Le due leader

Abbiamo recuperato in fretta un ritardo che sembrava incolmabile, e ora possiamo dirci all’avanguardia sul fronte della leadership politica sottratta al monopolio maschile. Meloni al governo, Schlein all’opposizione sono il simbolo di quanto la Terza repubblica sia lontana dalla Seconda guidata dal binomio Berlusconi-Prodi. Al tempo stesso, le due leader sembrano – almeno in questa fase di esordio – ricalcare alcuni tratti politici dei loro predecessori. Differenziandosene marcatamente in altri.

Il primo elemento in comune riguarda l’uso dei media nel rapporto con l’elettorato. L’ascesa di Silvio Berlusconi fu strettissimamente legata alla sua straordinaria dimestichezza con la televisione, e all’uso strategico che ne fece per la sua ascesa a Palazzo Chigi. La Meloni ha seguito le sue orme, nell’empatia che ha rapidamente stabilito con ampie fasce della popolazione grazie ad una notevole presenza scenica. Un successo tanto più significativo perché non ha potuto attingere al controllo proprietario delle reti Tv che era stato l’asso nella manica del Cavaliere, ed ha dovuto supplire con un uso professionale dei social per ampliare la platea dei follower.

Molto diverso da Berlusconi, invece, è il modo in cui Meloni sta interpretando il proprio ruolo sulla scena internazionale. Questo è stato il tallone d’Achille del leader di Forza Italia, mai a proprio agio nei circoli dell’alta politica, finendo spesso con l’essere messo alla berlina per le proprie reazioni esuberanti. Per la premier italiana, i vertici europei e mondiali sono, al contrario, risultati l’arena principale di consolidamento della leadership, nei confronti della sua coalizione e del paese. Ben consapevole di essere guardata con sospetto per la sua matrice originaria, ha capovolto questo handicap iniziale nell’occasione per mettere in mostra le proprie capacità. Con un buon controllo dei dossier e – ancora più importante – delle lingue, si è rapidamente conquistata l’apprezzamento di molti capi di governo. Col vantaggio che, stando spesso all’estero, ha potuto passare meno tempo a sbrogliare le tante beghe con cui i suoi alleati volentieri le occuperebbero le giornate.

Nella gestione della comunicazione, anche Elly Schlein sembra riprodurre molti tratti del suo maestro. Il destinatario principale del proprio linguaggio e messaggio sono le tante anime – un po’ perse – dell’arcipelago del centrosinistra. A cominciare dalle correnti del proprio partito. Si tratta, per il momento, di una scelta obbligata. Schlein si è ritrovata in sella al Pd in modo rocambolesco, ed ha dovuto recuperare la propria estraneità – biografica e culturale – al milieu dei democratici. Per non parlare della difficile frattura coi Cinquestelle, che nessuno sa come e quando sarà possibile ricomporre. Fu questo anche il percorso – meglio si direbbe: il calvario – del Professore, forte di una idea innovativa di fusione del proprio Polo che dovette però abbandonare per le troppe spinte centrifughe. Lo stesso bivio che ha di fronte Schlein.

Molti pensano che la sua vera sfida riguardi Giorgia Meloni. Ma, al momento, non c’è partita. Troppo il divario su troppi fronti: la trentennale esperienza di partito, la naturale vis comunicativa, le leve di governo che potrà verosimilmente controllare per un quinquennio. E il solido presidio di un palcoscenico internazionale dove – al momento – il vento soffia in suo favore. La sfida che Schlein può e deve vincere è quella con il suo partito e la sua ideologia organizzativa, che accomuna tutta la sinistra. Una ideologia cooptativa che cozza geneticamente con quella del leader solitario – tanto più se al femminile – che è invece il tratto dominante e trainante degli esecutivi democratici oggi.

A Tony Blair occorsero oltre dieci anni per vincere una sfida analoga nel Labour, e renderlo competitivo grazie al nuovo rapporto con i media. Può darsi che la Schlein riuscirà prima, o forse che le occorrerà più tempo. Ma il tempo – nel bene e nel male – è dalla sua parte.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 18 dicembre 2023).

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