Il “Piano Marshall” per l’Africa lo farà la Cina

Sono anni che l’Unione Europea ipotizza piani d’intervento nel continente africano come misura per combattere l’arretratezza di quel continente e contenere la conseguente migrazione di quei popoli verso i paesi sviluppati dell’Europa. Nel concreto si è trattato di interventi sparuti fatti dai singoli Stati verso specifici paesi dotati di ricchi giacimenti di petrolio, gas e in generale di materie prime.  Di certo è mancata un’organica strategia capace di favorire processi di integrazione tra i Paesi Africani e quelli Europei.

L’obiettivo non era semplice, anche per la mancanza di classi dirigenti dotate di una cultura statuale, la divisione di dette società in etnie religiose che porta sovente a lotte tribali all’interno dei vari paesi, la pressoché totale assenza di tradizioni democratiche.

Con il “Forum della cooperazione Cina Africa” che ha raccolto nella capitale cinese 50 leader africani, Xi Jinping, il leader cinese, sta mettendo in atto un consistente piano di investimenti per il continente africano.

Il Dragone non mette naso nella politica interna, cosa che i leader africani gradiscono. Mentre promette loro enormi risorse: 15 miliardi di aiuti e prestiti a interessi zero, 20 in linea di credito, 10 in un fondo per lo sviluppo, 5 per il commercio e altri 10 da imprese private. Totale 60 miliardi di dollari.

La convergenza è soprattutto di natura economica: la domanda cinese riguarda in particolare le risorse economiche, mentre l’Africa ha la necessità di dotarsi di infrastrutture per estendere le relazioni commerciali al proprio interno e con il resto del mondo.

Nell’arco di dieci anni gli scambi commerciali sono decuplicati passando da 20 miliardi nel 2003 ai 200 miliardi del 2012, registrando un tasso di crescita annuale del 16%. Nel 2014, le importazioni cinesi dall’Africa superano i 200 miliardi di dollari, mentre quelle africane dalla Cina 93 miliardi di dollari.

Pechino considera ancora modesto il valore delle merci scambiate con il continente africano, pari soltanto al 5,1% dell’interscambio commerciale cinese con il resto del mondo, sebbene sia raddoppiato rispetto al 2,2% del 2003. L’Africa vede invece gli scambi commerciali passare dal 3,8% del 2003 al 16,1% del 2012.

La Cina importa dall’Africa petrolio (64%), minerali( 22%) e manufatti (8%).L’Africa rifornisce la Cina con 1,2 milioni di barili di greggio al giorno, per metà estratti dall’Angola. Più diversificate le esportazioni cinesi in Africa: macchinari e attrezzature per il trasporto (38%), manufatti (30%), tessuti (22%), prodotti chimici (5%).

La speciale attenzione che Pechino pone sulle infrastrutture è dettata dalla complementarietà economica esistente con i paesi africani. Da un lato l’Africa resta carente di centrali elettriche, porti, linee ferroviarie, reti di telecomunicazioni e di trasporto, mentre la Cina possiede oggi una delle più grandi e competitive industrie delle costruzioni civili.

Questa specie di “Piano Marsahall” cinese a favore dell’Africa produrrà effetti significativi – in termini di maggior occupazione e diffuso benessere – nel corso di un quinquennio. Di questo processo ne dovrebbe beneficiare anche l’Europa, nel senso che lo sviluppo economico del continente africano dovrebbe portare ad un’attenuazione del fenomeno migratorio portandolo entro margini fisiologici come avviene per qualsiasi altra area del pianeta. Costituendo quindi non più un problema per l’Europa e per Salvini, bensì un’opportunità per accrescere gli scambi commerciali oltre che economici e culturali, con i paesi dell’altra sponda del Mediterraneo.

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