Modi – Tre giorni sulle ali della follia

Il film, basato sull’opera teatrale di Dennis McIntyre e sulla vita di Amedeo Modigliani, lascia lontani mille miglia da quella che, senza dubbio fu la disperata vita di Modi’ e dei suoi due amici Utrillo e Soutine, ma certamente non così volgare come è stata rappresentata.

Una volgarità che rappresenta l’oggi, ma non quegli anni parigini dove l’arte non era ancora ridicolizzata dalle violenze del mercato.
Nella bellissima prefazione di Hemingway del prezioso libro di Kiki de Montparnasse, musa di molti artisti, possiamo respirare l’aria di quei giorni, dove la bufera della prima guerra mondiale già soffiava la sua aria di morte.
Un’aria anche di potente creatività e, nonostante tutto, di speranze. I fuochi accesi per riscaldarsi, con i pochi mobili rimasti, erano anche il fuoco che lussureggiava nei  cuori e nelle mani di quegli artisti squattrinati ma ricchi di dignità e futura gloria.
Beatrice Hastings, la poetessa che fu per due anni la compagna di Modigliani e che cercò di salvarlo dall’alcol e dalle droghe, lo lasciò per non distruggere se’ stessa.
E nel film è raccontata questa loro storia, sempre in bilico tra possibilità e follia.
Nascevano allora i mercanti d’arte e il vero regalo di questo film è il cammeo di Al Pacino, ricco compratore d’arte, povero di futura visione, che avrebbe comperato oggi la banana attaccata al muro di Cattelan.
Definitivo colpo alla morte della vera Arte, quella che da una soluzione crea un nuovo enigma.
Modigliani era il mio pittore preferito da ragazzina, adoravo quel periodo che odorava di trementina e di legna di camini, sognavo una serata al Lapin Agile e una zuppa da Rosalie.
Sognavo il Bateau Lavoire, quegli angusti studi dove s’accapigliavano poeti e pittori e dove ognuno buttava sul letto la propria gioiosa e disperata diversità.  Prima di ogni omologazione, prima che la disperazione diventasse non più polarita’ creativa, ma quotidiana distruttivita’ di una massa incapace di dire no, non ci sto alla mia disumanizzazione.
Sono molte le domande che sorgono sul nostro passato dopo certi film.
O meglio sui passati che ognuno di noi ha amato e idealizzato. È come la delusione di tornare dopo anni sui luoghi dell’infanzia.
Sparita l’aura luminosa, quella riva dove giocavamo è tornata riva e quelle stanze, solo stanze.
Chissà come era davvero la Parigi di allora?
Mi è piaciuta rivederla nel film di Woody Allen: midnight in Paris.
Ecco, se proprio volete vederlo il film di Johnny Deep, non scordatevi di guardare subito dopo quello di Woody Allen.
Un antidoto alla volgarità.
di Patrizia Gioia

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