Abbiamo un anno di tempo per cambiare. Diamoci appuntamento, tutt’Italia, al gennaio del 2020. Prendendo Matera come simbolo, e modello, di un nuovo corso per lo sviluppo del Mezzogiorno. Senza, ovviamente, chiedere che siano i materani a fare il miracolo. Per la loro metà, l’hanno già fatto. E il resto appare in discesa. Il programma degli eventi è fittissimo, settimana dopo settimana. A guardare l’inizio schioppettante – inclusi i fuochi d’artificio che hanno rischiarato a giorno l’anfiteatro dei Sassi – si può essere fiduciosi che Matera farà la propria parte fino in fondo. Girandola di iniziative con il massimo di coinvolgimento dal basso, e il top della qualità internazionale. Un afflusso turistico di massa con una ricezione diffusa, e un messaggio costruito con cura e fiducia in questi mesi: il mix di tradizione e innovazione con cui caparbiamente la città sta puntando sulla propria rinascita. La domanda, non riguarda, dunque se Matera chiuderà l’anno centrando gli obiettivi ambiziosi che si è posta. La domanda vera è sul dopo, e sul resto del Mezzogiorno. Matera sarà un capitolo isolato? O l’inizio di un nuovo inizio?
Ad ascoltare gli impegni del premier Conte sabato mattina, il governo sembra pronto a spendere sulla rete infrastrutturale che dovrebbe finalmente accorciare le distanze viarie e ferroviarie. È un buon segnale. E, in questa stessa direzione, ci sono molti altri interventi che si possono accelerare e portare a termine. La rinascita dell’osso del Sud passa comunque per collegamenti più veloci. Ma la sfida più impegnativa è un’altra. A sessant’anni di distanza dal varo del meridionalismo industriale, è giunto il momento di decidere se può esistere una nuova frontiera. Sappiamo ormai da troppi anni che si è chiuso il ciclo della grande azienda pubblica, su cui il Sud aveva puntato molte carte, e moltissime illusioni. Al tempo stesso, siamo consapevoli che l’impresa – manifatturiera e di servizi – resta il nucleo insostituibile di ogni prospettiva di progresso. E – ancora più importante – di lavoro. Però, fino ad oggi, non c’è stata la capacità – e volontà – di imboccare con decisione una nuova strada. Una strada che con la chiarezza – e la forza – del vecchio modello indichi a tutto il Mezzogiorno tempi e modalità della riscossa.
È questa la sfida di Matera. Detto in modo perentorio, può la cultura diventare la leva di rilancio di tutto il Sud? È passato da tempo il tempo in cui un Ministro dell’Economia sentenziava che «con la cultura non si mangia». E lo stesso – autorevole – Ministro ha fatto della propria autocritica un manifesto di segno contrario. Ma, fino ad oggi, la cultura e il turismo sono rimasti la cenerentola di ogni programma di governo. Incluso quello gialloverde. Ancora più importante e sconcertante, resta completamente assente l’idea che la filiera culturale possa essere la via maestra per creare lavoro. E di lavoro, moltissimo lavoro, il Sud ha bisogno vitale.
Fino ad oggi, l’accusa principale che la sinistra ha fatto ai Cinquestelle è stata di occuparsi di assistenza, invece di creare occupazione. Ma nell’emergenza, l’assistenza ha – in tutti i sistemi di welfare – un ruolo di tampone e di calmiere. Il vero problema non è quanto – e per chi – il reddito di cittadinanza offrirà un riparo dalla povertà più estrema. Il problema è che cosa accadrà dodici o diciotto mesi dopo. Se nel frattempo non sarà ripartito il motore dello sviluppo. Al punto in cui siamo arrivati, si può continuare la diatriba sulla strada sbagliata imboccata. O si può spostare l’attenzione su quello che si potrà – e dovrà – fare dopo. Sapendo che la bacchetta magica non ce l’ha in mano nessuno. Ma che il primo, indispensabile passo è riconoscere che il nodo da sciogliere è questo. Il prima possibile. Come offrire al Mezzogiorno un modello – nuovo e credibile – di lavoro?
Va accolto con attenzione lo spiraglio che Nicola Zingaretti ha aperto proprio in questa direzione, ieri dalle colonne del Corriere. Per quanto possa suonare paradossale, è la prima volta – da decenni – che un leader della sinistra enuncia, con decisione, la centralità del lavoro. Al di là delle elucubrazioni ideologiche sulle radici e il popolo smarriti, sta qui – nudo e crudo – il passaggio che la sinistra deve affrontare se vuole provare a ripartire. Ritrovare la strada del lavoro, rifarne il proprio DNA. Non è una sfida semplice. Ma è l’unica di cui il paese non può fare a meno. E il cuore di questa sfida – partendo dalla cultura e da Matera – non può che essere il Mezzogiorno.
(“Il Mattino”, 21 gennaio 2019).
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