L’anziano ai tempi del Corona

Nella vaghezza che tuttora mi distingue, fatico a definirmi “anziana”. E’ soltanto una parola cui dare nel gergo corrente significati opinabili .

Al mattino mi sveglio , indugio, gli occhi chiusi per non interrompere  briciole di sogni e di vita  che reclamano il loro spazio, amori perduti, desideri inappagati. Ho sempre pensato che l’assenza di desideri equivalga a morire la vita mentre mi sento viva più che mai.  Io, sempre io, non trovo differenze in ciò che sono,  racchiusa in un tempo inesistente che illude con la chimera dell’immortalità, ma sempre il “mio tempo” e non ne avrò mai un altro da consumare fino all’ultimo.

Davvero “anziana” come vogliono farmi credere?

Gli aggiornamenti sul virus si susseguono incessanti, un mormorio che ci fa da sottofondo. A tratti, dal vivo, emerge il destino dell’anziano la cui estinzione non muove al compianto. Sembra che a partire dai sessanta, limite invalicabile di separazione, siamo “anziani”, deperibili, socialmente superflui. In rianimazione non avremmo la precedenza.

Nel bollettino dei primi giorni sembrava un destino da accettare che la percentuale dei decessi riguardasse gli “anziani”. Si informava con tono neutro come fosse nell’ordine delle cose, quasi con indifferenza.  Poi la svolta: medici e scienziati  di chiara fama informano quotidianamente la popolazione sugli effetti del virus e sulle modalità di contrasto, medici ancora in servizio ed altri richiamati a fronteggiare l’emergenza senza sosta, sono perlopiù “anziani”. Cambiano i toni e d’un tratto l’anziano diventa il patrimonio cui fare riferimento.

Non devo ammalarmi. Accetto la clausura con positività, assolta da qualsiasi impegno con me stessa, salvo sopravvivere.

Mi lascio andare al recupero del vestaglione scozzese, disonore della femminilità ma ineguagliabile conforto se dagli “alti” precipiti ai “bassi” della vita: una febbre, un tracollo finanziario, una giornata disastrosa, un amore finito senza il quale ti pare di attraversare un deserto senza scorte d’acqua… ed è in seguito a questi languori del passato che torni alla ragione delle tue vite trafelate, alle notti stanche, ai giorni consumati nel niente. E il vestaglione ti abbraccia di tenerezza.

Così, l’”Anziana”, s’avvede più che mai del privilegio degli spazi, della padronanza del suo tempo,  in una circostanza che non consentirebbe evasioni dall’ergastolo di coppia.   Con la forzata clausura si determina il fare o il disfare  d’una convivenza, il momento della verità che fa risparmiare tempo e infelicità.

Unioni finiscono, altre si rinsaldano. Torna ad imperare la famiglia e può succedere che genitori e figli riprendano a comunicare e a ristabilire i ruoli perduti.

Ne usciremo diversi… forse migliori.

Marina Elettra Maranetto

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