La misteriosa morte di un grande architetto casalese: Bartolomeo Baronino (1511-1554)

Bartolomeo Baronino nacque a Casale Monferrato nel 1511.
Figlio di una famiglia di architetti di origine comasca e fratello di Bartolino e Francesco, architetti e ingegneri militari al servizio dei Gonzaga.
Il primo fu impegnato soprattutto nel rafforzamento della corona difensiva del castello di Casale. Mentre il secondo, oltre a lavorare al rafforzamento del castello dei Paleologi, si impegnò nella riparazione degli argini lungo il Po e nella realizzazione di nuove fortificazioni per la difesa della capitale del Monferrato.
Bartolomeo però doveva essere particolarmente bravo, oltre che affidabile, se giovanissimo lo troviamo a Roma, insieme ad altri ingegni casalesi, attirato dal grande fervore architettonico ed urbanistico di papa Paolo III (1468-1549) e al cui servizio si pose.
Nel 1535, a 24 anni, Bartolomeo venne nominato sotto mastro di strada.
Il mastro di strada aveva grandi responsabilità in campo edilizio ed urbanistico, molto pesanti in una città come Roma, ecco perché questa carica era appannaggio di giureconsulti di origine nobile, che però si appoggiavano, per le questioni tecniche, a sotto mastri, scelti fra i migliori architetti presenti nella città eterna.

Contemporaneamente a questo incarico, il Baronino svolse una grande attività di impresario, lavorando all’allargamento e al rifacimento di strade, vie e piazze e impegnandosi nei lavori per il palazzo del duca di Castro e per la posa del mattonato di piazza Farnese.
Tenne l’incarico di sotto mastro fino al 1547, ma il suo impegno per Paolo III fu costante, questi gli affidò la direzione dei lavori delle fortificazioni di Roma e quella del cantiere di palazzo Farnese, disegnato da Michelangelo. Era tale la fiducia del pontefice verso il Baronino che lo volle con sé, nel 1543, a Busseto, nell’incontro con Carlo V, che forse investì il nostro, in quella occasione, del titolo di conte palatino.
Questo si aggiunse a quello di priore della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, ottenuto nel 1541.
Il successore di Paolo III, Giulio III non fu da meno nell’affidargli incarichi, primo fra tutti la direzione dei lavori della splendida Villa Giulia, voluta come residenza estiva e ai cui progetti e disegni si impegnarono Michelangelo, Vignola, Ammannati e Vasari, quest’ultimo, nelle sue “Vite”, parla di una fontana da lui progettata e messa in opera dall’architetto casalese, che oltre ad essere direttore era anche impresario dei lavori.
Le cifre spese da Giulio III nella realizzazione dell’opera furono veramente elevate e si creò un vorticoso giro di denaro, alimentato anche dalle opere antiche acquistate per ornare la residenza.
Fra i venditori di antichità ci fu una vera e propria gara per rifornire il cantiere del meglio proveniente dagli scavi, allora effettuati senza alcuna regola e criterio.

Gli scambi consentivano contatti di ogni genere fra addetti ai lavori e fornitori, questi ultimi sempre alla ricerca di una più stabile sistemazione, in termini di forniture e prebende, che solo gli appartenenti alla curia e i loro familiari potevano garantire.
Forse in questo giro vorticoso c’era anche chi approfittava, vendendo a prezzi maggiorati determinati articoli e materiali.
Possiamo intuirlo ma non ci sono prove certe. Sicuramente chi era responsabile dei lavori ci pensava bene prima di prestarsi a certi giochi, ma alcuni biechi personaggi potevano non perdonare questo comportamento onesto.
La notte del 4 settembre 1554, nei pressi dell’Hortaccio, il Baronino venne aggredito e ferito al petto e al volto, tanto gravemente da morire due giorni dopo.
Genesio Bersano, piacentino, collaboratore del Baronino e testimone oculare, riferì al notaio dei malefizi, Virgilio d’Aspra, di aver cenato con l’architetto nell’osteria di proprietà di quest’ultimo e di esserne uscito, verso le 23, per recarsi, insieme ad altri due collaboratori, alla fontana del papa (a villa Giulia), dove discussero sulla sua sistemazione definitiva.
Verso le 24, i quattro, insieme ad alcuni lavoranti del cantiere, fecero ritorno a Roma, ad un bivio il gruppo si separò, i più si diressero verso le loro abitazioni, mentre i due presero la via della casa di Giulio Merisi, misuratore, per sottoporgli certe misure prese in precedenza al cantiere della vigna del papa (villa Giulia).
Mentre percorrevano un vicolo dietro la casa del Merisi, due individui, che Bersano aveva già notato seguirli, addirittura da quando erano usciti dall’osteria, si avvicinarono al Baronino e, dopo averlo afferrato per il braccio, sferrarono due coltellate, una al petto e una al viso.
Il servitore tentò una reazione ma cadde. Le urla e la disperazione spinsero il Baronino a entrare in una casa per chiedere soccorso.
Fu serrata la porta, lasciando fuori il malcapitato testimone, mentre i due aggressori si diedero alla fuga.
Bersano fece un sommario identikit dell’aggressore più alto: aveva barba corta e nera, ciglia folte, indossava un tabarro biscio e un colletto di camoscio, tagliato alla spagnola. Dell’altro seppe dire meno: basso di statura, con la barba, ma non ricordava il colore, e vestito in maniera dimessa.
Non li aveva mai visti, se non all’osteria, uscendo, quando Baronino gli aveva augurato buona cena, ma il più alto lo avrebbe riconosciuto senza indugio.
Era tardi, e volendo ascoltare anche il ferito, il notaio criminale interruppe l’interrogatorio per recarsi là dove era ricoverato.
Questo, dopo i primi soccorsi nella casa del barbiere (cerusico), era stato trasportato a casa di mastro Antonio De Fico, detto Focacciola, un altro suo collaboratore, e non a casa propria, forse per non spaventare la moglie o perché troppo lontana.
Il magistrato, avendolo trovato in gravi condizioni, rimandò l’interrogatorio al giorno successivo.
Il 5 settembre, riprese la deposizione di Genesio Bersano che aggiunse altre informazioni, ricevute dall’oste che li aveva serviti la sera precedente e da altri: i due sicari avevano cenato in quella stessa osteria e quando lui e l’architetto erano usciti quelli avevano pagato frettolosamente il conto (15 baiocchi) e li avevano seguiti con il capo incappucciato. Non solo, due giorni prima erano stati visti andare su e giù per la via grande e chiedere informazioni sul Baronino ad un questuante sempre presente su quella strada.
Terminato l’interrogatorio, il notaio tornò nuovamente dalla vittima, questa volta non solo per dovere d’ufficio ma su comando di Giulio III, seriamente preoccupato per Bartolomeo.
Lo trovò coricato, in una camera al pianterreno della casa di De Fico, con una profonda ferita al petto e una al volto. Era grave, tanto grave che sarebbe deceduto il giorno dopo, 6 settembre, ma ebbe ancora la lucidità e la forza di parlare e di manifestare i suoi sospetti.
Confermò quanto detto da Bersano: erano due sconosciuti, incontrati solo uscendo dall’ osteria, dopo cena, che al saluto non avevano risposto e il più alto gli aveva sferrato il colpo mortale.
Alla domanda se avesse nemici rispose di essere un uomo pacifico, di non aver mai avuto nemici tanto è vero che non girò mai armato, e questa non era certo la norma in un secolo violento come il XVI.
Formulò però un sospetto: il mandante avrebbe potuto essere un tal Giovanni Antonio Stampa, figlio di un sarto abbastanza rinomato a Roma.
Giovanni Antonio era figlio di Pietro, sarto appunto, ma anche collezionista e mercante di cose antiche. Abbiamo già detto di Villa Giulia porto di mare di fornitori di materiali da costruzione, di vettovaglie e di anticaglie, e fra questi trafficava anche Giovan Antonio, che frequentava il cantiere sia con l’intento di far acquistare a Giulio III la collezione del padre, sia nel tentativo di entrare al suo servizio.
Aveva quasi raggiunto il primo scopo, vendere a 1000 scudi d’oro la raccolta (173 pezzi), anche grazie all’appoggio dell’Ammannati, ma poi non se ne fece niente. Forse per intervento del Baronino, architetto esperto e fedele servitore del papa? Forse, fatto sta che la vittima, proseguendo nella sua deposizione e citando due testimoni affidabili, Rossino Pernoiato, commissario del cantiere, e Paolo Pianetti, scalpellino, affermò che lo Stampa lo aveva apertamente accusato di avergli fatto perdere una fortuna e la possibilità di entrare al servizio del papa e che per questo gliela avrebbe fatta pagare.
Bartolomeo aggiunse anche che quello era considerato un “tristarello” (malvagio) e che diceva tutto ciò sapendo di essere in punto di morte e dopo essersi confessato.
Dopo la sua morte, la giustizia continuò il proprio corso, investigando e cercando nuove testimonianze. Intanto venne confermata l’assenza di inimicizie. Valente de Ugioni, scultore milanese, aggiunse solo che sul cantiere di villa Giulia lo aveva visto litigare con il Vignola, ma per cose tecniche, dato che poi erano andati a mangiare insieme amichevolmente.
Il delitto aveva dei contorni poco chiari e quindi il notaio d’Aspra cercò di individuare oltre che gli esecutori anche i mandanti. Vennero interrogati quasi trenta testimoni.
Fra quelli oculari la più precisa risultò una certa Elisabetta Fontana, di anni 60. Erano due giovani, uno alto e uno basso, entrambi con mantello e berretto nero, tipici dei soldati. Il più alto era robusto, bianco di carnagione, con barba bionda e rada.

Due particolari, indossava un giubbone bianco di tela di Lodi e calze bianche di panno spesso tagliate alla colonnese. Il sicario basso era scuro di carnagione, con barba rada e nera e indossava calze gialle. Lui ferì il povero Bartolomeo al volto, mentre quello alto inferse il colpo mortale al petto. La donna notò pure che il pugnale era stretto alla punta e largo verso l’impugnatura (sicuramente uno stocco) e che l’assassino, dopo aver vibrato il colpo, prima di fuggire, controllò che la lama grondasse di sangue.
Le indagini presero due direzioni: quella di Giovan Antonio Stampa e la “pista casalese”.
Lo Stampa fu interrogato e sottoposto alla tortura per ben due volte, ma senza risultati. Ammise le minacce alla vittima ma respinse le accuse di essere il mandante dell’omicidio. Invocò il Signore e la Madonna, bestemmiò, urlò, si disse pronto anche ad accusarsi pur di non essere più sottoposto a tortura. Durante una delle fasi se la fece anche addosso.
Non si arrivò a nulla. Alcuni testimoni però furono chiari nel definire l’accusato un tipo poco raccomandabile. Mastro Paolo Pianetti, riferendosi alle teste di marmo antiche, portate a Villa Giulia dallo Stampa, le giudicò non troppo belle. Mastro Valente de Ugioni rincarò la dose chiamandolo cattivo soggetto e truffatore.
Lo stesso padre, Pietro, lo definì figlio poco amante del lavoro. Il fratello Vincenzo parlò invece dei buoni rapporti fra la sua famiglia e il Baronino, esperto d’ antichità, che aveva visitato la collezione paterna di cose antiche.

Questo filone di indagini si esaurì senza giungere ad una conclusione.
Il 17 settembre 1554, in seguito ad un sospetto formulato da uno dei fratelli di Bartolomeo, il notaio dei malefizi indirizzò le indagini su Francesco d’Alba, casalese, familiare (domestico) di Baldovino del Monte, nipote del papa Giulio III e personaggio politico di grande rilievo.
Furono interrogati due casalesi, un certo Evasio e Vincenzo Servidio, fornaciai, da molti lustri residenti a Roma e conoscitori del d’Alba, essi rivelarono che Francesco era fuggito da Casale perché sospettato di omicidio.
Fu poi interrogato Trino di Casale, familiare di Ersilia del Monte, nuora di Baldovino, che affermò di essere compaesano di d’Alba, di conoscerlo da venti anni e che era un pessimo soggetto.
Confermò la notizia dell’omicidio e della fuga da Casale senza però portare prove tangibili. Aggiunse che Francesco si accompagnava con un certo Spagnoletto, uomo violento, che avrebbe potuto uccidere il Baronino, essendo capace di peggio.
Parlò poi di una lite fra la vittima e il sospettato. Di una lite fra i due parlò anche il cremonese Francesco Sonano, altro familiare di Baldovino del Monte. Entrambi però non seppero dirne la causa.
Sonano rivelò anche i contatti fra il sospettato e certi soldati, due dei quali aveva visto ancora il 29 settembre nella sua camera, ritenendoli possibili sicari.
Aurelio Bobba, casalese, conoscente di D’Alba da 18 anni, lo accusò di essere litigioso.
Dopo tali testimonianze, ritenute però spesso alimentate da avventatezza, odio e gelosia di mestiere, il magistrato preferì non procedere oltre, attendendo prove più concrete o forse temendo,investigando fra i dipendenti dei parenti di papa Giulio III, di sollevare un qualche vespaio.
Alla fine non si individuarono né gli esecutori, né i mandanti. Successivamente lo storico Bertolotti ipotizzò che la morte del Baronino fosse stata causata da invidia di mestiere, perché aveva raggiunto una posizione importantissima nella Roma dei Giulio III.
Ma forse in questo delitto giocarono altri fattori. Certo è che entrambe le piste sono attendibili. Quella di Francesco D’Alba, rancoroso per una ventilata denuncia di Baronino al suo signore (deposizione di Sonano), che trova la complicità di due mercenari, abituati ad uccidere per denaro, presenti nella dimora di Baldovino del Monte, politico e condottiero al servizio del papa, e magari prossimi alla partenza da Roma. I due aggressori, agli occhi di Elisabetta Fontana, avevano le caratteristiche dei soldati, per l’abito e l’arma usata, uno stocco, dalla lama che si allarga dalla punta verso l’impugnatura. Ma è valida anche la seconda pista. I fratelli Stampa furono  sempre animati da una grande ambizione, tanto da sfruttare le loro competenze antiquarie per ottenere la protezione di potenti famiglie signorili, Gonzaga, Este, Farnese e Borromeo, e Giovan Antonio non fu esente da comportamenti criminosi: nel 1566, fu arrestato per insolenza contro una cortigiana. Nel 1569, fu condannato per frodi con la confisca dei beni. Era ancora in carcere nel 1574. Per cui il giudizio di “tristarello”, pronunciato dal Baronino morente, non era infondato se riferito ad un violento, propenso a vivere di espedienti e di frodi. Bartolomeo Baronino venne sepolto al Pantheon, ma non ebbe pace neppure da morto, dato che le sue ossa vennero spostate all’interno dell’edificio nel 1597.

Per saperne di più:
Antonino Bertolotti
“Artisti subalpini in Roma nei secoli XV, XVI, XVII”

Antonino Bertolotti
“Bartolomeo Baronino da Casalmonferrato architetto in Roma nel secolo XVI- notizie e documenti raccolti.”

Enciclopedia alessandrina
I personaggi vol. I
“Baronino Bartolomeo”

Renata Battaglini Di Stasio
“Baronino Bartolomeo”

Dizionario biografico degli italiani

Barbara Furlotti
“Stampa”
Dizionario biografico degli italiani

Egidio Lapenta

 

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