L’ associazione Italiani Europei ha organizzato sulla piattaforma Zoom un convegno dedicato alla situazione della sinistra e dei progressisti italiani. Numerosi e autorevoli i partecipanti; dagli studiosi e gli opinionisti, come Nadia Urbinati e Ida Dominijanni, ai politici di un tempo come Giuliano Amato, a dirigenti attuali come Zingaretti, Speranza, Renzi e Bettini. Numerose le opinioni espresse, gli elementi posti sul tavolo che potranno dare spunto a riflessioni utili, alcune convergenze possono segnalarsi tuttavia permangono notevoli divergenze di non poco conto. E’ da notare come non vi siano state presenze della sinistra radicale, ammesso che essa sia particolarmente interessata a discutere con altri il destino della sinistra, ma che tutte le presenze chiamate e intervenute al convegno fossero appartenenti al PD o che in tale area abbiano militato e ancora guardano alla evoluzione di tale forza politica.
Si diceva prima dei consensi e dei dissensi; qui va sottolineato come i dissensi vertono sulla politica della moderazione e del centrismo esaltati da Renzi, ( che sottolinea la vittoria di Biden), in contrapposizione con lo sguardo rivolto alle sofferenze della società e alla radicalizzazione delle questioni che pone l’esigenza di guardare ad un rinnovato radicalismo di sinistra e decretare finita la ‘terza via bleriana’, e su questo insiste D’Alema. E poi i consensi; essi si concentrano sulla esigenza di rilanciare una nuova politica del pubblico, socialista e ambientalista, ( Speranza), e sulla esigenza di rilanciare la sinistra e la organizzazione in partito, un partito di ispirazione socialista e cristiana, ( Bettini). Sono significative le conclusioni di D’Alema, che tirando le fila del convegno sottolinea, concedendo poco alle posizioni neocentriste, come la sinistra, pur di essere capace di coprire tutte le posizioni sociali e politiche alla ricerca di un irraggiungibile 50% ha tralasciato quel 30% che la sinistra ha sempre rappresentato nella società italiana e che ancora è indispensabile per aggregare una coalizione di progresso. Il vecchio leader ha inoltre aggiunto che si pone il tema di una ricostruzione del partito, come presenza di massa nei territori, e come sia utile l’abbandono della teorizzazione della organizzazione leggera, che ha portato con le primarie alla rinascita della forza politica ‘notabilare’, con effetti deprimenti sotto gli occhi di tutti. E proprio quel modello di partito delle primarie che porta ormai tutti a constatarne il fallimento, come del resto, aggiunge D’Alema, hanno fallito tutte le esperienze esterne e a sinistra del PD di ricostruire la sinistra. E’ da questo doppio fallimento che porta a prendere coscienza di come sia giunto il momento di rimettere in gioco tutte le esperienze e di dare vita a nuove e più solide organizzazioni. Non è ancora l’annuncio della fine del PD per come l’abbiamo conosciuto, del resto i dirigenti non fanno certi annunci prima di aver avvistato una nuova terra di approdo. Ed è forse su questo su cui vi è da segnalare una insufficienza nella discussione portata dal convegno, pur estremamente stimolante e indicativa. Non si tratta solo di indicare, come pure fa Dominijanni acutamente, che non potrà essere la classe dirigente attuale la protagonista della ricostruzione. Semmai vi è necessità di una maggiore coscienza della gravità della crisi in atto; crisi che è si sanitaria ma anche economica. Pochi ormai ricordano come il rallentamento dell’economia in Europa si avvertiva già nel dicembre scorso quando il settore auto tedesco veniva colpito dalla chisura dei mercati americani e anglosassoni. La ‘stagnazione secolare’ e l’impossibilità di riportare la finanza ad essere il traino della domanda di consumi e del rilancio degli investimenti pone alla sinistra il tema di quale sia l’uscita dalla crisi in atto, che assume sempre più i caratteri di una crisi di civiltà. La questione sanitaria aggrava la situazione economica, accelera tutti i processi in atto, intensifica le tensioni geopolitiche, e torna ad esaltare l’esigenza della riscoperta dei beni pubblici, della funzione dello stato che non può essere l’ancella del mercato. A questa crisi vi sono, dunque, risposte diverse e possibili; da un lato le soluzioni avanzate dalle destre nazionaliste le quali vorrebbero minimizzare i costi sanitari del virus o addirittura negare gli effetti della malattia affidandosi per il rilancio della economia ad un misto di politiche di mercato e di utilizzazione delle pratiche del protezionismo; il centro liberale spera di restaurare il predominio della finanza e delle banche confidando nel fatto che il modello di crescita precedente non sia giunto al capolinea; entrambi gli schieramenti sostengono che l’economia ripartirà dopo la crisi disegnando così una crisi dall’andamento a lettera ‘V’, tuttavia i critici di tale tesi la bollano come coloro che sperano nel rimbalzo dell’andamento economico, che però rischia di essere però ‘il rimbalzo del gatto morto’. Infine, può esserci un altro modo di affrontare la crisi, un atteggiamento che non nega gli effetti del virus ma che chiede per affrontarlo di potenziare i servizi sociali e il ruolo del pubblico, e che per l’economia prende atto della fine del modello di sviluppo neoliberista e chiede di conseguenza per uscire dalla ‘stagnazione secolare’ un rilancio degli investimenti pubblici e una economia capace di creare quei beni e quei servizi che il mercato mai sarà interessato a produrre e fornire. Chi pone queste soluzioni alla doppia crisi, sanitaria ed economica sopra descritta, non può che essere la sinistra, l’erede del movimento operaio europeo e non solo, recuperando un approccio radicale e allo stesso tempo ponendosi alla altezza dei problemi di civiltà che la nostra società sta attraversando.
Ecco l’asse centrale programmatico rispetto al quale può ricostruirsi una sinistra, ma per attuare un piano strategico serve una organizzazione, un soggetto politico. Ciò è in sostanza il problema del partito. Il problema del partito, del suo rapporto con i sindacati, con le classi e con lo stato, se ci si fa caso, e il problema che ci pone in eredità il fallimento della Unione Sovietica e della rivoluzione del 17’. a quel fallimento è conseguito una condanna ferma, in qualsiasi versione del partito delle classi subalterne, e si è esaltato, per contro, il partito del leader, concentrato nelle strutture del governo forte che assorbe nelle sue funzioni il potere esecutivo e legislativo e che caratterizza la sua azione nel rapporto diretto fra le masse e il ‘capo carismatico’ di weberiana memoria. Il breve spazio di queste note impediscono di dilungarsi sul tema del partito, che è questione che anche questa rivista utilmente potrà approfondire; faccio notare come la questione delle forze organizzate da un lato si lega alla questione di quali classi il partito rappresenta, ( le élite oppure le classi subalterne), e in quale contesto democratico e istituzionale le forze organizzate possono esprimersi e agire. Tuttavia, vi è ancora una osservazione da fare prima di concludere, sul versante di ciò che nel dibattito di Italiani Europei mi è parso sia una mancanza significativa. Per far si che la ricostruzione della sinistra non sia un dibattito teorico privo di un qualche effetto sulla realtà politica del paese, è necessario che il nuovo partito della sinistra sorga nel bel mezzo della battaglia politica che si svolge sui temi cruciali. I temi importanti sono il rapporto fra pubblico e mercato, la relazione fra capitale e lavoro e la redistribuzione della ricchezza e il nuovo modo di produrla e misurarla. Faccio due esempi per farmi capire. La discussione sul blocco dei licenziamenti e quello che si è scatenato attorno alla proposta della patrimoniale hanno posto questioni sociali e politiche ben più ampie che le ristrette conseguenze che avrebbero i provvedimenti in questione. Su questi temi le forze politiche si sono divise anche al loro interno in maniera davvero singolare, e si sono appalesati una sinistra più chiara e cosciente di sé stessa e una destra compatta e ottusa per molti aspetti. Ecco, dunque in breve, ciò che mi preme dire; è dentro il fuoco di una battaglia politica parlamentare e presente nel paese che si può rifondare una sinistra, ponendo in conto un difficile processo in cui si rischiano divisioni e si ricostruiscono con fatica vasti campi di alleanza democratica. Senza travaglio pare che nessun parto possa aver termine e dare risultato; con la freddezza del calcolo tattico studiato a tavolino raramente si dà vita a nuove imprese pur esse ritenute necessarie.
Alessandria 9 – 12 – 2020 Filippo Orlando
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