Il nostro ecosistema Terra ci insegna molto, …basta interpretarne i segni.

Un racconto a carattere paleoecologico che ci invita a rispettare noi stessi, tutti gli esseri viventi e gli ambienti che ci sono solo “prestati” non dati in proprietà. Tanto meno da essere manipolati o distrutti. I fatti (immaginari ma non troppo) avvennero nei mari in cui oggi camminiamo…più o meno di fronte all’abitato dell’attuale Pecetto, a sette km da Alessandria.

La Paleoecologia. Un modo speciale di conoscere luoghi familiari cambiati (e molto) nel tempo.

I geologi e paleontologi Sturani, Sampo’, Pavia, Gaudant,  forse dicono poco (alla maggioranza dei lettori) ma sono coloro i quali ci hanno permesso – con altri – di conoscere un ambiente solo da poche tracce lasciate in una pietra o fra anonimi straterelli d’argilla. Ai neofiti (alla maggioranza di noi) sembra  tutto uguale, con qualche curioso punto o riga…invece dentro a quelle rocce, a quei pezzi di terra anonima è scritta la nostra storia. Quella più profonda, quella che risale al passato remoto o, pensando all’ominizzazione, a qualcosa di più prossimo. Ecco, con la guida della balena Tersil (anche se siamo qualche milione di anni prima della famosa “Tersilla” del ritrovamento di San Marzanotto d’Asti (1)) proviamo ad immergerci nel mare prospicente le colline del Monferrato orientale, proprio quelle dove ora c’è Pecetto e vivremo una esperienza unica. Se, poi, qualche lettore volesse saperne di più, giusto per orientarsi meglio, può consultare il sito  (2) https://alessandria.wixsite.com/pecetto e potrà apprezzare appieno questa prima puntata…in attesa delle prossime.

E’ da un po’ di tempo che il piccolo Loar si lamenta. Si strofina in continuazione, chiama la sorella giusto per disturbarla, non fa attenzione ai ritmi di respirazione, si allontana troppo. Un vero problema. Eh sì che ho provato in tutti i modi a renderlo autonomo, attento, responsabile. Niente. I fischi più acuti non gli fanno né caldo né freddo, quelli più profondi – di pericolo – gli provocano la ridarella  con conseguente produzione di milioni di bolle. Un incubo. La femmina, la piccola Deer è ben diversa. Si avvicina ai fondali con circospezione, appena vede qualcosa muoversi… subito si avvicina a me, fa lunghe nuotate… sempre con i tempi giusti . Ha anche imparato a schioccare le pinne contro la pancia, sempre più bella e liscia, in funzione “antisqualo”. Qualcuno dei nostri amici pinnati, infatti,  non ha ancora capito che è inutile provarci, noi siamo in piena salute e non potremo mai essere cibo per loro. Almeno fino a quando saremo in vita…. Tra l’altro questa continua fuliggine che sale dalle fumarole in fondo (quelle che nonna Akur chiama il “sospiro del dio Balena”) ci permette di mimetizzarci meglio, non ha particolare sapore e sembra innocua. I problemi, molto relativi, vengono fuori solo nei periodi di riposo. Proprio allora il lavoro per Piotr  (3il granchietto e per tutti i suoi amici, aumenta. E di molto. I nostri dentoni, infatti, sono lamine lunghe e sottili e se si intasano di schifezze diventa difficile inghiottire anche un microgamberetto. E in quesi casi Piotr è essenziale. Sempre nonna Akur ci dice, con sibili e gorgoglii, che ai suoi tempi non c’erano tutti questi tonfi, queste ondate improvvise d’acqua tanto forti da spostarti e, soprattutto, non c’erano quelle curiose righe rosso-verdastre sul fondo tanto belle quanto pericolose. Quelle che si vedono da molto lontano e che  sembrano collegate alle lingue fuligginose che salgono dal fondo. Una volta sola ho dovuto fare un’immersione rapida, di cento corpi di balena in fila, per andare a riprendere Loar che si era perso correndo dietro ad una grande razza. Scendi, scendi,  scendi, era arrivato  fino alle radici delle fumarole e si era sentito male. Aveva un cerchio, prima rosso, poi nero, proprio di fianco alla pinna, verso il muso e, soprattutto aveva inghiottito della sostanza giallo – verde dal sapore di alga marcia. Abbiamo dovuto spingerlo fino in superficie per farlo star meglio…. Fatica sprecata, perché – senza neanche dire grazie – dopo dieci secondi di sbuffi all’aria, si è messo dietro ad una tartaruga… Ma era la vecchia Carry(4)  e, conoscendoci, faceva apposta a non allontanarsi continuando a girare intorno a me e a Deer. Senza volere ci trovammo tutti e tre in superficie e, quasi involontariamente, cominciammo a farci cullare dal mare. Bastava un colpo di pinna ogni tanto e si stava a galla…e che panorama. In alto, in un blu profondo quasi come il nostro mare, milioni di punti luminosi, brillantissimi , incastonati nel cielo come le mie fedelissime amiche Patty e Xenny (5) sulle rocce del mare basso, quello dove noi non possiamo andare. Il profilo delle colline sullo sfondo è quello solito ma, col buio e con una conchiglia gialla perfettamente rotonda dietro, assume un fascino tutto particolare. E’ qui vicino che venni l’anno scorso per partorire e nell’acqua, quella notte, c’erano miriadi di scie luminose miste a rametti galleggianti, a piccole ostriche attaccate ai legni, addirittura con aghi di pino dispersi e, una volta, con Porty (6) un grosso granchio che è meglio non stuzzicare. Si faceva portare al largo con quella zattera di fortuna, sperando di trovare cibo e…di non inabissarsi. Rimanemmo incantati giusto il tempo di vedere un bagliore rosso, poi uno scoppio, un crepitio, un lancio di pietre caldissime in acqua e via…di nuovo giù. Una rapida occhiata a destra e a sinistra, per vedere se erano ancora lì Loar e Deer e poi via. Cento  balene sotto in linea d’acqua e scompare la luce, anzi se ne va  molto prima, ma è tanta la velocità che non ce ne accorgiamo nemmeno. Sentiamo dai riflessi di onde sonore sul nasone che siamo vicini al fondo e che a destra e a sinistra ci sono ripide scarpate… Ci fermiamo un momento e proviamo a guardarci intorno. Vediamo poco ma più di altre volte perché abbiamo intorno  tanti  Maurul (7) che girano vorticosamente e cercano di capire che sta succedendo. Sono piccoli piccoli e stanno ben lontani dalla nostra boccona… non sanno che intanto si fermerebbero sulla saracinesca dei fanoni per essere poi rispinti via… Comunque fanno luce con due o tre piccoli lumini traslucidi che hanno vicino alla coda. La luce cambia, da verdastra ad arancione a bianca e, sinceramente, staremmo ore ad osservarli … ma non possiamo. Anche perché sono caduti tre enormi massi proprio vicino a Deer che, terrorizzata, ha iniziato la risalita per conto suo. Loar, invece, prova a muovere una decina di pesci morti sul fondo, specie nella parte che va più giù verso la “Gola di Ussar”, uno dei punti più scuri, freddi e misteriosi del nostro mare. Lì c’è tantissimo cibo, piccolissimi animaletti vaganti, brodini di poltiglia che da sempre sono la nostra delizia. Solo che, da un po’ di tempo, si trovano molti pesci morti, qualche granchio, alcune seppie e molti pezzi di legno fradici, tanto da sembrare una enorme discarica. Bleah. Ma a Loar l’ambiente piace, l’avventura ancor di più e così, in pochi secondi, si ritrova con tutta la pancia impiastrata di scaglie di pesce morto e, quel che è peggio, con la chela di un granchio (un parente dell’amico Porty di prima) inserita profondamente sotto la bocca. E’ bastato uno scossone per disarticolarla, tanto era debole il crostaceo, ma – intanto – il danno era fatto. Guardo in alto e vedo che Deer ci aspetta una cinquantina di balene sopra e…zoom…via verso l’alto. Anche perché comincia a mancare l’ossigeno e tutto il corpo non riesce a traspirare perché i pori sono intasati di fuliggine, ossicini di pesce, pezzi di gherigli di noce ormai marci, legni piccolissimi e foglioline minuscole e lunghe. Proviamo a risalire e, piano piano raggiungiamo Deer, ma non basta. Muoviamo la coda  fino al pelo d’acqua per provare a liberare Loar dalla chela… Ma non ce n’è bisogno. Si è già staccata da sola ed è scesa lentamente attraversando argentei banchi di pesci sciabola e, più sotto,  gruppi di buffi pesci palla (9) . Uno di questi  pesci, a metà tra una scatola deformata e un pallone, ha provato ad inghiottirla…ha masticato per un po’…poi ha sputato il tutto nel canalone d’acqua vicino. Quello che si è formato, sempre secondo nonna Akur, all’improvviso, quando lei era piccola piccola. Un rumore tremendo, uno squarcio nella roccia, poi tanto fumo e strisce rosse che non si potevano avvicinare.  Quelle stesse che ora sono come solidificate in grandi blocchi scuri….

Ma è ora di riposarsi un pochino, dato che un po’ di “brodino delizia” l’abbiamo già divorato muovendoci in continuazione . Ci vorremmo piazzare nel solito antro riparato con le gorgonie a fare ombra ma vediamo, con un po’ di preoccupazione, che c’è qualcosa che si muove vorticosamente. D’istinto Loar e Deer si stringono vicino a me e, muovendoci pianissimo, ci avviciniamo. La scena è spaventosa e, sinceramente, ci preoccupa. Il nostro vecchio e caro amico delfino Jax  (8) si è abbandonato completamente a due Sharky  (10) i veloci squali  che infestano tutto il nostro tratto di mare. Deer è atterrita e si è nascosta dietro la coda, Loar è curioso…ma si guarda bene dall’avanzare verso il punto di attacco. Anche se, per la verità, non si tratta di un’imboscata, di una battuta di pesca organizzata come a volte fanno gli Sharky, semplicemente Jax si è lasciato andare a fondo e, a metà della corsa, ha incontrato gli “spazzini dentoni”, come li chiama nonna Akur. Per lei non esistono specie viventi buone o cattive, siano essi pesci o mammiferi o coralli o spugne o granchi o oloturie. “Tutte le specie hanno un loro posto, una loro utilità e devono essere rispettate”. Sta nel ciclo della vita che alcuni si specializzino nella pulizia delle acque e dei fondali da ciò che resta di altri pesci o mammiferi. Anche se, come nel caso di Jax, sono esseri a cui siamo stati affezionati. Il suo stesso non movimento, il lasciarsi andare a fondo, il muso tranquillo e non segnato dalla paura o dal dolore , ce lo fanno capire. E’ giunta la sua ora…ed è giusto così. Lola Shark e Betty Shark non fanno che eseguire ciò che il loro istinto suggerisce. E poi… via.  Ciò che resta di Jax va a fondo e nel giro di pochi giri di conchiglia gialla del cielo sarà invisibile. Del rapido pasto squalesco non resta che qualche briciola e qualche frammento sfilacciato , ben presto preda dei soliti furbi m (11) . Quelli che non vedi mai e, invece, ti compaiono all’improvviso in folate improvvise. Sono grossi come una pinna, cangianti, argentei e con sfumature azzurrine. Veramente uno spettacolo, specialmente quando sono in branchi. Ma si fanno i fatti loro, sgraffignano, prendono un po’ qui e un po’ là e poi se ne vanno. Loar vorrebbe inseguirli ma sono troppo veloci, anche se – senza accorgersene – torna in superficie. D’altra parte ne avevamo tutti bisogno. Era dal cielo stellato precedente che non si usciva alla brezza. Non è acqua fresca, quella di fiume, quella che ti fa il solletico, la “brezza” è magica, ti accarezza e ti asciuga, ti fa sentire strana…e devi subito tornare sotto il pelo dell’acqua. Magari sbirciando un po’. Deer e Loar amano particolarmente questo momento in superficie, si vedono i gabbiani volare, le grandi “v” delle folaghe, i piccoli e i grossi tronchi pieni di ostriche, qualche volta con i granchietti sempre in cerca di cibo. Uno spettacolo. E, sullo sfondo, una massa verde con tante punte, interrotta dal mare da una striscia lunga e giallastra. Sale, sale fino alle fumarole grigie, uguali a quelle che chiamano !”il sospiro del dio Balena”, giù giù in fondo al mare. Bene. Ci siamo rilassati…forse troppo. Loar si era di nuovo allontanato e si era inabissato seguendo chissà che… Ci proiettiamo immediatamente alla sua ricerca e lo vediamo vicino ad una roccia. Ha inseguito Octo  (12) fino alla sua tana. Octo è un amico ma, per sicurezza si è subito mimetizzato. Era però molto più grosso dell’ultima volta che lo incontrammo. Ora le sue parti basse si nascondevano a fatica, debordando sulla sabbia in parallelo con le Posidonie. Loar si avvicinò quanto potè ma non riuscì a riconoscerlo. L’occhio di Octo, però, era molto vigile e, incurante del balenottero, ma fedele all’amicizia con la famiglia di cetacei, buttò fuori uno sbuffo pieno di liquido nero e, nello stesso tempo, con la punta del tentacolo indicò poco più su a destra… Era Shelly Shark che annusava e cercava di percepire le minime vibrazioni. Era in caccia. Continuava a girare in cerchio e avrebbe voluto mettere qualcosa sotto i dentoni aguzzi…. Ma non era giornata. Oltre tutto si era accorto che una nuova massa scura si stava avvicinando, per cui scomparve con un rapido gioco combinato di pinne e coda. E…inaspettamente comparve Joyce, la grande balena maschio che ritornava dopo un giro completo di conchiglia gialla dall’altra parte del mare, quella verso le spiagge grigie e le acque fredde del sud. Si avvicinarono e per un momento furono una cosa sola e non quattro esseri viventi (Deer e mamma Tersil avevano nel frattempo raggiunto Loar) ma l’idillio durò poco. Improvvisamente la corrente diventò sempre più calda e cominciarono a piovere pietroni sempre più grandi. Il peggio fu quando il “sospiro del dio Balena” divenne sempre più forte, un rantolo continuo, misto a sibili e scoppi. Fino a eruttare robaccia arancione e rosa che subito si tramutava in nuvole di fumo denso. Il mare aperto era l’unico posto sicuro a disposizione, ma si mossero troppo tardi. Tersil fu colpita in più punti da una pioggia di rocce incandescenti e, per non far arrivare la colata sui due piccoli, si fermò immobile. Incurante delle ferite, dei tagli, delle vere e proprie perforazioni che la stavano attraversando. Si mosse ancora un poco verso Joyce, emise tre sibili acuti molto modulati e morì. Non riuscì nemmeno a salutare come si deve Deer e Loar, perché i fatti si svolsero in estrema velocità e totalmente inattesi. Joyce aveva capito il significato dei fischi e si allontanò il più possibile con i due balenotteri. Tersil si lascò rotolare lungo la scarpata… fino all’ammasso di pesci, alcuni grossissimi, che già si trovavano sul fondo. Morirono tutti per asfissia o per essere stati troppo vicini alle fumarole. E intorno avevano una massa di guscetti piccoli piccoli, bianchissimi, che si stavano trasformando in polvere. Tutto era impastato di pappetta bianca, tutto era ricoperto da uno strato uniforme e profondo di detriti. E sotto, in più livelli, giacevano pesci sciabola, centinaia di “maurul”,  pesci palla, merluzzi e sardine. Anche due o tre portunidi ormai sbiancati e sballottati dalla poca corrente rimasta. Un mondo ben diverso da quello pieno di vita a cui era abituata Tersil.  Ma era venuta la sua ora. E, con un sorriso, salutò il mondo sommerso, il suo mondo.

Uno dei più importanti ritrovamenti di cetacei fossili in Piemonte è la balena che fu scoperta, casualmente, nell’autunno del 1993 dai lavori di sistemazione di una strada  che portava in una vigna nei pressi di San Marzanotto, frazione poco a sud di Asti. Il cetaceo fu chiamato “Tersilla” in onore della proprietaria del terreno nel quale fu scoperto (Tersilla Argenta). Lo stato di conservazione dello scheletro fossile ritrovato (di circa 6-7 metri di lunghezza) è ottimo. L’esemplare conserva quasi tutto il cranio e una buona parte della regione cervico-toracica. I resti ossei risalgono all’età pliocenica (5,4-2,6 milioni di anni fa). Tra i resti ossei del cetaceo furono ritrovati molti denti di squalo (probabilmente alcuni di questi squali banchettarono con la sua carcassa) e svariate conchiglie fossili. Piero Damarco, paleontologo dell’Ente Parco Paleontologico Astigiano, definì questo ritrovamento “uno dei più significativi degli ultimi 50 anni in Italia.” Infatti, recenti studi approfonditi (anche attraverso TAC) hanno confermato che, per le caratteristiche morfologiche, questo esemplare costituisce un genere e  una specie nuova, perciò unico al mondo.

I resti della “Tersilla” insieme a molti altri reperti sia di cetacei, sia di svariati invertebrati che compongono i classici fossili astigiani, possono essere ammirati nel Museo Paleontologico Territoriale dell’Astigiano, presso il “Palazzo del Michelerio”, in centro ad Asti.

 

 

(1) https://sites.google.com/site/untuffonellastigiano/la-balena-di-san-marzanotto 

(2https://alessandria.wixsite.com/pecetto

(3) “Piotr” alias Petrolistes sp. (Arambourg, 1927)

(4) “Carry” alias Caretta pseudocaretta (Linnaeus, 1758)

(5) “Patty” “Xenny” alias  Patella vulg. e Xenophora striata (Linnaeus , 1758)

(6) “Porty” alias Portunus monspeliensis (Milne, 1860)

(7) “Maurul” alias Maurolicus Muelleri (Gmelin, 1954)

(8) “Jax” alias Acrodelphidae (Schizodelphis sulcatus – Abel 1900)

(9) “pesce palla” alias Archaeotetraodon bannikovi Carnevale & Tyler, 1960)

(10)  “Shharky”alias Carcharodon Carcharias (Mueller, 1828)

(11) “Marlitz” alias Merluccius merluccius (Linnaeus 1758)

(12) “Octo” alias Octopus vulg. (Linnaeus, 1758)

 

 

 

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