Sto sulle rive del Rio delle Amazzoni ed il fiume è talmente largo che quasi non si riesce a scorgere la riva opposta.
Nonostante i tentativi del Nilo e del Mississippi, è il più grande fiume del mondo.
Il Brasile è un paese talmente grande, talmente esteso, che si è permesso di costruire una capitale nel centro geografico, ma Manaus è senza alcun dubbio il cuore dell’Amazzonia.
Il clima è molto umido e molti abitanti bianchi, indios e di colore sembrano muoversi come zombie lungo le vie della città.
Chi non ricorda con affetto le avventure di Mister No e le sfide dei garimpeiros lungo le sale dell’hotel Amazonas…
Io ho preferito gli allettamenti della civiltà, dell’aria condizionata e mi sono recato presso il moderno Tropical, che indulge ad un clamoroso assortimento di frutta e liquori tropicali.
Ma, per capire il senso, il mistero della vecchia Manaus, bisogna addentrarsi nei vicoli vecchi e maleodoranti della città, che fu il centro mondiale dell’estrazione della gomma.
Il vecchio teatro dell’opera in cui si voleva invitare il grande Caruso era completamente avvolto dalla giungla, come se questo maestoso tocco di Occidente non potesse esistere di vita propria e dovesse restituire il suo soffio alla foresta circostante.
Ma Manaus vive sul grande Rio delle Amazzoni, è come un centro di umanità sulle sue rive.
E allora sulle sue rive bisogna tornare.
Dei baracchini vendono pesce di fiume e tra questi il celebre piranha: col mio modesto portoghese riesco a capire che questo pesce è giudicato molto sostanzioso, forse perché si nutre molto bene.
Decido per l’assaggio e immediatamente un pesce viene messo sulla brace, rudimentale: dopo un po’ mi viene rifilato un piatto rustico con dentro il pesce accompagnato da una caipirinha.
Guardo con sospetto il pesce poi apro la bocca e vedo dei denti che mi sembrano d’acciaio, dei quali ho immediatamente paura.
Lo seziono accuratamente, assaggio un po’ di carne e mi sembra buona, anche se con un gusto particolare, poi tocco i dentini con un dito ed ho la sensazione che me lo strappino, sembrano effettivamente di metallo.
Certo, l’immaginazione vola ai poveri bovini scarnificati, ma non ho tempo per l’immaginazione.
L’uomo del baracchino mi tocca sulla spalla e mi indica il grande fiume; a poca distanza dalla riva, forse trenta metri, una coppia di delfini rosa volteggia nell’acqua, con un movimento parallelo, poi scompare.
Chiedo all’uomo, nel mio portoghese rudimentale, se ci sono altri animali pericolosi nelle vicinanze, lui annuisce e mi parla di caimani (jacarè) e possenti giaguari che colpiscono le prede di notte.
Preferisco non rischiare, me ne torno al mio moderno hotel Tropical, sento il fruscio dell’aria condizionata, assaggio un altro gustosissimo succo di frutta e sento diffondersi tutto intorno le note della musica brasiliana, quella di Rio.
Certamente, la giungla sì, ma “con juicio”.
Viator
Commenta per primo