L’annunciato ritorno del “figliol prodigo” è la conferma che il PD non è un partito credibile

Il previsto e prevedibile ritorno del “figliol prodigo” Renzi, esauriti tutti i tentativi di inserirsi a destra, che giustamente dal canto suo ha fiutato la fregatura e si è negata, è solo la conferma, per chi ancora ne volesse una, che il PD non è un partito credibile. Un fatto atteso per cui si stupiscono solo gli allocchi. Un fatto quasi scontato per l’osservatore attento, e verso cui il savio, o se vogliamo il cinico buono, capace di mantenere la lucidità politica e seguire il fatto politico con un minimo di distacco e discernimento, non mostra nessuno stupore e nessuno sbigottimento. Di volta in volta cambia la “vetrina” (cioè l’effimera segreteria) per ragioni di marketing, con la mercanzia in esposizione per una stagione commerciale più o meno lunga. Per esempio oggi in vetrina c’è il salario minimo, una misura utile e da attuare subito ma che è raccomandata da tutti nel mondo, ben vista da OCSE e FMI riconosciuti tutori di un neoliberismo ben temperato che mantiene i suoi capisaldi, ma prende le distanze dall’estremismo di Milei, e oggetto di divisione politica quasi solo in Italia. Cambia la merce in vetrina, la strategia di marketing (mettiamo una giovane segretaria per dare un segnale di cambiamento è una cosa che fra i primi ha pensato il “ras” democristiano Franceschini) ma non cambia la sostanza, un partito che si fonda sul tran tran delle cordate locali e sulla gestione del potere e non su una qualsivoglia “missione” sociale (meno che mai rappresentare i deboli e la nuova “classe operaia” che oggi è l’immenso e disperso “precariato”). La prima “vetrina” e che rimane di fatto l’unica ideologia fondativa è il congresso del Lingotto di Veltroni del 2007 che ha fissato in modo indelebile l’appartenenza del PD al campo neoliberale moderato, con la riproposizione di una illusoria “terza via” che si propone di “mediare i flussi” del capitalismo globale con ciò “riducendo il danno” sulle comunità locali. Entra l’imprenditore di successo (ma in realtà la finanza) come figura di riferimento. Sparisce il conflitto sociale e la classe operaia è dichiarata defunta. Ma nella realtà non è sparita la classe operaia, la sua condizione materiale è peggiorata, si è bensì trasformata nell’immenso bacino del precariato mondiale, ancorché diviso dalla frammentazione del lavoro perseguita dal progetto chiamato “globalizzazione”. Tale core business non è di fatto mai mutato e non può mutare perché un’altra missione, di tipo socialista e socialdemocratico, il PD non ce l’ha mai avuta, avendola rigettata fin dall’inizio con l’ideologia ulivista di Prodi (e il professore è uno stretto consigliere di Elly Schlein). Chi si faceva delle illusioni sull’avvento della nuova segretaria Schlein, perfino correndo ai gazebo per votarla e sottrarla all’abbraccio con il renziano e centrista Bonaccini, che è il vero segretario del PD sulle cose che contano, ancora sconta l’equivoco che “il PD una volta era il PCI” che è una affermazione (una credenza o errore popolare dei moderni) talmente assurda da risultare perfino un po’ patetica. Quand’è che si sveglieranno i giovani e meno giovani “militonti”? Il PCI di Berlinguer si fondava sulla convinzione di Berlinguer e dei comunisti che “i veri socialdemocratici siamo noi comunisti” rimproverando ai socialisti di non essere di massa e i compromessi col sistema. Una convinzione erronea, che ha portato il PCI a non comprendere che la vera svolta doveva essere in senso socialista democratico. Ma che perlomeno ancorava i comunisti italiani a un programma sociale, legato al sindacato e al movimento operaio, un fatto di cui nella fondazione dell’Ulivo e del PD non vi è assolutamente alcuna traccia, fino ad arrivare allo sfregio del jobs act. Un conto è stato il grande popolo comunista che credeva veramente negli ideali del socialismo. Altro conto una classe dirigente opportunista (i suoi giovani e sventurati delfini) che dopo la morte di Berlinguer e il crollo dell’URSS si è scollegata in tutta fretta da qualsiasi vincolo con la classe operaia (fino a stabilirlo in modo ufficiale con la fondazione del PD al Lingotto per fugare qualsiasi equivoco: noi siamo equidistanti fra gli operai e i padroni!) e si è trasformata superficialmente in “liberal” (dato che i veri liberal sono quelli come Stiglitz cioè un’altra cosa, affini proprio alla socialdemocrazia che il PD rigetta) come i burocrati post-sovietici sono rapidamente diventati gli oligarchi di oggi. E quindi l’avventuriero border-line Renzi con il jobs act e l’infamia della cancellazione dell’articolo 18, votato in silenzio e obbedienza da tutto il PD, è soltanto la conclusione di questa parabola e non il peccato originale.

Il problema è che siamo esposti a una politica che non è nemmeno più spettacolo, nemmeno più liquida, è un fluido gassoso e volatile come un Tweet su X o un video su Tik Tok. O l’insulso approfondimento dei “talk” televisivi che non approfondiscono un bel niente, fanno praticamente solo gossip, ma creano ristretti ma chiassosi gruppi di tifosi da social che impediscono qualsiasi dibattito serio. Perfino quei pochi professori universitari di livello che vengono chiamati qua e là a commentare le notizie, non resistono e si trasformano in tifosi del proprio “segretario” o segretaria. Per cui anche la sacrosanta denuncia dell’influenza che l’originario brodo di coltura fascista ancora esercita sull’attuale partito di maggioranza relativa al governo, parliamo naturalmente di Fdi, sempre in bilico fra vaghe aspirazioni autoritarie-sovraniste e gestione pasticciona dell’ordinario al limite della comicità involontaria, in modo peraltro deleterio per le nostre istituzioni democratiche, finisce per mischiarsi a elementi di “gossip” di cui non si sente alcuna necessità e che mai avevano in passato caratterizzato la politica italiana. Quello che la “ducia” della Garbatella sta infliggendo all’Italia è soprattutto un danno di immagine e di indebolimento internazionale, perché la rispettabilità della nostra Nazione si fonda proprio su quella Resistenza che i post-fascisti oggi al governo tanto disprezzano e brigano per rimuovere (ma nonostante l’imbecillità dei media “mainstream” non glielo consentiremo). E sul fatto che dopo la devastante sconfitta bellica a cui ci ha portati il fascismo abbiamo una gran bella Costituzione all’onore del mondo che ci siamo scritti da soli e non sotto dettatura degli Stati Uniti (come in Germania e in Giappone e qui mi viene in mente il mitico federale di Tognazzi, graduato della milizia Primo Arcovazzi fanatico aspirante “federale” che affonda sul mezzo anfibio mentre decanta la genialità del Ro-Ber-To). Un punto d’onore per la nostra Repubblica e di riconoscimento internazionale, e chi non lo capisce e non è in grado di coltivare questa facile e fortunata rendita reputazionale è destinato a non durare a lungo al governo del Paese, prima o poi l’equivoco sarà chiarito.

Dunque ritornando al misfatto, per quanto possa sembrare banale, la politica ha bisogno di gente che oltre che commentare “fatti” effimeri sui social, si riunisce settimanalmente in un luogo fisico (la mitica “sezione”) per discutere la “situazione politica” e in questo modo dibattere l’indirizzo dei partiti. In questo modo anche la potenza dell’Internet diventa realmente utile alla causa perché viene “indirizzato” materialmente verso qualcosa e non gira a vuoto nel riempire trilioni di inutili e dissipatori “commenti” sui social (generatori di CO2 perché i server consumano energia) che sui media vengono a sua volta rilanciati e dibattuti come se fossero una fonte autorevole. Il politico tal dei tali ha scritto su X che… la premier ha fatto un simpatico video su Tik Tok… e giù discussioni di ore sul nulla.

In questo contesto il rientro di Renzi nel PD per chi gestisce stancamente il potere è perfettamente logico e si fonda sulla tacita convinzione che “meno siamo meglio stiamo” ovverossia tutti gli attuali partiti di sistema fanno affidamento sulle cordate clientelari e sulla bassa partecipazione al voto. In questa logica perversa il rientro di Italia Viva, di Calenda e altri sta perfettamente in piedi. Perché la logica è quella di mantenere stretta la presa sul potere delle varie “grupide” (come dicono cinicamente i mandrogni) e non di allargare il bacino di partecipazione, scoraggiando nuovi avventori motivati alla partecipazione. Il voto popolare, di classe e di opinione, che sarebbe in realtà maggioritario, non conta dato che non c’è nessuno che lo rappresenti, nemmeno i Cinque Stelle che rimagono legati a un “giustizialismo” peronista e non vogliono seguire in modo chiaro e consapevole l’indicazione del sociologo De Masi di diventare socialisti e socialdemocratici. AVS non ne parliamo, ha scelto astutamente l’alleanza con i centri sociali (da cui peraltro Fratoianni proviene) e questo gli garantisce per un 6% abbondante di voti (sempre drogato per bassa affluenza) finché regge questo accordo effimero con i centri sociali, ma li tiene distanti dalla rappresentanza di fasce popolari più ampie a cui dovrebbe ovviamente mirare un serio partito di sinistra. Certo che non si può escludere in assoluto che nei centri sociali vi sia qualche nuovo Andrea Costa o qualche nuova Anna Kuliscioff che dismette l’anarchismo e diventa il primo neo-socialista del duemila. Ma francamente ciò è estremamente improbabile. Gli obiettivi della premiata ditta Bonelli&Fratoianni sono molto più terra-terra. E anche CGIL-UIL nonostante l’apprezzabile svolta di lotta e militanza (assolutamente da sostenere) tardano a comprendere che non basta più il buon attivismo di Landini con i referendum (che beninteso dobbiamo portare al successo) ma devono farsi promotrici di un nuovo movimento laburista se vogliono che il lavoro sia rappresentato. Ma continuare a riporre fiducia nel PD oltre che da allocchi e da militonti di guareschiana memoria, è veramente un peccato mortale per chi ha delle buone cause da portare avanti con serietà, dal lavoro alla difesa della sanità pubblica universale attraverso il referendum contro la miccia innescata dell’autonomia differenziata, alla lotta contro l’abbandono del sud e alle aree povere che avanzano anche nel nord, fino all’ambiente, alle necessarie campagne vaccinali in una situazione epidemiologica globale in spaventoso mutamento, alla minaccia crescente dei cambiamenti climatici, alla promozione di una politica estera autonoma dell’Europa che persegua la Pace e non la nuova contrapposizione fra blocchi geopolitici. Posizioni estremamente popolari, ma che non hanno nessuno che le rappresenti veramente a livello politico. Il problema dell’Italia è sempre quello di non avere un grande socialdemocrazia (con i suoi problemi e le sue miserie, che però è sempre meglio avere che non avere) un fatto che ci condanna alla perdurante subalternità alle grandi potenze e nel prossimo futuro a quelle emergenti nel Sud del mondo.

Filippo Boatti

30 agosto 2024

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*