Sappiamo che questa pandemia sta colpendo più duramente certi settori, mentre altri li sta facendo decollare. Turismo, aeroporti, autoveicoli stanno pagando un prezzo salatissimo, mentre l’industria farmaceutica e quella delle telecomunicazioni vedono crescere il fatturato. Ma c’è un business che più di ogni altro si sta ingrossando a vista d’occhio. È il business della politica.
Prima della crisi, conoscevamo con discreta approssimazione di che entità fosse la torta da spartire. Che tipo di provvedimenti, in quali ambiti, e con quali meccanismi decisionali. Quanto pesasse ciascun ministero, quanto il governo rispetto al parlamento, e quanto la galassia degli enti le cui nomine dipendevano da quegli equilibri. Era scritto tutto nel manuale su cui studiano, fin da giovanissimi, i politici. Perché questo è il loro mestiere, conoscere a menadito l’arcipelago del potere per imparare quali poltrone occupare per contare di più. La versione bignami di questo manuale era il Cencelli, ma per prepararsi per bene occorrevano anni di praticandato, e studi ben più approfonditi. Fino a ieri. Con la pandemia sono cambiate le carte in tavola. E tutti sono stati costretti a farsi un corso accelerato su un testo di qualche decennio fa, di Carl Schmitt, il cui succo si condensa in una frase: «Sovrano è chi decide nello stato d’eccezione».
Tradotto in termini più prosaici, l’improvviso stato d’eccezione in cui sono precipitate tutte le democrazie ha prodotto nuovi criteri – e nuove regole – per l’esercizio della sovranità. E, cosa ancora più importante, ne ha ampliato enormemente il raggio d’azione. Facendo diventare politici, cioè sottoponendo alla sfera decisionale del governo, ambiti di attività che fino a ieri marciavano per conto loro. O con normative già acquisite, e che nessuno pensava di cambiare. O con regole che nascevano direttamente dalla società, senza alcuna interferenza di legge. Gli orari di apertura di questo o quell’esercizio commerciale, se e come prendere un mezzo pubblico, quale fido bancario ottenere era materia codificata su cui, al massimo, si limava qualcosa. E se e quando incontrare il fidanzato era, tutt’al più, una questione di pertinenza familiare. Con la pandemia, invece, quasi tutto è finito nel calderone della politica. Da mille micro-decisioni politiche discendono le sorti di un intero comparto, o l’aggiudicazione di un bando, la perdita di un mercato estero o il sovvenzionamento per sfondare – grazie alla protezione statale – in un altro. Tutte decisioni che si prendono con molta urgenza e poca trasparenza, in nome dello stato d’eccezione.
Mettetevi a questo punto nei panni dei cosiddetti addetti ai lavori. Non con l’ottica del cittadino, che pensa: chissà se fanno le scelte giuste, con tutto quello su cui devon metter bocca. Ma con l’ottica di chi si trova, all’improvviso, a spartirsi una torta di proporzioni gigantesche. È un banchetto pantagruelico, una vera e propria orgia di potere. Sempre, ovviamente, che ci si trovi seduti nel posto giusto. È qui che le cose si complicano. Appena infatti – come in questi giorni – l’emergenza accenna a calare, si risvegliano gli appetiti di coloro che sono restati a bocca asciutta. In primis i parlamentari, di ogni colore politico, che son rimasti rinchiusi in casa. Poi i partiti, anche quelli di governo, che hanno visto l’esecutivo andare avanti, di decreto in decreto, condividendo il meno possibile. Altrimenti, che emergenza era? Infine tutti gli aspiranti leader – quelli trombati, autoaffondati o mai decollati – che si sono stropicciati gli occhi ogni volta che Conte usciva a reti unificate, col suo indice di popolarità che saliva e il loro fegato che scoppiava.
Ora, tirate le somme. E immaginate l’estate che ci aspetta. Se il virus – come tutti speriamo – andrà in vacanza, la scena politica rischia di trasformarsi rapidamente in una bolgia. Con tutti quelli che son rimasti a bordo campo decisi a prendersi la rivincita. E a cercare di infilarsi anche loro intorno al tavolo del coronapower. Stanno per arrivare i vaccini, le app per decidere come gestire la campagna d’autunno, i fondi europei che – prima o poi – sbarcheranno nelle nostre casse, le scelte di strategia geopolitica su uno scacchiere dove Cina e USA – e quel che resta dell’Europa – stanno cercando nuovi equilibri. La politica non è mai stata così in auge. Salvo riuscire a mettersi d’accordo: chi decide nello stato d’eccezione?
di Mauro Calise.
(“Il Mattino”, 4 maggio 2020).
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