In margine ad alcune “mitiche” poesie…sempre attuali.
…
VEGLIA di Giuseppe Ungaretti
Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita
Cima Quattro 23 dicembre 1915
L’ “Allegria” (titolo precedente “Allegria di naufragi”: naufràgi, non naufraghi, ossimoro che allude alla persistenza della vita in mezzo alla morte; tema anche di “Veglia”) è il diario di guerra, autobiografico (vedi le date in epigrafe), di U. soldato nelle trincee dell’Isonzo.
La poesia di U. fu rivoluzionaria. “E’ stato il primo poeta che abbia introdotto nel verso italiano autentiche innovazioni formali” (Contini). L’assenza della punteggiatura, la sintassi (la frase) quasi scomparsa, sostituita dalla parola, isolata dallo spazio bianco del microverso, il quale fa da cassa di risonanza, e provoca attesa e tensione nelle pause della lettura da un versicolo all’altro (Fortini).
Parola-verso, parola nuda, cellula, monade, in presenza della violenza espressiva, deformante (Mengaldo), che connota la crudezza delle immagini.
In “Veglia” l’espressionismo è marcato dalla scelta delle parole: buttato (Ungaretti, nel fango), massacrato digrignata congestione penetrata (il cadavere del compagno morto). U. usa una lingua standard, comune, nella quale inserisce alcune parole di forte carica semantica, che acquistano così rilevanza. Anche il seguente schema espositivo (vero traliccio della poesia) è frequente. Consta di tre fasi: 1.descrizione oggettiva; 2. reazione/riflessione soggettiva; 3. conclusione, spesso in forma di sentenza gnomica, epigramma. Qui: per il punto 1: i primi 11 versicoli; il punto 2: i vv. 12 e 13; il punto 3: la seconda strofetta staccata. Le parole, concentrate, sono ridotte al minimo. Mancano gli aggettivi, sostituiti dal participio passato di verbi rilevanti (buttare massacrare digrignare penetrare), che recano l’azione verbale implicita, atta a descrivere l’orrore dell’intera nottata.
Splendida per efficacia la sinestesia a tre sensi: vista tatto udito (vv. 8-11), che segue i vv.4-6 (lo spasimo dell’agonia), e completa la iper realistica descrizione del cadavere del compagno. Le lettere d’amore scritte da U. al chiarore del plenilunio (la Natura quasi indifferente allo spettacolo di morte della trincea), non sono una metafora, bensì vere lettere (da sua dichiarazione), scritte per sopportare l’angoscia, “una reazione istintiva alla disperazione” (Simona Costa).
La deformazione corporea (Schiele) e la violenza del lessico si avvertono anche a livello fonico: l’insistenza sulla dentale T, la sibilante S, la vibrante liquida sonorizzata R., coi suoni duri cra, gri, gna, tra.
Il titolo della poesia è un indicatore semantico; U. è vivo, sveglio, mentre il compagno sta dormendo il suo sonno definitivo. Tutta la poesia poggia sull’antitesi tra parole negative e positive, tra la morte e la vita. Quest’ultima irradiata dal luminoso paesaggio lunare, e recuperata dalla volontà di U. di “conservare lo slancio vitale e l’appetito di vivere, moltiplicati dalla quotidiana frequentazione della morte” (sua dichiarazione, riportata da Carlo Ossola), reazione espressa proprio nella strofetta finale.
Per il 4 novembre. “Nella mia poesia non c’è traccia di odio per il nemico, né per nessuno. C’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione”. Ungaretti, note a “Il porto sepolto”.
Commenta per primo