Ci siamo trovati ad affrontare, ancora una volta, le elezioni politiche.
Tutti ciarlano a gran voce perché la cosiddetta Destra, quella che bordeggia un ritorno al conservatorismo e talora ad una sorta di neo-fascismo, ha vinto nei numeri ed una donna, finalmente, dopo un’attesa durata tantissimi anni, sembra avere il diritto di assurgere alla carica di Primo Ministro.
Certo, la novità in assoluto è quella di avere un Primo Ministro donna, il che significherebbe un notevole posizionamento dell’Italia fra le nazioni europee.
In realtà ci troviamo in una situazione non nuova, poiché al centro del potere in Italia c’è il solito Capitalismo che controlla, bene o male, questo Paese da molti decenni.
È lo stesso Capitalismo che ha dato il via al Fascismo cent’anni fa, che ha resistito alle scosse della guerra e ha ripreso il controllo, con la Democrazia Cristiana, nell’immediato dopo guerra.
Da allora in poi c’è stato qualche piccolo scossone come nel ’68–’69 e forse con Tangentopoli, agli inizi degli anni ’90, ma tutto sommato il sistema è sembrato trionfare alla luce della caduta dell’impero sovietico.
Anche in Italia, le schermaglie fra Prodi e Berlusconi, fra PD e i suoi antesignani contro il liberalismo globale, mi sembra più un discorso di facciata, di maschere interscambiabili, per cui alla fine i Padroni sono sempre gli stessi.
Forse non ne conosciamo tutti i nomi, ma sappiamo che ci sono (come il formidabile “Io so” di Pier Paolo Pasolini).
Quindi che significa la vittoria della Meloni contro il PD di Letta? Oppure il dispiegarsi di tante pseudo forze politiche che sproloquiano sulle cause più diverse e inconcludenti?
Tutto parla, senza se e senza ma, del centralismo romano, che vorrebbe assimilare a sé tutte le forze derivanti dalle singole Regioni, e si avoca il diritto di nominare rappresentanti di Camera e Senato per poi distribuirli a proprio piacere ed interesse nelle varie Regioni stesse.
Si tratta di una operazione “a pioggia“, che non va incontro alle esigenze delle realtà locali, ma si preoccupa soltanto degli interessi di chi a Roma, con una furia centripeta, vuole impadronirsi di tutto il potere.
Il mio invito è storico e semplice: torniamo a Carlo Cattaneo, il grande politico dell’800, che voleva un’Italia federale e che, non a caso, divise la propria attività intellettuale, politica, economica fra Lombardia e Svizzera.
Quest’ultima divisa in vari Cantoni “motivati”, divisa fra tre lingue, che non impediscono il riconoscimento di una unità nazionale, può essere presa ad esempio dall’Italia e proprio questo porterebbe ad una salutare democrazia “dal basso”, che sarebbe tanto utile.
Regioni con i loro usi e costumi, tradizioni, dialetti, cucine, caratteristiche che ne determinano una identità ben precisa e che non vogliono essere cancellate da volontà centralistiche ed annientatrici, ecco una possibile soluzione, ripeto possibile, ai tanti problemi dell’Italia d’oggi, che si dice una e indivisibile, mentre non lo è affatto.
Come diceva il Cattaneo, bisogna contemperare le diverse tradizioni per far sì che ogni regione e, quindi, ogni cittadino ad essa appartenente, mantenga la sua identità culturale.
Vediamo nel mondo alcuni esempi: la Svizzera appunto, la Germania Federale (come dice il nome), gli Stati Uniti, dove, per esempio, le condizioni di vita della California sono estremamente diverse da quelle del Mississippi, ma entrambi sono due stelle degli USA.
La spallata va quindi data a questo incancrenito sistema di potere, che vede in una città bellissima, ma bacata, quello che bisogna assolutamente evitare.
Prendiamo un treno ad alta velocità, attraversiamo le Alpi, andiamo ad imparare qualcosa a Ginevra o Berna: vedrete che di Meloni, Letta, Salvini e soprattutto Berlusconi non ne avremo assolutamente bisogno.
Viator
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