La Sinistra e alcune questioni di fondo.

La confusione regna sovrana a sinistra, mentre il governo fa e disfa a suo piacimento, del tutto privo di una vera opposizione. Per rilanciare la sinistra, o il centrosinistra come si dice in altri momenti, si continua a sfornare ricette, analisi, appelli sui valori e molto altro ancora. Fra le masse dei militanti, dopo gli errori che i gruppi dirigenti hanno certamente fatto negli ultimi anni, si sono diffusi sfiducia e scoramento. Parrebbe, dunque, malgrado gli sforzi di tanti generosi attivisti, impossibile ritrovare per le forze di progresso il bandolo della matassa.

Io stesso, ovvero chi scrive, si trova il più delle volte ad essere incerto nell’ esprimere un qualsivoglia punto di vista. Di fronte ai conflitti che attraversano non solo la sinistra italiana, ma anche quella europea, caratterizzati da un neocentrismo di ritorno e da un male inteso sovranismo in salsa operaista, mi sento però di suggerire riflessioni che coinvolgano alcuni nodi di fondo della realtà sociale attuale.

Mi riferisco a due aspetti che mi sembrano tanto evidenti quanto misconosciuti nella discussione recente. A partire almeno dagli anni novanta, la sinistra, un po’ in tutto il mondo, non ha saputo vedere come la realtà sia fatta di contraddizioni e di conflitti, e che essi sono parte e non accidente della modernità, e che la contraddizione che rende le nostre democrazie così fragili e, in ultima istanza così poco democratiche, risiede nel rapporto di lavoro per cui vi è una patente asimmetria di potere fra chi compra il lavoro e chi lo vende. Non vi è dubbio, dunque, che a partire dalla caduta del Muro di Berlino, la sinistra ha inteso cancellare dal suo bagaglio culturale i concetti di contraddizione e di conflitto come elementi centrali della realtà moderna. I concetti sopra richiamati, che erano a fondamento del pensiero critico derivante da Hegel e Marx, costituivano per la sinistra del secondo novecento, la base per avere una descrizione realistica della realtà sociale. Da quando, invece, i grandi partiti del movimento operaio hanno abbandonato il pensiero critico per abbracciare il pensiero liberale e progressista, ha prevalso a sinistra una lettura del tutto lineare e a – conflittuale, diremmo ‘irenica’, dello sviluppo sociale. Le ‘sorti meravigliose e progressive’ diventano l’ elemento centrale della descrizione lineare dello sviluppo sociale. Il ‘mercato’ assolve il ruolo così, nella visione filosofica della sinistra degli anni novanta, di architrave per lo sviluppo sociale, uno sviluppo sociale che procede senza intoppi, conflitti e contraddizioni insite nella dinamica stessa del divenire. Ecco il punto che mi premeva sottolineare; l’ idea di mercato globale che riunifica il mondo intero sotto le bandiere di un modello unico di società e organizzazione politica, non ha retto come ipotesi valida, sia nella descrizione della realtà, come essa si sviluppa effettivamente, sia come sviluppo e benessere diffuso per tutti.

E’ da questa crisi teorica di fondo, da questo approccio alla realtà, che nascono e perdurano ancora oggi  le insufficienze della visione progressista. E’ stato recentemente analizzato, dal blogger Visalli sul suo sito ‘Nella fertilità cresce il tempo’, il manifesto politico dell’ ex ministro Calenda, fautore di un Fronte Repubblicano atto a riunire tutte le forze antipopuliste e liberali, sia provenienti dal centrodestra che dal morente PD. Il manifesto di Calenda è certamente un tentativo della cultura liberale, che non si definisce di sinistra, ( come nota Visalli, nel testo politico, non viene mai usata la parola sinistra), di affrontare la crisi della globalizzazione, il ritorno delle chiusure nazionali e protezionistiche, il disfarsi del sistema di alleanza Occidentale. Si afferma, nel testo, che il processo della globalizzazione è fallito e che non ha redistribuito la ricchezza secondo ciò che i nuovi chierici del progresso promettevano. Eppure, il manifesto ‘frontista’ di Calenda affronta questa crisi come se essa fosse passeggera, non indaga al fondo le ragioni del declino del liberalismo internazionale, ripropone ricette liberiste frammiste a timide politiche assistenziali per tamponare gli effetti sociali più gravi del ciclo economico. L’ ordine sociale liberale resta l’ asse portante della proposta politica dei liberali di centrosinistra, i quali pare debbano essere prossimamente riuniti sotto le bandiere di un nuovo partito formato dall’ incontro di tutti gli ‘antipopulisti’.

Chi scrive propone, invece, una indagine diversa, una indagine che parta da due presupposti sopra citati;

  • La realtà è complessa e non priva di contraddizioni e conflitti, e lo sviluppo della modernità continua a riproporceli consegnandoceli irrisolti.
  • Il conflitto fra capitale e lavoro, la non risolta questione della alienazione del lavoro umano, la non libertà del soggetto umano che lavora, restano le maggiori questioni che impediscono il pieno sviluppo della libertà umana, sia individuale che sociale, e i principali ostacoli allo sviluppo della democrazia.

Le questioni sollevate costringono, nondimeno, a rispondere ad altre questioni che originano dalle prime sopra descritte. In sostanza le nuove domande che si pongono sono queste. L’ ordine internazionale nuovo nascerà senza porre a rischio la pace o siamo vicini ad una conflagrazione generale fra paesi emergenti e la vecchia leadership mondiale in declino? Il sistema capitalistico continuerà il suo percorso fatto di stagnazione oppure si creerà la occasione per un nuovo ciclo di espansione economica materiale? Quale il ruolo delle masse lavoratrici in tale contesto ; protagonisti di una pressione per cambiare il sistema o oggetto del capitale e suo strumento non più che materiale? Infine, il ruolo dell’ aumento della produttività tecnologica originerà una società ancora più ineguale e antidemocratica, afflitta da spinte concorrenziali e relative guerre fra capitali sempre più distruttive e pericolose, oppure sarà possibile piegare tale aumento delle tecnologie nella produzione a favore di un più alto sviluppo sociale e umano? Tali questioni, nell’ ottica di una ricostruzione di una forza politica di sinistra e del lavoro, come hanno sostenuto recentemente i compagni di MDP, non possono mancare nelle tesi congressuali, nel dialogo fra le forze politiche, nel confronto col sindacato e con le vaste masse degli elettori e dei lavoratori. Le questioni tattiche, alleanze sociali e politiche, pur importanti, vengono dopo, non possono prescindere da una discussione strategica e sono utili in funzione di questa. Senza definire prima un grande orizzonte strategico e ideale non vi può essere nessuna proficua discussione sulla tattica, e si continuerà ad indagare l’ incerto futuro con la luce fioca delle mosse di corto respiro, della invenzione propagandistica di giornata e della polemica spicciola.

Vedo, con tristezza, che la sinistra è incapace di porre le domande di contenuto e di porre esse alla altezza giusta; ci si attarda più favorevolmente ad esaltare il proprio particolare movimento in polemica astiosa e pretestuosa con i vicini di schieramento.

Non mi convincono, dunque, le proposte politiche che vanno oggi per la maggiore a sinistra. Non la proposta movimentista di Potere al Popolo, la quale, sospesa fra anarchismo e sogno di presa del potere, si limita a seguire tutti i movimenti della società, anche i più corporativi, invece che guidare e ricomporre un corpo sociale frantumato. Non credo in un rinnovato partito comunista che mantenga l’ impianto consegnato dalla storia della terza internazionale, senza fare realmente i conti con la sconfitta del socialismo reale. Non vedo lo spazio per riportare le lancette dei nostri orologi al bel tempo dell’ Ulivo, senza capire che il declino delle classi medie, i mutamenti sociali impediscono qualsiasi riedizione del formato politico progressista degli anni novanta. Ritengo più utile uno sforzo per definire una proposta neo – socialista che sappia rispondere alle grandi questioni che lo sviluppo del capitale ci pone oggi di fronte, a patto però che si tenga bene a mente il limite che le politiche Keynesiane hanno affrontato durante la crisi degli anni settanta. Ovvero, che le politiche di piena occupazione prima o poi, di fronte alla espansione materiale e alla recrudescenza della concorrenza fra capitali, vengono ripudiate ideologicamente e poi poste da parte per un ritorno in grande stile al liberismo.

La sinistra, in definitiva, tornerà ad avere un forte ruolo sociale se saprà porsi le domande più scomode, se saprà elaborare le grandi questioni rifuggendo dalla tentazione della sopravvivenza e del piccolo cabotaggio. Sapremo fare questa scelta? Discutere e polemizzare su questo sarebbe già un segnale di vitalità niente affatto trascurabile.

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