Philipp Blom ha affermato di recente che << la vittoria del mondo liberale dopo il 1989 è stata così schiacciante che molte persone in Occidente non si sono più poste domande fondamentali>> (“la Repubblica” 7/1/’25). Anche la sinistra pare abbia perso ogni energia intellettuale e pratica acconciandosi sostanzialmente al modello economico del vincitore e alla sua visione del mondo.
Privo di ostacoli il capitalismo (liberal)democratico ritorna a dare libero sfogo ai suoi spiriti selvaggi, fino a quella data domati dalle lotte novecentesche del movimento operaio, e a mercificare ogni aspetto della vita. Perfino quello politico, diventato anch’esso ormai un prodotto qualsiasi in vendita sul mercato. Ha proprio ragione Michele Prospero quando in un durissimo intervento (“l’Unità” 31/12/’24) sostiene che la politica si è ridotta appunto a pura merce, che il suo “arcano” è esattamente quello del “feticismo” di ogni altra merce esteso ora alla competizione tra i partiti e che la contesa per le leve di comando <<si svolge adottando le medesime regole del marketing e dello spaccio di prodotti di largo consumo>>, per cui un capo politico non è altro che <<una merce tra le tante>>.
Con la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica non c’è stata la “fine della storia” preconizzata da Fukuyama né l’affermazione universale della democrazia liberale, ma semmai un tornare indietro: una regressione sistemica, economica e politica. Per M.L. Salvadori <<la democrazia liberale come l’abbiamo conosciuta non esiste più>> e la funzione del voto popolare appare sempre più quella <<di legittimare le oligarchie>> (“La Stampa” 12/1/’25).
Come sin dal titolo sostiene nel suo recente libro Franco Bernabè, con la caduta delle democrazie occidentali e con il rischio paventato addirittura di una Terza guerra mondiale, siamo tutti “In trappola” (Solferino 2024) e uscirne non sarà facile. Che fare? Bernabè vede nella “umanità” dell’uomo la possibilità di invertire tendenze che appaiono oggettive, di violare regole economiche ritenute inflessibili, di affermare la propria libertà creativa, il bisogno di futuro. Arrendersi all’individuale sentimento della <<cupidigia>>, all’ <<irresistibile desiderio di ricchezza>> -i potenti motori dell’economia- non è nella nostra natura più propria. Per lui l’economia non è una scienza naturale, fisica, matematica, ma una disciplina <<eminentemente sociale>> che l’uomo in società può governare secondo un proprio progetto.
Ma, nonostante queste premesse, il nostro finisce col ricomporre la faglia fra umanesimo e materialismo economico a danno proprio del primo. Tutto il suo ragionamento, infatti, si inceppa e torna indietro a rifugiarsi nel rassicurante determinismo del processo economico. Pur ammettendo implicitamente che la crisi epocale che viviamo è dovuta per gran parte ad una passiva applicazione del modello economico capitalistico, come possibile rimedio ai suoi guasti non riesce a proporre niente di alternativo. Nemmeno sullo sfondo appare il valore mitigante delle grandi lotte operaie e popolari del XX secolo, della capacità trasformatrice dello stare insieme organizzati, della produttività storica di un umanesimo consapevole. Così l’economia torna a presentarsi con una logica intrinseca indomabile e diventa la protagonista pressoché assoluta capace di determinare ogni processo. In alcune sue pagine sembra sentire addirittura le stesse parole inquietanti pronunciate da Trump nella cerimonia di insediamento e lo stesso scetticismo del presidente Usa nei riguardi di quello che entrambi considerano <<dogmatismo climatico>> e dei relativi movimenti ambientalisti, nonché della stessa climatologia. Come Trump, vuole una Europa meno unita ma più armata e imbastisce su questo punto una polemica esagerata contro l’innocuo libro del britannico Mark Leonard. E’ a favore del jobs act e contro la regolamentazione delle ferree leggi del mercato e della logica mercantile. Dunque: niente di nuovo e diverso sotto il sole, oscurato anche qui dalla rassegnazione ad un conformismo dominante.
Mentre il conservatorismo occidentale e di casa nostra, pur senza alcuna consapevolezza e semplicemente assecondando tendenze in atto, mette a punto comunque un suo disegno egemonico, la sinistra si limita semplicemente a rintuzzare le scelte altrui: a giocare di rimessa. Come con lucidità ha scritto (“ Nuovo Quotidiano di Puglia” 13/1/ ’25) Francesco Fistetti, la destra propone con l’aiuto dei <<grandi imprenditori futuristi>> (Musk in testa) <<una nuova frontiera: nella conquista dello spazio, nell’appropriazione delle risorse della terra, nel dominio del pianeta attraverso le nuove tecnologie dell’informazione e il monopolio dell’Intelligenza Artificiale>>. Mentre in passato lo sviluppo tecnico-scientifico appariva come uno dei migliori alleati della sinistra ora invece è proprio la destra che riesce a ridefinirsi in <<un sistema tecnocapitalistico rivolto a trasformare i corpi, le menti, i saperi, la natura nel suo complesso in fonti inedite di profitto e di potere>>.
Addomesticata dal dinamismo predatorio del capitalismo, la sinistra non riesce a reggere il confronto a questa altezza e rifugiatasi nella parola d’ordine della ricerca di un sempre più precario “capitalismo progressista” -in cui continua a credere Joseph Stiglitz (vedi il numero del dicembre scorso di “Millennium”)- si è unilateralmente ritirata dal conflitto di sistema per una alternativa.
Stando così le cose, nella “trappola” di Bernabè, più degli altri, sembra essere caduto proprio l’“uomo di sinistra”.
Egidio Zacheo
Grazie per il contributo, assolutamente condivisibile. La questione è estremamente delicata perchè non esiste un “capitalismo progressista”, esiste il sistema capitalista, esistono le Borse, tutto o quasi viene quotato o valutato, acquistato o venduto. Tutto qui, Come se la vita fosse etrna, l’accumulazione altrettanto, la terra e le sue risorse idem e le bellezze e/o meraviglie della Terra, trasformate in merce…solo per chi se lo può permettere. Saremo in 12 miliardi fra due secoli (poi, probabilmente, per una diminuzione del tasso di nascita anche nelle nazioni non del Primo Mondo, cominceremo a scendere…). Fino ad arrivare ad una stabilizzazione sui cinque miliardi max di persone della terra, di qualsiasi colore, cultura, lingua, religione. Anche se, fra due secoli, culture locali, molte lingue e alcune religioni saranno solo un capitoletto in qualche libro di storia o, in un modo un po’ più approfondito, di antropologia culturale. E il resto? Uniformità di comportamenti, rigide regole per non sprecare le risorse e gli oggetti/sistemi più vari, mentre “chi se lo potrà permettere” avrà a disposizione tutto, come sempre. Come se ne esce… ? Beh…facile prevederlo…coloro con più mezzi si massacreranno, prima o poi, per arrivare ad una selezione superoligarchica…e i restanti miliardi di “personaggi” a interagire solo per operazioni esecutive. Finchè non si fermeranno gli aspiranti oligarchi, i futuri detentori del potere…non ci saranno alternative. E allora una rilettura del “Das Kapital” potrebbe servire…