Partendo da Cuzco, l’antica capitale Inca, ci sono due linee ferroviarie di importanza storica.
L’una, la più nota, è il Ferro Carril Cuzco-Machu Picchu, che ci porta lungo un percorso dominato dal Rio Urubamba, sino alle pendici dei terrazzamenti montuosi, su cui siede la famosa località.
Il nome del treno è Hiram Bingham, lo scopritore americano del sito nel 1911.
Nel mio primo viaggio alla nota località, mi trovai a sedere sul treno accanto ad un indigeno Quechua, che indossava un costume tradizionale e con il quale interloquii in uno spagnolo tutto sommato comprensibile.
Mi descrisse il sito che dovevo poi visitare e mi disse che nella lunga fuga dai Conquistadores spagnoli, i principi rimasti avevano iniziato una ritirata nella giungla amazzonica e ne erano rimaste le testimonianze nascoste e quasi divorate dalla vegetazione.
Passarono un paio d’ore quasi esaltanti nella visita al sitio (spagnolo) e l’afflato semidivino si propagò dal Vecchio Picco (Machu Picchu) al Nuovo Picco (Huayna Picchu) attraverso le profondità orride del fiume Urubamba, che sta sotto.
Rividi l’indio che mi salutò e dichiarò di chiamarsi Manolo, in versione europea, e mi chiese se ero interessato a vedere quei resti inca per i quali bisognava entrare almeno ai bordi nella giungla amazzonica.
La cosa mi solleticava ma al tempo stesso temevo che un safari di quel tipo potesse essere molto pericoloso, per cui chiesi a Manolo, nel viaggio di ritorno, come bisognasse vestirsi e in generale cosa bisognava portare con sé.
La neo guida mi disse che era importante indossare dei robusti pantaloni e degli stivali a gambale per evitare morsi di insetti o di serpenti e poi, secondo lui, fondamentale dotarsi di un tagliente machete.
L’ultima richiesta fu quella di una tenda con un fondo particolarmente robusto, per evitare acqua o umidità.
Nella piccola Cuzco non fu difficile trovare dei negozietti che disponevano di tutto questo materiale, il che faceva supporre che vi erano molti neo esploratori.
Gli ultimi accordi furono presi nell’hotel El camino real e si decise di partire alla ricerca di qualche rovina inca seguendo il percorso dei fuggitivi inseguiti dai Conquistadores assatanati dall’oro.
Iniziava l’avventura: ma solo quando mi trovai di fronte alla muraglia di alberi e arbusti mi resi conto delle difficoltà, specialmente per un cittadino come me.
Manolo apriva dei varchi utilizzando il machete con molta destrezza, anche perché la giungla aveva mangiato i sentieri creati dagli uomini secoli prima.
Mi sentivo incoraggiato dalla prospettiva di trovare qualche rovina, ma dall’altra parte spaventato dai rumori assolutamente nuovi per un viaggiatore dilettante.
Effettivamente alla fine del primo giorno, passate alcune ore, si trovarono delle costruzioni che potevano essere incaiche, una sorta di piccolo villaggio, con le pietre allineate come nella capitale Cuzco, ma si trattava di poca cosa e il tutto era diroccato.
La notte fu trascorsa nella piccola tenda in condizioni quasi drammatiche e ad un certo punto della notte mi svegliai in preda ad un incubo, pensando che la mia guida poteva agevolmente tranciarmi il capo con un colpo di machete ben assestato.
Per un po’ provai una paura folle, poi mi ricordai che gli avevo promesso il compenso solo al ritorno dal viaggio e che tutti i miei averi erano custoditi nei piccoli lockers dell’albergo stesso.
Il secondo giorno fu molto meno fortunato, ci si inoltrava nella giungla senza punti di riferimento, senza rovine o reperti umani e poi sinceramente incominciavo a sentire strani rumori per cui pensavo che non sarebbe stato simpatico imbattersi in un giaguaro, cosa quasi impossibile al dire di Manolo, ma io non potevo fare a meno di pensarci.
Gambe in spalla e ritorno indietro, non erano poi molte miglia, ma evidentemente infide e pericolose.
El camino real mi attendeva fra le sue braccia, con i suoi cocktail tropicali e la sua aria condizionata a ventola, molto coloniale in verità, ma con una minima accoglienza occidentale.
Il giorno dopo mi incontrai con Manolo, gli detti quanto avevamo pattuito e gli lasciai in regalo tutta l’attrezzatura che avevo comprato per il safari: se l’era meritata.
Lasciavo il Perù via Lima, ma altri paesi del Sud America mi attendevano, altre vicende ed altre avventure.
Viator
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