L’ombra dei soldi sulla Casa Bianca

Ma chi comanda veramente tra i superricchi e il superleader? Nei primi giorni della presidenza Trump fioccavano sui social le foto dei miliardari delle Big-tech in fila alle celebrazioni ufficiali, da loro generosamente foraggiate. Insieme alle notizie di capitolazioni indecorose, come la censura di Bezos al suo giornale, il Washington Post, o la decisione di Zuckerberg di togliere qualunque filtro alle fakenews su Facebook. La raffica indiscriminata di tariffe piovute dalla Casa Bianca sugli scambi commerciali mondiali, con conseguente crollo delle Borse, sembrava aver sancito il predominio della politica. Poi, il vento è cominciato a cambiare.

Con un linguaggio cauto ma esplicito, sono arrivate le dichiarazioni allarmate di alcuni esponenti di spicco del mondo finanziario. Meno noti al grande pubblico, ma enormemente influenti per il ruolo sui mercati dei bond e delle valute, dove si stava aprendo una falla meno visibile ma ben più cospicua – e preoccupante. Perché rischiava di detronizzare il dollaro dal suo piedistallo monetario, aprendo per l’economia americana la prospettiva di una recessione. Trump, per quanto a malincuore, ha dovuto correre ai ripari.

Ma siamo solo alle prime schermaglie. Anche perché la partita in corso è molto diversa da quella cui siamo stati abituati in passato. L’influenza delle elites del danaro sui vertici delle democrazie è stata sempre un fattore importante. Ma si svolgeva dietro le quinte, soprattutto nell’esperienza europea. In America, gli ingenti contributi alle campagne elettorali e il fatto che ministri importanti – e talora gli stessi presidenti – disponessero di grandi patrimoni ha reso più visibili gli intrecci tra interessi privati e scelte pubbliche. Ma era una materia che restava monitorata e regolamentata. Con la seconda presidenza Trump, la scena è drasticamente cambiata.

Innanzitutto, sul piano quantitativo. La campagna elettorale del candidato repubblicano è stata scandita da cene con finanziatori miliardari in cui Trump metteva sul piatto gli interventi che avrebbe fatto per favorire i suoi commensali. E che non fossero promesse a vuoto lo si è visto in queste giornate, con le foto – e le cifre esatte – di chi era passato all’incasso. Ma il dato ancora più importante è l’aperta rivendicazione – da ambo i lati – di un rapporto che poco fa sarebbe stato etichettato come collusione e corruzione. E che oggi, invece, viene rivendicato come una sorta di diritto acquisito dei ricchi ad arricchirsi senza limiti.

Possibile che ciò venga tollerato? Ci sono almeno due spiegazioni per quella che al cittadino europeo – e a molti cittadini americani – appare come una violazione delle regole basilari dello stato di diritto. La prima è l’impotenza della magistratura che dovrebbe provare ad intervenire, e che appare – almeno per il momento – sotto lo scacco dell’esecutivo. La seconda – e più insidiosa – ragione è che dietro questa sorta di rivoluzione dei ricchi si è andata consolidando una vera e propria ideologia libertaria. Con molti portavoce agguerriti rimasti per qualche tempo ai margini e diventati, negli ultimi mesi, protagonisti di un movimento di opinione. È quella che è stata definita la nuova «tecnodestra», il cui antesignano più autorevole è Elon Musk, che si è conquistato un ruolo di primissimo piano al fianco del Presidente, anche grazie al suo protagonismo mediatico.

La forza della tecnodestra sta nel fatto di fondere il ruolo guida delle grandi aziende digitali sulla scena economica globale con il nome – e la personalità – dei loro proprietari e fondatori. Se in passato una visione del mondo nasceva da pensatori e/o leader carismatici, oggi origina dal successo individuale e dal motore riconosciuto, l’innovazione tecnologica. Questo nuovo sostrato culturale ha diverse declinazioni. Dall’ «illuminismo dark» di Curtis Yarvin, col suo manifesto reazionario di cui scrive Luca Angelini sul Corriere. Al Silicon Valley Canon, che raccoglie e sistematizza le idee che ispirano buona parte delle start-up che stanno sviluppando e diffondendo l’Intelligenza artificiale. Due correnti che confluiscono nel brain-trust di consulenti – a vario titolo – di Donald Trump.

In questo rimescolamento delle carte, diventa sempre più difficile capire chi sta al timone, e chi si adegua. Ma forse non è più tanto necessario. Almeno fino a quando la barca rimane a galla.

di Mauro Calise

(“Il Mattino”, 14 aprile 2025).

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