voglia che mi ha fatto venire è stata quella di un bel piatto di funghi con le uova, preferibilmente non avvelenato come quello che il protagonista chiede, con un bacio, alla moglie/madre cattiva.
Moglie/madre perfettamente inserita in questa casa di scale, dove il padrone sta in alto, quotidianamente raggiunto da tante donne lavoranti e adoranti un uomo che fa della sua fragilità patologica il perno della sua ossessiva creatività. E poco importa se le donne ( in questo caso sorella e moglie/madre )si coalizzano contro di lui, è altro il modo per liberarsi e inizia sempre dal coraggioso sguardo del di dentro. Anche la schiavitù può diventare abitudine.
Vittima e carnefice sanno reciprocamente riconoscersi, s’annusano e subito se ne vanno a casa insieme.
Così è stato per i nostre due protagonisti, ben vestiti e pettinati, capaci di penetranti azzanni e di fruscianti silenzi, avvolti in taffetà e organza, dove il filo nascosto non nasconde alcun segreto; solo una continua lontananza dalla semplicità della vita, quella che non vuole catturare nulla e nessuno, ma solo amare.
E qui l’Amore è andato da tempo in esilio. Anche l’isola ha la sua significanza.