Era stata fin da piccola una bambina di carattere, obbediente non per sottomissione ma per orgoglio: non sopportava d’essere rimproverata e ciò era parso evidente da che lei aveva ricordo di sé.
Dal suo angolo di giochi solitari osservava con apparente indifferenza i comportamenti degli adulti senza perderne una parola o una mossa, memorizzando gli insegnamenti che ne traeva. Si era convinta precocemente di poter essere adulta e non perdeva occasione di mettersi alla prova per essere lodata.
Fu la scuola a farle scoprire un mondo infantile sconosciuto e inspiegabile dove le sgarbatezze senza ragione la disorientavano. Non provava risentimento ma una fitta di dispiacere seguita da un irreversibile distacco fino a quando non avesse trovato l’amica che cercava.
La severità d’un simile atteggiamento si ripercuoteva sul giudizio che dava di sé, costretta ad essere ineccepibile in tutte le relazioni presenti e a venire, ma inesorabile nel giudicare chi la deludeva. La ricerca della perfezione estesa alle relazioni sentimentali si sarebbe rivelata una dannazione: i suoi dovevano essere amori perfetti come li immaginava, un’illusione che privandola della leggerezza le aveva impedito di conoscere e conoscersi anche attraverso l’ebbrezza d’una trasgressione.
Amori da romanzo: non amare lui per quello che era ma per l’idea che ne aveva, andando incontro a piccole delusioni che, riunite, ne facevano una così grande da non poterla sopportare e inducendola a contrarre matrimoni destinati a non durare.
L’unico elemento di stabilità era la casa paterna dove ritrovare l’armonia perduta. Non ne avrebbe modificato un particolare e fu un colpo di fortuna entrare in possesso di un alloggio esattamente uguale, l’arnia nella quale regnare come ape regina dove transitavano le sue vite di coppia.
“Ricordati cara che il matrimonio più riuscito è quello che non si fa … ma se proprio insisti … che la casa sia della sposa, perché i mariti vanno ma le case restano”. Se da un lato le parole della zia non avevano influito sull’attitudine a sposarseli tutti, erano state persuasive ed efficaci rispetto alla seconda parte della sentenza: a qualunque costo non si sarebbe spostata da lì.
Dalle porte della cucina si entrava e usciva in due direzioni, l’ampio soggiorno e l’ingresso, e due erano le sedie accostate al piccolo tavolo della colazione: la sua … dalla visuale dominante, e l’altra … per gli inquilini in transito. Sempre il medesimo approccio dalla porta alla sedia, per il primo caffè dell’accoglienza, e dalla sedia alla porta per il caffè dell’ultimo commiato. Sì perché lei faceva in modo che le relazioni si esaurissero senza traumi e con garbo per non lasciare rancori residui. A ciascuno aveva preparato un corredo, ad altri aveva persino provveduto con una fornitura essenziale di stoviglie e suppellettili perché non si trovassero in difficoltà nel nuovo domicilio e conservassero un po’ d’aria di casa.
Da quella sedia, unico punto fermo della sua esistenza, aveva tratto osservazioni impietose che si adagiavano al fondo della memoria per essere resuscitate in una sintesi inesorabile. Di fronte a lei l’altra sedia nuovamente vuota, accogliente e complice quando tutto doveva ancora compiersi, aveva preso a guardarla con aria sorniona come se la consapevolezza fosse stata sempre sua e avesse previsto la fine dal principio.
Che fosse stata lei ad esercitare un’influenza negativa per confondere e provocare, facendo emergere i lati peggiori degli occupanti provvisori, fu il pensiero che la attraversò come una rivelazione.
Avrebbe atteso la sera per liberarsene per sempre.
LA SEDIA
Come guidata da destin segnato
La man ti pose in sito mai cangiato
Si che sguardo casual sfiorar ti possa
Icona di una vita da tanti eventi scossa.
L’onda che avvolge gli umani destini
Raggiunger ti puote in muta risacca
Incognita riva d’umani pellegrini
A te restituiti per sorte bislacca:
Nella tua forma, per un istante vuota,
Cieca mi scruti, ironica e beffata:
Pensier struggente la mia mente annota
Sul Caso che ti volle sempre occupata.
Se sorte ti riserva una sedia abbandonata
Toglila ratta dalla tua cucina
Chè troppo presto non sia accalappiata
Da umana materia foriera di ruina.
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