La Grande Muraglia Cinese

Viaggio d’affari in Cina, visita a Pechino.

Pechino non è solamente la capitale della Cina, ma anche una città collocata geograficamente molto a nord: siamo quasi ai limiti della Mongolia.

Il nome evoca le invasioni di Gengis Khan, il creatore del più grande impero di tutti i tempi.

Al tempo stesso, per collegamento di pensieri, viene alla mente la grande muraglia, che doveva proteggere a nord la Cina dalle scorrerie dei popoli delle steppe.

Io e l’amico Nicola non possiamo farci sfuggire l’occasione di visitare un tal sito e quindi, zaino in spalla, abbandoniamo Pechino e procediamo, con una sorta di Jeep, per una quarantina di chilometri.

Fantasia cinese, ecco una sorta di grande tenda mongola, costruita non con pelli, ma in muratura, in cui all’interno si narrano, come in un arazzo, le gesta di Gengis Khan: le vicissitudini dell’infanzia, la prigionia, la liberazione, il conflitto col fratello ed infine la gloria, la nomina a principe di tutti i mongoli.

Solo che in questa tenda di mattoni, le vicende erano state cinesizzate, ovvero Temugin era diventato un eroe cinese e i suoi guerrieri nomadi, dei pre-cinesi, che si sarebbero civilizzati.

Un elemento di assorbimento e di appropriazione culturale abbastanza comune nella storia cinese, in cui tutto diviene Han.

Era inevitabile, per me e Nicola, una breve passeggiata sulla grande muraglia, forse cinquecento o mille metri, ma indimenticabili, nel senso di sentir soffiare il vento della storia di centinaia, migliaia di anni.

E poi lo sappiamo, la grande muraglia è lunga oltre cinque mila chilometri ed ha il significato di proteggersi da tutti i popoli provenienti dal nord, di proteggere questo immenso gioiello che era l’Impero Cinese.

Però, camminando sugli spalti, vengono alla mente emozioni particolari, come quelle provocate da “il deserto dei tartari” di Dino Buzzati e da certi allucinogeni racconti di Franz Kafka: l’immaginazione ci fa intravedere una nube di polvere e, dietro, le orde di mongoli galoppanti su piccoli, veloci destrieri.

Arrivano e vibra la terra, poi, in un momento di caos, si crea un varco nelle mura e la possente barriera si apre a uomini e cavalli, nel loro martellante percorso verso Pechino.

Ma, allora, a che è servito questo enorme serpente di pietra? Apparentemente a nulla, poiché è stato facile scavalcarlo, ma per secoli e secoli ha costituito una sorta di intangibile ostacolo, qualcosa di straordinariamente solido ed insuperabile.

Riferendomi ai miei viaggi, mi vengono in mente due episodi così altamente drammatici sulla inutilità di immani sforzi umani: le piramidi di Giza, con i sepolcri dei faraoni facilmente saccheggiati dopo pochi decenni dalla costruzione, ed, ancora, a Cuzco, capitale dell’impero Inca, in cui i ciclopici templi degli dei locali furono sovrastati e sopraffatti dai mattoni dei conquistadores, che nascosero le vestigia del vecchio con le nuove chiese cattoliche.

Il valore di queste gigantesche opere dell’uomo, così appariscenti da lontano, sembrano ridursi a orme sulla sabbia se comparate con la storia dell’umanità.

Una lezione di umiltà sembra necessaria di fronte all’immensità di quello che ci circonda.

Viator

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