Mettetevi nei panni del presidente americano. Nei suoi panni. Non con i vostri valori, quelli che nobilmente vi hanno spinto a schierarvi al fianco dell’Ucraina. Ma con i valori e le idee che Trump ha esposto con fin troppa chiarezza durante il suo primo mandato e, ancor più nettamente, da quando è stato rieletto. Partendo da tre punti cardinali che – li condividiate o no – sono quelli che guidano i suoi interventi.
Il primo è di avere dietro la spinta di un ampio e solido consenso popolare. Quando guarda all’Europa, Trump vede ventisette nazioni profondamente divise al proprio interno, con maggioranze precarie anche quando ci sarebbero i numeri parlamentari. Interloquisce con il premier inglese, ed è il quinto nel giro di tre anni. Quando incontra Macron, sa bene che ha i mesi contati. Il cancelliere tedesco ancora non è stato nominato, e si sa già che non avrà vita facile. Questi sarebbero i paesi più forti. Immaginate che abbia tempo e voglia di continuare nell’elenco fino al ventisettesimo? L’idea che si sarà fatta – anche senza aver letto Metternich – è che politicamente l’Europa è un’espressione geografica. E come tale è intenzionato a trattarci. Traendone tutti i vantaggi che la situazione gli consente.
E la situazione – è il secondo pilastro della realpolitik di Donald Trump – è quella di equilibri geopolitici a noi profondamente sfavorevoli. Quando Trump avrà cominciato a esaminare questo punto durante gli anni in cui preparava la nuova presa di potere, non avrà creduto ai suoi occhi. Per trent’anni dopo la caduta del muro, l’Europa – sotto la guida della Germania e della Merkel – aveva puntato molte carte su un’alleanza con la Russia di Putin. Sia per motivi energetici e nuovi mercati di sbocco, sia per provare a emanciparsi dalla totale dipendenza militare dagli Stati Uniti d’America. Una dipendenza comodissima, visto che non pagavamo il conto, ma che presentava qualche rischio se un domani gli americani avessero cambiato idea. Si sa, fidarsi è bene… Invece, nel giro di pochi giorni, l’Europa aveva bruscamente invertito la rotta e decretato che Putin era il suo peggior nemico. Direte voi, per ottime ragioni. Certo, ma per la realpolitik appariva una mossa sbagliata. L’Europa si era indebolita, privandosi di un alleato di peso e, peggio ancora, facendolo finire nell’abbraccio della Cina di Xi.
Dunque, oggi di fronte a Trump c’è una Europa divisa e debolissima, e una Russia militarmente molto forte che bisogna cercare di staccare dall’alleanza ferrea con la Cina. Magari cogliendo l’occasione anche per fare un po’ di affari, un tema che al presidente businessman è sempre stato molto a cuore.
Col che arriviamo al terzo pilastro, quello più ostico per noi da digerire. La visione ideologica di Trump non è quella di un despota improvvisamente spuntato sul suolo americano, di cui si è più o meno fortunosamente impossessato. Interpreta e si fa portavoce di una antica tradizione della «first new nation», ancora profondamente radicata a livello popolare: uno spirito libertario radicale in cui i diritti dell’individuo sono il fondamento della sovranità. È lo spirito della frontiera, dell’antistatalismo, di una democrazia che non può travalicare le libertà personali. È questa concezione ad animare ogni discorso presidenziale, a metterlo in sintonia col «common sense» del suo elettorato. Una ideologia oggi ancora più forte perché si è fusa con il nuovo credo dei signori del Big Tech, il cosiddetto canone della Silicon Valley.
Si sa che i politici – anche quelli europei – leggono poco. Ma forse farebbero bene a dare almeno una scorsa ai testi considerati la «bibbia» della tech elite americana. Libri, documenti, dibattiti che hanno forgiato una filosofia del potere completamente diversa da quella che aveva animato i primi passi della rivoluzione digitale. Ora, il nucleo propulsore non è più la tecnologia come leva di una nuova collettività. Ma l’estrema insofferenza per i lacci e lacciuoli della regolamentazione pubblica, e la perentoria richiesta che i geniali inventori di futuro non vengano intralciati nella loro missione palingenetica. Come Elon Musk sta dimostrando a tutto gas.
La vecchia Europa può nutrire disprezzo per questo modo di ragionare e comportarsi. Ma non sarà con le parole e le buone intenzioni che riuscirà a fermare il rullo compressore del nuovo liberalismo americano.
di Mauro Calise.
(“Il Mattino”, 3 marzo 2025).
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