Note sulla Russia dopo la mancata marcia su Mosca di Prigozhin

Propongo alcune riflessioni sulla Russia d’oggi a partire dalla mancata marcia su Mosca di Evgenij Prigozhin, il Capo (o ex capo) dell’Armata Wagner, gruppo detto mercenario, ma che secondo molti analisti è stato ed è semplicemente un corpo speciale utilizzato per compiere operazioni di guerra senza coinvolgere apertamente lo Stato russo in determinati conflitti, come già in Medio Oriente e in Africa. Iniziata l’”operazione” contro l’Ucraina, utilizzare “la Wagner” era parso importante, nonostante la forma “irregolare” di tale esercito “di ventura”.

In primo luogo mi colpisce il fatto che l’iniziativa che ha spinto allo scoperto Prigozhin – inducendolo a un atto che “col senno di poi” pare esser stato disperato – sia stata innescata, per “ragion di Stato” non da poco, da Vladimir Putin stesso, nel senso che a un certo punto al Capo del governo russo è parso intollerabile il comportamento di un capo militare – sia pure di corpi franchi formalmente irregolari, ed anche con meriti sul campo da un punto di vista russo – il quale ogni giorno attaccava i vertici dell’esercito russo ponendosi chiaramente come il solo capace di condurre con efficacia la guerra russo-ucraina. Il fatto che si ponesse come Condottiero con grandi ambizioni politiche era palese. Putin, dopo settimane di violente polemiche di Prigozhin contro i vertici militari dello Stato – e quindi volente o nolente contro lui stesso, che ne è il diretto superiore (oltre a tutto in regime semidittatoriale) – ha deciso di fermarlo, ponendo alla divisione Wagner, di circa cinquantamila combattenti formalmente indipendenti, l’alternativa di diventare apertamente parte dell’esercito russo soggetta ai ministeri competenti ed allo Stato, cioè a lui stesso e al Ministero della difesa, o di sgomberare.

Putin ha operato così anche perché, a quel che risulta, s’intende di Storia, tanto più russa, sia pure con un approccio chiaramente nazionalista di destra. Sa che cos’è il dualismo di potere, che si crea quando una forza che non è Stato agisce come Stato nello Stato, in vista del farsi Stato (nel senso di vero governo dello Stato) al posto dello Stato (o governo dello Stato in carica). La cosa si può classicamente presentare come alternativa tra una forza armata o militare illegale e quella legale, o anche tra un’area che sia Stato in potenza, come i soviet del 1917, contro lo Stato effettivo. Questo dualismo di potere si è presentato in quasi tutti i colpi di stato o “rivoluzioni” di grandi proporzioni nella storia del Novecento. Quel che se ne sa, sin dai testi politici di Lenin e di Trockij (che fece in tempo ad essere grande storico, oltre che protagonista – secondo solo a Lenin – della Rivoluzione d’ottobre del 1917), è che il dualismo di potere è inaccettabile per qualunque Stato, ed è per lo più di breve durata[1].

Perciò Putin, prima del golpe abortito di Prigozhin, aveva deciso di normalizzare la posizione della divisione “mercenaria” Wagner quantomeno in area russo-ucraina incorporandola nell’esercito regolare, o congedandola. Prigozhin, costretto a passare in Russia dalle stelle alle stalle, allora è uscito allo scoperto provando a marciare su Mosca. Contava certamente su molti sostegni tra l’esercito regolare, che però, come accade in tali casi, al momento risolutivo debbono essere venuti a mancare, costringendolo ad accettare la forte pressione dello Stato vassallo della Russia, la Bielorussia di Aljaksandr Lukasenko, perché si fermasse accettando di essere esule oppure semiprigioniero o “in attesa”, pare in un albergo di Minsk senza finestre. Altrimenti la rivolta sarebbe stata sedata nel sangue, certo con migliaia di morti “wagneriani” e regolari, ed a vantaggio dell’Ucraina di Zelensky. Sembra che il principale sostegno che gli è venuto a mancare sia quello del suo stimato amico generale Sergei Surovkin, viceministro delle forze armate, già protagonista dell’annessione della Crimea e numero due russo in tutta l’”operazione” degli ultimi anni della Russia contro l’Ucraina.

Questo generale, nel momento più grave del golpe mancato, ha fatto pubblicamente appello a Prigozhin perché si fermasse, e forse questi si è fermato proprio per questo. Prigozhin nel momento del pronunciamento ha pure provato ad accreditarsi con l’Occidente, negando che ci fossero state provocazioni della NATO alla base della guerra russo-ucraina. Ma naturalmente gli Stati occidentali non hanno abboccato; non gli hanno dato alcun credito, sapendo che sino al giorno prima aveva sempre accusato i vertici russi di non saper né voler condurre la guerra totale necessaria a sconfiggere l’Ucraina. L’idea che migliaia di testate nucleari russe potessero cadere in mani di un avventuriero sanguinario e un poco folle com’è ritenuto Prigozhin, per alcuni giorni è certo stata un incubo per gli Stati occidentali, che forse hanno compreso che dopo Putin potrebbe arrivarne uno peggiore. Sarebbe ora che lo comprendessero.

Le cronache sono piene di interrogativi sulla sorte di Surovkin, che secondo il “New York Times” sapeva in anticipo quel che stava combinando il suo amico Prigozchin. Sembra che questo generale Surovkin sia sotto interrogatorio della polizia (sorte non augurabile neanche a un nemico). Ma c’è pure chi sostiene che le voci su Surovkin che sapeva siano state messe in giro da elementi del governo americano stesso per colpire ulteriormente i veri condottieri dell’esercito russo. La figlia del generale nega persino che il padre sia stato arrestato.

Nel contesto è stato interessante il paragone storico fatto a caldo da Putin tra Prigozchin e Lenin in materia di “golpismo antinazionale”. Sulla base dei miei più che sessantennali interessi per Lenin, questo mi sta a cuore. Illumina, infatti, l’ideologia politica di Putin.

Premetto che palesemente Putin si sente erede della Russia zarista, ma anche di Stalin (e del KGB in cui si è formato, vera scuola di stalinismo). Stalin è stato pure colui che quando Hitler invase l’URSS nel 1941 fece appello a tutti i “fratelli” e “sorelle” dell’immenso Paese per condurre una “grande guerra patriottica” contro l’invasore, finita con la disfatta dei tedeschi, e con l’Armata Rossa giunta a Berlino, e che portò sin là l’egemonia “russa”. Lenin invece è stato visto dal nazionalismo russo o come puro e semplice agente dei tedeschi operante per provocare, col suo disfattismo “rivoluzionario”, il crollo della Grande Russia, oppure come uno che comunque strumentalizzava la disfatta del proprio Paese, e apertamente se l’augurava (con “disfattismo rivoluzionario”), per prendere il potere come dittatore comunista. Questa linea interpretativa è culminata nel libro di Aleksandr Isaevic Solzenicyn Lenin a Zurigo[2] (1976), in cui era totalmente accreditata la tesi di un Lenin che fa coscientemente il gioco dell’impero guglielmino, come agente segreto, cercando la disfatta del proprio paese per prendere il potere. In sostanza Putin ha accusato Prigozhin, col suo tentato golpe, di fare il gioco dell’Ucraina, e soprattutto degli americani e dell’Occidente, pugnalando alle spalle, con la sua sedizione, lo Stato russo per prendere il potere, come per lui avrebbe fatto Lenin, che giocando sulla disfatta russa a fini rivoluzionari avrebbe impedito alla Russia di vincere la Grande Guerra dalla parte dell’Intesa, e posto le basi per lo smembramento dello Stato russo con la pace di Brest Litovsk, in cui nel marzo 1918 non solo fu confermata l’indipendenza della Finlandia, ma pure la cessione agli Imperi centrali dell’Ucraina, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Bielorussia e della Polonia Orientale.

Le cose non stavano esattamente così. I bolscevichi, al di là della leggenda nera, ritennero impossibile “non mollare” proclamando, dopo tante disfatte dell’esercito russo, la guerra rivoluzionaria (come tra loro voleva il solo Bukharin), e pensarono che la rivoluzione europea avrebbe risolto quei problemi, tanto che già nel novembre 1918 grandi movimenti di massa di affamati fecero crollare l’impero degli Hoenzollern e finire la guerra. Si disse che Lenin aveva praticato la politica del “perdere spazio per guadagnare tempo”. Quanto vi sia di giustificazione post rem, di sapienza rivoluzionaria oppure di resa al nemico è oggetto di dibattito. Certo Putin considera Lenin, come Prigozhin, uno che, in quel caso riuscendoci, avrebbe pugnalato alle spalle la Gran Nazione, lo Stato-Impero, a favore del nemico in guerra. E l’ha detto.

Qui emerge un dato interessante dal punto di vista del pensiero politico. Al proposito va rilevata l’ideologia fascista di Putin. Quest’ideologia fascista diventa spesso egemone reagendo a gravi disfatte militari di un Paese, per lo più in vista di una futura revanche. Di tali disfatte esterne è accusato un nemico interno, considerato a quel punto antinazionale, nemico della propria nazione. Così Hitler costruì una parte non piccola del consenso dei tedeschi tramite la famosa teoria della “pugnalata alla schiena”, per cui i rossi avrebbero determinato il crollo dell’impero guglielmino, non vinto sul “campo dell’onore” ma dai “criminali di novembre” del 1918, che avrebbero rovesciato il Kaiser e fatto finire la guerra. In realtà era stata la fame a far crollare il fronte interno, e di rimbalzo quello militare vero e proprio.

Così in Italia il nazionalismo, prefascista, accusò i rossi, col loro odio per la guerra, di aver determinato la disfatta di Caporetto del 1917. La vittoria poi ci fu ugualmente, ma l’odio profondo dei fautori della guerra contro i nemici della guerra alimentò quello che specie dall’agosto 1920 divenne squadrismo fascista, certo connivente col padronato, contro il dilagare dei “rossi”, già neutralisti e “disfattisti”, già egemoni nel “biennio rosso” 1919-1920.

In effetti tutto il regime di Putin a mio parere dovrebbe essere definito classicamente fascista, nonostante una parvenza di libere elezioni e di elettività del potere esecutivo. Riprende il nazionalismo grande russo (e l’idea della “grandezza”, “unità” ed “espansione” manu militare della propria nazione), e ciò è tipicamente fascista. Si riconosce totalmente nella triade “Dio, patria e famiglia”, lì con legame speciale con il cristianesimo dell’Ortodossia. Rinnova insomma, credendoci o meno, l’alleanza tra trono e altare, come il fascismo italiano dal 1929 tramite Concordato con la Chiesa cattolica. Difende la famiglia tradizionale contro altre forme di unione dette contro natura. E non è espressione di ristrette élites “passatiste”, com’erano stati i reazionari da de Maiste a Donoso Cortès dopo la Rivoluzione francese, bensì di grandi masse di persone, che nelle grandi crisi economico-sociali possono essere sì minoranza, ma sempre con presenza consistente nel popolo, in genere tra alta borghesia, piccola borghesia e sottoproletariato. Inoltre, come ogni “vero” fascismo, tende sempre all’uso della guerra per espandere lo Stato. E, last but not least, ha sempre un Duce, che in genere è un punto d’equilibrio tra un’ala più intransigente e una più moderata. Non so che fine farà Putin, ma non dubito del fatto che egli sia stato e sia una sorta di Mussolini russo. Siamo in tempo a vedere, come in Italia dal luglio 1943 in poi, il Mussolini, nel senso di Putin, “nella tragedia”.

Taccio totalmente sul fatto che un partito della filiera di Mussolini, defascistizzato, come Fratelli d’Italia, sia contro Putin. Nella Storia è capitato questo e altro in materia di alleanze tattiche internazionali.

Ma tutto questo ha pure un senso storico più profondo, che ad Occidente fa comodo rimuovere. Perché è venuto fuori un fenomeno come il putinismo? Che cosa ha significato e significa? E, senza avere la sfera di cristallo, come andrà a finire, mettendo nel conto pure i golpisti, vinti e virtuali?

Per me il putinismo è emerso per due ragioni molto importanti: una relativa alla storia di lungo periodo e una a quella che vi si lega ma guarda all’avvenire. La prima è una cosa che mi aveva colpito moltissimo già negli anni lontani in cui mi appassionava la storia del bolscevismo. Mi accorsi presto, anche se tra gli studiosi pochi sembravano comprenderlo oppure si ricordavano di dirlo – perché in fondo giustificava in parte il comunismo, almeno “da sinistra” – che in Russia l’alternativa non era stata tra “comunismo” e pretesa democrazia filoccidentale, tra Lenin e Kerenskij, ma tra “comunismo” e nazionalismo autoritario con basi di massa. Detto in modo rozzo, ma non troppo, l’alternativa “vera” era stata tra “comunismo” e fascismo, tra estrema destra ed estrema sinistra. La Rivoluzione d’ottobre era stata un geniale colpo di stato quasi incruento dei bolscevichi e dei soviet, dopo il quale erano persino stati scarcerati dopo settimane i generali ostili; ma poi era scoppiata una tremenda guerra civile tra rossi e bianchi (comunisti da un lato e nazionalisti panslavisti dall’altro, guardia rossa contro guardia bianca). Perciò, se fosse caduto il comunismo, lo spettro del nazionalismo autoritario, politico-religioso, con basi di massa, avrebbe anche potuto non vincere, ma si sarebbe ripresentato con forza. Com’è in effetti poi accaduto.

Ma qui c’è poi un altro elemento che ha a che fare con un altro punto decisivo, che io chiamo problema dello Stato-Impero. Concerne grandi paesi – come la Russia, ma pure, e ancor più, la Cina – che sono composti da molti popoli. Si tratta di una vecchia storia. Questi paesi hanno finito per stare insieme tutti quanti, pur comprendendo molti popoli spesso di livelli di sviluppo ben diversi e magari di diversa religione (e in parte lingua), per molti motivi: perché divisi non sarebbero stati, e per lo più non sarebbero, abbastanza sicuri da altre potenze straniere direttamente o indirettamente “invasive”; perché debolezza intrinseca e povertà avrebbero reso precario ogni ordine interno; perché un gruppo popolare più forte li costrinse a stare insieme per forza; e anche perché senza stare sotto l’ombrello di un forte Stato nella Storia avrebbero contato e conterebbero come il due di briscola. Questi paesi costruirono potenti autocrazie multietniche, in genere sotto un gruppo-popolo dominante (come l’austriaco nell’Impero asburgico, il tedesco in quello guglielmino e il russo sotto gli zar, ma pure nell’ex Unione sovietica almeno dal 1927 in poi). Queste aree in genere hanno dato luogo ad autocrazie, o comunque a potenti dittature.

Per durare altrimenti avrebbero dovuto diventare Stati federali, cioè veri Stati di Stati, come Stati Uniti e India. Ma è generalmente difficile. In America lo “Stato di Stati” vero e proprio è idealmente nato nel 1787, ma è diventato “Stato di Stati” indissolubile solo con la guerra di secessione 1861/1865, in cui ci furono seicentomila morti su nove milioni di abitanti. In India ha pesato la lunga egemonia inglese, ma anche taluni tratti dell’induismo, su cui non mi soffermo. Solitamente gli Stati che uniscono popoli diversi sono Stati-impero, poco o niente democratici.

Quando cadono gli Stati-impero, tendono ad essere soppiantati da dittature popolari, o “da sinistra” o “da destra”. Al posto dello Stato-impero degli Hoenzollern crollato nel novembre 1918, dopo una lunga lotta e in condizioni economiche estreme, sorse il Terzo Reich (che presto inghiottì pure l’Austria), poi disfatto definitivamente nel 1945. E al posto dello Stato-Impero grande russo sorse l’URSS di Stalin, il quale ultimo sapeva benissimo di essere diventato, intorno al 1928, una specie di zar, che proseguiva la linea da Pietro il Grande in poi. Nel 1991 questo grande Stato-Impero con falce e martello, implose. Ma quel mondo di molti popoli era tale che per restare Stato poteva farlo solo in forma di nuova dittatura o semidittatura popolare.

Dapprima ci fu una sorta di semianarchia incredibile: il raro fenomeno storico dello sfasciamento di un grande Stato. Dapprima si provò a giocare la carta dell’occidentalizzazione. Ma era una carta pesante anche perché era difficile da giocare con tutti quei popoli diversi a diversi livelli di sviluppo, spesso di diversa religione, parte europei e parte asiatici; e, all’esterno, con tanti ex nemici che temevano, e temono “i russi”, come i “soliti autoritari” già “provati” malamente per secoli. Si preferì stare il più possibile alla larga, e tenere i popoli già uniti sotto zar o Stalin a cuocere nel loro brodo. Gli ex vicini si affrettarono a entrare nell’Unione Europea e nella NATO, sempre temendo il ritorno e risveglio dell’orso russo. La grande democrazia d’Occidente, invece di incoraggiarli a diventare una grande area neutrale tra Germania e Russia, preferì accoglierli nella stessa NATO, persuasa che la Russia non avrebbe né dovuto né potuto farci niente. La nascita di un’Europa tanto vasta, a ventisette, voluta soprattutto dall’America, tra l’altro ha reso molto più difficile trasformare l’Unione Europea – già incentrata su Francia, Germania, Italia, Spagna e Inghilterra – in “Stato di Stati”: certo anche per i soliti insorgenti egoismi degli Stati nazionali (in specie francesi), ma pure per la difficoltà di far muovere con decisioni comuni sui problemi vitali un tale immenso condominio.

Si pensava dunque che l’ex “grande” Russia avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco, rimanendo a tempo indeterminato lo Stato totalmente sfasciato che era venuto fuori dal crollo dell’URSS del 1991. Ma quel che più dura “dal”, e “nel”, passato insegue sempre il presente. La signora Storia, piaccia ciò o meno alle anime belle, non funziona secondo modellini imposti, a meno che non si consolidino per secoli. Ci sono aggregati più o meno statali di lungo periodo, che di solito, pure apparentemente morti – diciamo tramortiti – tendono a rivivere. Così lo zarismo sotto lo stalinismo e oltre. Così l’impero cinese da Mao ad oggi, sia pure tra “balzi” e “sbalzi”. E perciò dopo vari tentativi di coesistere con le democrazie d’Occidente, dal 2014 Putin tornò a muoversi “alla russa”, provando a rifare “da destra” quel che da Stalin in poi era stato fatto “da sinistra”: uno Stato-Impero autoritario, in tal caso “cristiano”, con l’obiettivo di tornare a quel che era stato specie sino al 1914, unendo almeno tutti i russofoni e cristiani, con le buone e le cattive maniere. Gli ingredienti ideali per farlo erano, e sono, appunto: panslavismo, cristianesimo ortodosso, nazionalismo grande russo, un Grande Capo (non potendo avere lo zar). Questo è fascismo, ma non solo come espressione delle forze reazionarie, ma anche di capitalismo rinascente.

A noi non piace. A me non piace. Preferiremmo e preferirei un’alternativa democratica, però necessariamente forte, presidenziale democratica invece che dittatoriale. E se tutta l’Europa orientale invece di essere annessa alla NATO fosse stata neutralizzata, diventando una grande area cuscinetto con la Russia, la democratizzazione, anche in Russia, sarebbe stata totalmente possibile. E anche l’Unione Europea come Stato di Stati meno vasto, ma più unificabile. Ma, anche in tal caso, non si possono mettere le mutande a madama la Storia, che da sempre ne fa senza (nel bene e nel male).

Si dice che nessuno minacciava la Russia, con la NATO. Sta di fatto che quando Kruscev mise un po’ di missili a Cuba in cambio del consistente aiuto che i russi avevano preso a dare ai “compagni cubani”, il democratico Kennedy mandò subito la sesta flotta rischiando la terza guerra mondiale nell’ottobre 1962.

Comunque la fine facile della rivolta del condottiero di ventura Prigozhin contro Putin, per me dimostra, ancora una volta, che nonostante gli “oligarchi” e i mafiosi slavi, lo Stato russo non è affatto un regime mafioso, ma un’entità statale multietnica, generalmente imperiale-autoritaria, che dura da circa quattrocento anni, come diceva e sosteneva un famoso romanzo di Pyotr Nikolaevic Krasnov, Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa (1929)[3]. Quantunque apprezzato pure da lettori comunisti, l’autore era da sempre un capo dei bianchi contro i rossi. Come ucraino anticomunista organizzò una divisione cosacca dalla parte dei tedeschi invasori nel 1943, tanto che nel 1945 fu impiccato presso le mura del Cremlino.

Torno all’oggi. Certo anche in Russia la democrazia può e deve filtrare, ma senza spezzare lo Stato, la necessità storica di un grande Stato, che da quelle parti c’è da quasi quattro secoli. Ora il grande Stato “solito” è in sostanza riemerso. E spezzare lo Stato, tanto più senza che vi sia stata né disfatta militare né rivoluzione di massa, è illusorio. Il vecchio grande Stato russo, tramortito dopo il 1991, con Putin è risorto, prima dialogante con l’Occidente e dal 2014 contro. Quello Stato, pur avendo pure taluni tratti di violenza e efferatezza che fanno capolino sciaguratamente, c’è di nuovo: per questo Prigozhin è stato subito fermato e liquidato. Lo Stato russo “vero” non si è lasciato conquistare dall’ennesimo grande bandito di turno, ma “ha tenuto”. Ha potuto farlo proprio in quanto, dopo il semicrollo del 1991 e decennio dopo, è appunto ridiventato il grande Stato autoritario o semiautoritario che è sempre stato.

La partita rimane drammaticamente aperta. Le parti in lotta danno segni di apertura alla pace davvero minimi. Ciò riguarda in primo luogo l’Ucraina, che sembra non voler nulla meno di quello che aveva non solo prima dell’inizio dell’aggressione da parte della Russia, ma addirittura nel 1991. Insomma, vuole tutto il suo territorio, compresa la Crimea, ripresa dalla Russia nel 2014. Potrebbe essere una tattica, per non dare segni di cedimento prima dello scontro decisivo, ma potrebbe pure essere la ripresa del grande sogno di un grande Stato “russo” che era partito da Kiev, da realizzare con i nemici della Russia, cui subentrare nel conteso internazionale dopo averla sconfitta. Per parte sua la Russia non può aver condotto una guerra con decine di migliaia di morti per ritrovarsi al punto di partenza, prima di questa guerra. Si troverà un punto di mediazione?

Probabilmente il conflitto nei prossimi mesi è destinato addirittura ad aggravarsi, prima che come per incanto le parti in lotta decidano di averne abbastanza. Pare che la divisione Wagner si sua insediata, col suo Capo prigioniero (si verum est), in Bielorussia, da dove, da nord, potrebbe minacciare l’Ucraina. Se poi ci riuscisse, con Prigozhin alla testa, costui potrebbe persino salvare la pelle e tornare in campo, perché solo la vittoria può sanare contrasti pregressi del genere, anche se è difficile che il “condottiero” possa riemergere. Sembra più facile che debba attendere la morte. Anche se l’inaspettato, da quelle parti e nei grandi conflitti, non va escluso mai, neppure per l’avventuriero vinto. Comunque pare che i satelliti abbiano individuato i “campeggi” dei “wagneriani” in Bielorussia e che Zelensky abbia ordinato di rafforzare il confine a nord, temendo che l’Ucraina possa essere attaccata “anche” da nord, mentre tenta l’offensiva contro i russi dall’altra parte. Chissà?

Può essere pure che Putin, sapendo che ormai in caso d’insuccesso potrebbe cadere lui, potrà essere più aperto alla pace. Solo che una pace realistica pare che non voglia proporgliela nessuno. Tuttavia ci sono molti sommovimenti sotterranei. La Russia di Putin si è fatta più instabile e meno guerrafondaia. Nel mio ottimismo criminale sarei portato a pensare che questa brutta guerra potrà finire nel 2023, presto o tardi, con un compromesso “storico” tra russi e ucraini che scontenterà entrambi, ma obtorto collo sarà accettato da entrambe le parti in lotta.

  1. Su ciò è da vedere soprattutto: L. Trockij, Storia della rivoluzione russa (1929/1932), SugarCo, Milano, 1964.

    Nel corso della mia vita mi sono occupato molte volte del comunismo da Lenin al crollo dell’URSS, segnatamente in: “Liberazione sociale e liberazione della coscienza nella storia della socialdemocrazia e del comunismo”, in: Coscienza e politica nella storia. Le motivazioni dell’azione collettiva nel pensiero politico contemporaneo. Dal 1800 al 2000, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 155-254; Sentieri di rivoluzione. Politica e psicologia dei movimenti rivoluzionari dal XIX al XXI secolo, Moretti & Vitali, Bergamo, 2010, pp. 117-145; “Marx oltre Marx. Note sul ‘paradiso perduto’ del comunismo”, in: Il Rosso e il Verde. L’idea della liberazione sociale, ecologica e spirituale dal XIX al XXI secolo, Golem Edizioni, 2021, pp. 87-126.

  2. Mondadori, 1976.
  3. Salani, Milano, 1932 ed edizioni successive.

di Franco Livorsi

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*