Lo sguardo di Rilke sul mondo

“Disabituarsi tanto dal mondo da non guardarlo più con l’occhio prevenuto di chi è nato”, così Rilke spiega il segreto del grande artista Balthus, figlio di Baladine Klossowska, sua amante.

E’ uscito uno dei preziosi piccoli Adelphi: “del Paesaggio” una raccolta di prose dove Rilke ci accompagna in quelle che potremmo chiamare “lezioni di respiro”  o più precisamente, come sottolinea Davide Brullo, “lettura da apneisti, nel senso che va letto dando nitore chilometrico al respiro, senza tema d’abisso”.

Balthus aveva 12 anni in questi racconti e Rilke gli parlava di Rodin, dell’Imitazione di Cristo, della fatica come “validissima gioia, tutta personale”.

 Non diversamente da ogni altro apprendistato, anche quello di Rilke presso Rodin (di cui nel frattempo era divenuto segretario, trasferendosi nella sua villa a Meudon) ha come meta l’autonomia interiore. E la rottura con Rodin, avvenuta nel 1906, è un chiaro segno della volontà emancipativa del poeta.

L’insegnamento di Rilke è prezioso per la nostra emancipazione e mi fa tornare alla mente un passaggio di Paolo nelle lettere ai Romani10,4: Il Cristo è il termine della legge.  E’ nella disubbidienza la via verso la Vita, una fedeltà all’ascolto della nostra profondità, è solo quando “termina” l’obbedienza ad ogni legge che troviamo “il Cristo”, cioè la vera appartenenza umana alla divina Armonia misteriosa che ci contiene.

“Prima di essere celebre, Rodin era solo. E la celebrità, una volta sopraggiunta, lo ha reso forse ancora più solo. Giacché la celebrità è in fondo soltanto la summa di tutti i malintesi che si addensano attorno a un nome nuovo. Quelli che circondano il nome di Rodin sono moltissimi; dissiparli sarebbe un compito lungo e faticoso. D’altronde non è necessario; si assiepano attorno al nome, non attorno all’opera, che è cresciuta a dismisura ben oltre il suono e i limiti di quel nome, fino a cancellarlo e a rendersi anonima come una pianura o un mare, abbreviato in un appellativo sulle carte, nei libri e tra gli uomini, ma in realtà fatto di spazio, moto e abisso. L’opera di cui mi accingo a parlare è andata crescendo attraverso gli anni e cresce ogni giorno come una foresta, incessantemente. Ci si aggira tra i suoi mille oggetti sopraffatti dalla ricchezza dei reperti e delle invenzioni che la compongono, e istintivamente si cercano le mani che hanno dato forma a questo mondo. Ci si rammenta quanto piccole siano le mani dell’uomo, come si stanchino presto e quanto sia breve il tempo loro concesso per agire. E nasce il desiderio di vedere le due mani che hanno vissuto come cento, come un popolo di mani destatesi prima dell’alba per incamminarsi sulla lunga via che conduce a quest’opera. Ci si chiede chi sia il dominatore di quelle mani. Che uomo è mai? “.

Quando Rilke incontra Rodin è ancora alla ricerca di una sua più autentica vocazione e a lui si rivolge con queste parole, nel giugno 1902, prima di raggiungerlo a Parigi: “Onorato Maestro, […] l’occasione di scrivere sulla vostra opera rappresenta per me una vocazione interiore, una festa, una gioia, un grande e nobile compito a cui sono tesi tutto il mio zelo e tutto il mio amore”.

Il libro di Adelphi “del paesaggio” si allinea agli altri molti scritti di Rilke, le righe che qui sopra avete letto fanno parte del profondo, contraddittorio rapporto scandito nei magistrali scritti di Rilke su Rodin e dalle loro lettere. Nessuno ha saputo penetrare come Rilke nella creazione e nella vita di Rodin, nessuno ha saputo cogliere come lui le motivazioni interiori, la profondità spirituale, la potenza rivoluzionaria dello stile, la ” capacità di trasformare il transitorio in eterno” di questo artista “immenso e solo”.

Stessa profondità è nel racconto di Balthus.

Buona lettura

Patrizia Gioia

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