Molti si saranno sorpresi nel sentire Giorgia Meloni ribadire a chiare lettere, nel suo discorso di fine anno, l’obiettivo del presidenzialismo come parte integrante del programma elettorale, suo e della sua coalizione. Ma chi glielo fa fare? Proprio ora che ha il vento in poppa, andarsi a infilare in quel triangolo delle bermude in cui anche i leader migliori sono malamente naufragati? Ha dimenticato il capitombolo di Renzi? E può davvero pensare che i suoi partner, già rosi dall’invidia di vederla primeggiare a Palazzo Chigi, le spianino la strada di una svolta storica che le garantirebbe un trono – e una durata – alla francese?
La risposta più semplice è che si sia trattato di una sortita estemporanea, una attestazione di fedeltà a una promessa che la Premier sa fin troppo bene quanto sia difficile mantenere. E che si vedrà costretta quanto prima a rimettere nel cassetto dei sogni. Si, è probabile che andrà a finire così. La mole delle sfide che attendono il Presidente del Consiglio è tale che, volente o nolente, non avrà il tempo e le energie per mettere in cantiere una riforma costituzionale di tale portata e sconquasso. Però. Ci sono almeno due ragioni per cui a Georgia Meloni converrebbe continuare a battere sul tasto. E farne un tema permanente della propria narrazione di governo.
La prima ragione è tattica, riguarda i propri alleati. Meloni sa che sia Salvini che Berlusconi non possono svicolare sul tema. Almeno nelle dichiarazioni pubbliche. Così, senza alcun dispendio di energie, incassa e ribadisce – su un fronte critico – una posizione unitaria nei confronti del paese. Non sarà molto, ma neanche poco. Ad adiuvandum, Meloni sa anche che lo spettro del presidenzialismo aizza le opposizioni peggio che un drappo rosso con un toro. Più batterà su questo tasto, più la sinistra alzerà i toni dello scontro. Un altro modo per ricompattare le truppe insofferenti del centrodestra.
Ma la ragione più importante è strategica. Meloni è giovane, neanche cinquantenne. E deve avere certo ben presenti le statistiche degli ultimi anni, con l’otto volante dei leader che l’hanno preceduta ai vertici. Proiettati improvvisamente sugli altari e – dopo soli due anni – precipitati rovinosamente nella polvere. Che calcoli, che speranze può nutrire? Se tutto le dovesse andare liscio alla perfezione, potrebbe addirittura riuscire nel record di concludere in sella la legislatura. Non sono in molti a crederci, probabilmente non ci crede lei stessa. Ma comunque, che succederebbe dopo? Visto che questa legge elettorale a nessuno conviene cambiarla, ricandiderebbero lei? Possibile, ma altamente improbabile. E la sinistra, sarà ancora in coma? Probabile, ma non garantito. Perfino nella corazza oligarchica del partito più conservatore d’Europa potrebbe far breccia un nuovo leader. E innescarsi quell’effetto bandwagon degli elettori all’inseguimento del nuovo che decide da vent’anni le sorti delle nostre competizioni elettorali.
Con questi interrogativi sul tappeto, Giorgia starà pensando se non sia meglio giocare d’anticipo. Intestarsi e tenere ben vivo un messaggio di innovazione radicale, l’innovazione istituzionale di sistema. Buono sia se cambiasse il vento, sia se dovesse prolungarsi l’attuale fase di bonaccia. Se dovesse trovarsi nello stretto, se gli avversari – esterni e interni – provassero a metterla spalle al muro, potrebbe ribaltare l’agenda. Tornare in solitaria, ma con una bandiera ben visibile e riconoscibile. Per essere pronta a rilanciarsi alla prima occasione. Dopotutto, quali equilibri sarebbero possibili se la leader di Fratelli d’Italia si sfilasse?
Ovviamente, la strada che la Premier preferirebbe sarebbe quella in discesa. Una fortunata catena di successi e un aumento di popolarità che le consentissero il grande azzardo, una svolta gollista anche in Italia. Certo, letti di fila sembrano castelli in aria. E forse lo sono. Soprattutto di questi tempi, quando è già difficile trovare un leader che guardi oltre l’orizzonte di un semestre. Ma, almeno per il momento, il castello presidenziale è un’immagine cui non manca una certa dose di fascino. E alla Premier serve nutrire di immaginazione la sua brillante comunicazione.
di Mauro Calise
(“Il Mattino”, 2 gennaio 2023)
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