Liberalismo e democrazia, la storia in movimento; una interlocuzione con Franco Livorsi.

Franco Livorsi, nell’arco di due articoli, ha svolto su questa nostra rivista una disamina storica succinta sulle dottrine che sono a fondamento della moderna teoria democratica e liberale. Egli individua i pericoli e i nemici della moderna democrazia, che sono le destre reazionarie e i populismi e il comunismo rivoluzionario di origine leniniana. Sulla base di questi presupposti, se ho compreso bene, la tesi di Livorsi è che non vi sia nulla di meglio che consolidare il liberalismo, per come esso storicamente si è dato, e conservarne la sua struttura entro i limiti che sono tracciati dalla fede nella sacralità della proprietà privata, difendendo tale impianto dagli attacchi dei nemici sopra citati. Possiamo accontentarci di ciò? Con franchezza, credo di no, e nella sostanza per due motivi.

La storia è in movimento, come segnala lo stesso Livorsi nei suoi articoli citando la fallace tesi della ‘fine della storia’ di Fukuiama, e dunque, nessun sistema è mai sostenibile se resta rigido e contenuto sopra i propri principali pilastri posti come premesse reggenti l’intero impianto. Inoltre, e per chi scrive in maniera più decisiva, non si può che approfondire la malattia che attanaglia le attuali democrazie occidentali e comprendere se questo male è strutturale oppure collocato meramente alla superficie, e se, definita la profondità della malattia, la semplice riproposizione della dottrina liberale e dei suoi dogmi può essere sufficiente come cura reale e definitiva.

Servono, credo, alcune premesse che elenco di seguito:

  1. Tra liberalismo e democrazia passa una differenziazione e una contrapposizione di cui oggi troppo spesso si è persa memoria, ma non per questo esse non sono presenti e non agiscono nella realtà. Il liberalismo fa perno sulla divisione dei poteri e sulla libertà del parlamento contenente il potere sovrano, e, conseguentemente, sulla libertà del cittadino come individuo proprietario. La democrazia, invece, si basa sul potere attraverso il suffragio universale, di tutto il popolo, sia esso proprietario o meno, e sul principio di eguaglianza che non può che essere, al fondo, anche sociale.
  2. Il suffragio universale, oggi ritenuto elemento fondante la democrazia da tutti, è giunto ad essere elemento diffuso e riconosciuto in Occidente solo dopo più di un secolo l’affermarsi delle dottrine liberali, e si è diffuso in Europa solo grazie alle decisive spinte del movimento socialista e della rivoluzione bolscevica. La prima guerra mondiale e la rivoluzione d’ottobre segnano, senza ombra di dubbio, l’irruzione delle masse nella storia e nella dottrina istituzionale consolidata.
  3. La crisi attuale della democrazia pone in questione il compito dello stato e la sua concezione, e su ciò vi sono tesi divergenti, e non sul ruolo del suffragio universale, che nessuno, da sinistra a destra contesta, tranne qualche nostalgico liberale con il capo trasognante rivolto ad un ottocento idealizzato.

Dunque, il problema che abbiamo di fronte, e che il novecento ci consegna irrisolto, ha come nucleo centrale la teoria liberale dello stato, che è teoria moderna per eccellenza. Il problema è questo; lo stato liberale ha come obiettivo la tolleranza e la convivenza fra diversi, e la contrapposizione fra poteri ha lo scopo di impedire che le maggioranze dispongano a loro piacimento delle minoranze. Come Thomas Hobbes poneva ha premessa non esplicita del Leviatano, il compito dello stato moderno e porre fine alle guerre civili e di religione che insanguinavano da più di un secolo le società europee del suo tempo. La tolleranza religiosa e l’espulsione dei principi di autorità divina dalla ricerca della legittimità dello stato erano gli artifici su cui si basava la nuova costruzione politica. La religione era espulsa dallo stato, e resa fatto privato, premessa per il concludersi delle guerre civili, e lo stato esercitava la forza, ( da qui il ‘Leviatano’ che impone con la spada la pace e dà protezione contemporaneamente), a garanzia dei ceti liberi che volevano commerciare senza minacce di disordini e conflitti. Ma, sorge ora un quesito, lo stato di Hobbes era laico? Ed era pienamente a – religioso? Quale il ruolo della religione nello stato e nella società per il padre fondatore della moderna teoria dello stato liberale? Sono così giunto al cuore centrale della mia tesi, ovvero Hobbes espelle la religione dallo stato perché la allontana dal mondo terreno, la riposiziona in cielo, in un certo senso la riconsegna a Dio. La realtà è, dunque, priva di sacro, Hobbes sviluppa la tesi di una realtà desacralizzata. E tuttavia, Hobbes avanza questa tesi giustificandola con una visione particolare della storia sacra, che qui per ragioni di brevità, non ripercorriamo. Chi ha disposto il sottrarsi del sacro dal mondo? Per Hobbes la risposta è Dio attraverso l’opera di Gesù Cristo; è il Cristo che ha tolto, una volta per tutte il sacro dal mondo, e la riposto di nuovo in cielo, e questo significa che il Cristo è l’ultimo messia e dopo non ve ne saranno più fino alla fine dei tempi. Nello spazio storico che si apre fra avvento del Cristo e fine dei tempi, il mondo è solo reale e non sacro, e in tale mondo si deve vivere in pace, dentro uno stato che ha espulso la sua sostanza religiosa, e che comunque, si basa su un precetto religioso, l’unico che Hobbes pone ha fondamento della sua costruzione politica, ovvero, Dio ci ordina di vivere in pace. Ciò significa, che alla origine della dottrina moderna e liberale dello stato, vi è un elemento fondante di origine religiosa, vi è, in sostanza una vera e propria teologia politica, pur se parzialmente razionale. Questo vuol dire, è la mia tesi, che alla base del razionalismo politico moderno vi è un precetto, un fondamento religioso – teologico non pienamente razionale. Non possiamo che affermare che il razionalismo moderno, anche se ne ha perso memoria, non è in grado di autofondarsi su basi puramente razionali ed astratte. In sostanza la teoria politica moderna, liberale e razionale, non sa dare ragione di sé stessa, pur sbandierando tale pretesa. E’ su questo fondamento non razionale, non autofondante, che il revanscismo religioso e politico si insinua all’interno del guscio strutturale dello stato liberale per piegarlo ad altre funzioni e per destrutturarlo con maggior forza.

I governi di destra nazionalista e religiosa, e sto pensando non solo al caso italiano della Lega di Salvini ma anche all’Ungheria di Orban, la Polonia, gli Stati Uniti ecc., non pongono in discussione il principio del voto, ma semmai ripropongono l’ideologia di uno stato che è legittimato, per difendere la tradizione che ha sede nel popolo inteso come comunità di destino, ha discriminare i soggetti individuali e collettivi per difendere una purezza culturale della nazione che ha caratteristiche a – storiche. Lo stato liberale arretra di fronte al revanscismo religioso, perché vi è un enorme problema di legittimità dello stato stesso; la crisi sociale che si scatena e l’incapacità dell’economia capitalista liberale, con la sua tecnica economica astratta, a porvi rimedio, rendono impossibile una efficace reazione. Da questa incapacità delle forze liberali a guardare con sguardo profondo l’abisso che si è aperto sotto i nostri piedi, mi riferisco all’intersecarsi delle crisi sociali e politiche e nondimeno morali, si determina l’avanzare delle forze opposte che rianimano un discorso antico ma mai veramente seppellito: il legame che corre, non reciso dalla modernità, fra politica dello stato e legittimità del religioso e del sacro. Per questo ritengo che le culture liberali debbano rianalizzare la propria fondazione storica se vogliono veramente rispondere alle nuove forze politiche e sociali che avanzano e che intendono forzare, a loro vantaggio, le strutture dei nostri stati democratici.

Alessandria 21-08-2019 Filippo Orlando.

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