Nuovo e vecchio autoritarismo

Nei giorni della «vita ai tempi del Corona»(virus) l’opinione pubblica si confronta e si divide sul fatto se i decreti promulgati dal governo Conte-bis per far fronte alla pandemia batteriologica,  possano venire a costituire uno «Stato d’eccezione»  necessariamente sospensivo delle libertà liberali degli individui,  e come  tale un potenziale strumento di svolta autoritaria dello Stato se usato da  malintenzionati.

Ora,  la crisi emergenziale da epidemia virale priva di rimedi, antidoti o vaccini, almeno nel presente e prossimo futuro, è uno dei pochi casi in cui lo Stato  d’eccezione può essere legittimamente promulgato da un regime democratico, questo perché il contagio non conosce il politically correct o le libertà  liberali, e misure contenitive, restrittive e coattive della libertà di movimento personale debbono per forza essere messe in campo per essere efficaci, se necessario anche per mezzo delle forze dell’ordine o dell’esercito, senza giungere ovviamente agli estremi rimedi della carcerazione o dello  «sparare a vista» come siamo abituati a vedere  in  certi films fantasociologici su tali temi.

Dunque in teoria non dovremmo temere l’attuazione di uno «Stato d’eccezione » da parte di un regime saldamente democratico. Ma qui sorge subito una folla di dubbi, formulabili come segue: 1) in Italia ci troviamo veramente in un regime democratico?;  2) veramente il governo in carica ha dimostrato in queste prime tre settimane di esplosione del Covid19 nel nostro Paese di  essere in grado mettere in atto un sistema di contenimento efficace del virus ?;  3) quali potrebbero essere le conseguenze dell’ipotetica attuazione compiuta di un tale sistema?

La risposta al primo quesito la lasceremo per ultima, per due ragioni: 1) perché è al cuore del ragionamento sviluppato in questo scritto; 2) perché rispondere prima ai successivi quesiti aiuterà anche a dipanare la matassa ingarbugliata e contraddittoria del primo.

Come si è comportato il governo italiano nell’affrontare queste prime settimane di emergenza virale? Con dichiarazioni d’intenti e conseguenti azioni tra di loro contraddittorie. Prima ci si è impalcati in una polemica con i governatori delle Regioni Lombardia e Veneto, i quali agli inizi di Febbraio chiedevano al governo di mettere in atto misure di quarantena per i viaggiatori dei voli aerei provenienti dalla Cina che sbarcassero in Italia, indipendentemente dalla loro nazionalità di appartenenza. In un ‘ottica di polemica con  forze politiche di posizione avversa, il governo  ha risposto negativamente  alla richiesta, adducendo il motivo che acconsentirvi avrebbe comportato la violazione della libertà di movimento delle persone e la  loro discriminazione in base all’ area geografica di provenienza; una posizione politically correct che però mal si concilia con «biopolitiche» di contenimento di un ‘epidemia virale.

Poi , accorgendosi che forse si era esagerato nella passività e inazione  di fronte a una emergenza che in estremo oriente, nel distretto cinese di Wuhang era scoppiata già dalla fine di dicembre, il governo Conte ha deciso di chiudere tutti i voli diretti provenienti dalla Cina.  Una misura che però, con tutte le sue buone intenzioni,  allo stesso tempo ha indicato la strada da seguire per chi volesse eludere la sua stringenza, ossia approdare  in Italia   attraverso percorsi intermedi  in  altri Paesi, ed è quello che è puntualmente avvenuto. Successivamente  allo scoppio del contagio nel lodigiano in  Lombardia, e nel padovano   in Veneto, il governo nazionale ha lasciato dapprima autonomia d’azione ai rispettivi governatori delle due regioni, per poi , di fronte al dilagare del contagio, cercare di  assumere la direzione delle operazioni in prima persona con una successione di decreti che avrebbero dovuto costituire aree d’isolamento, le cosiddette zone rosse, che però solo per gradi e progressivamente, davano indicazioni di restrizioni di attività lavorative, di  libertà  di  movimento  e  di raduno in luoghi pubblici.

Comunicazioni  tra di  loro contraddittorie da parti di esponenti del governo e delle istituzioni politiche in genere, di specialisti del settore sanitario ( medici, biologi, virologhi, epidemiologi) che andavano dal «è un normale virus influenzale, a «no,  è una pandemia ad alti effetti letali», dal « non abbiate paura di circolare. comunicare e confondervi con le persone in pubblico », al « no, è opportuno che vi isolate e rinchiudete nelle vostre abitazioni per evitare il contagio», hanno fatto sì che anche il sistema dei media abbia contribuito a creare confusione e comportamenti irrazionali nella massa dei cittadini, in una cittadinanza come quella dell’italiano medio già poco predisposta al senso di responsabilità collettiva e piuttosto incline all’anarchia individualistica.

La conseguenza complessiva è stata che il contagio non è stato circoscritto, nè contenuto, ma semmai si è diffuso fino a trasformarsi in una pandemia. A questo si aggiunge forse quello che è il più grave problema quando ti trovi ad affrontare un ’emergenza sanitaria: l’inadeguatezza e l’insufficienza delle strutture ospedaliere della sanità pubblica. Secondo una stima prudente, che calcola che la spesa sanitaria non debba «fisiologicamente» aumentare ogni anno a causa dell’insorgere di nuove malattie o per adeguare l’innovazione tecnologica di macchinari e strumenti diagnostici, operatori, terapeutici etc., sarebbero stati tagliati 37 miliardi di euro alla sanità  pubblica negli ultimi 10 anni.

Secondo una stima più «ardita» che considera fisiologica l’aumento della spesa sanitaria ogni anno, la stima del taglio  in miliardi ammonterebbe a circa 3 volte tanto. Se poi consideriamo altre cifre – i 358 ospedali chiusi, i 70.000 operatori medici e paramedici perduti per pensionamento o trasmigrazione in strutture sanitarie private e non avvicendati, i 2 posti letto ogni mille abitanti in Italia a fronte dei 6 della Francia e gli 8 della Germania, e sopratutto i soli 5.096 posti di terapia intensiva in tutto il territorio nazionale, un numero  assolutamente insufficiente  che acuisce il dramma di quella quota di casi gravi di infezione da Corona  virus, abbiamo  il quadro emergenziale sanitario complessivo in cui ci troviamo.

Dover sentire o leggere ogni giorno testimonianze di anestesisti o rianimatori dei reparti di terapia intensiva degli ospedali «sotto attacco » da virus della Lombardia che narrano come ogni mattina si trovino costretti  a dover prendere decisioni drammatiche, su chi sottoporre a terapia da  respiratore e defribillatore e chi no, su chi salvare e chi no,  in base a considerazioni sul quadro complessivo clinico del paziente in esame, si ghiaccia  il sangue nelle vene. La sciagurata spending rewiew sulla sanità dell’ultimo decennio, è giunta a infine a chiedere il suo tributo di vite umane ( abbiamo il tasso di mortalità da  corona virus più alto al mondo, il 5,8 ).

Certo l’ avere, gli anni scorsi,  messo a gara al ribasso la produzione di mascherine e respiratori, assegnandola infine a ditte cinesi,   e facendo  di conseguenza chiudere le ditte nazionali, non ha  aiutato in tale contesto. Nel momento di scoppio del contagio virale la Cina, ovviamente,   ha pensato a salvare i propri concittadini, e non a vendere a noi il materiale che ci necessita.

Questo quadro sintetico sullo status quo della sanità pubblica nel nostro paese costituisce già una delle risposte alla domanda se già prima di questa emergenza il nostro fosse o meno un regime democratico. Questo fattore di capacità  «biopolitica» di prevenzione e  cura della salute della propria popolazione non può ovviamente essere eluso dalla considerazione sulla democraticità del nostro Stato. Tra l’altro, i numeri e le carenze del nostro sistema sanitario  erano sicuramente note al ministero della sanità, ma nulla è stato fatto per rimediarvi  nel mese di gennaio, nel  momento in cui ci si doveva attrezzare per fronteggiare la prevedibile estensione del contagio anche alle nostre latitudini. Ricordiamoci che i posti letto in terapia intensiva nei nostri ospedali pubblici  fino agli inizi degli anni 80 erano 4 volte tanto di quelli attuali.

Allo stato dell’arte,  e qui rispondiamo al terzo quesito sulle conseguenze delle misure prese  nell’emergenza  dal nostro governo,   l’Italia al momento si trova costretta a scegliere se salvare la vita dei propri concittadini o salvare il nostro sistema economico già anemico e «malfermo sulle gambe » in seguito al salasso da politiche di austerity da euro e Unione Europea degli ultimi 12 anni. Il blocco pressochè totale a cui ci troveremo costretti da qui ai prossimi mesi delle attività produttive di questo Paese, al fine di contenere il contagio virale,  ci porterà danni economici e sociali al momento difficilmente calcolabili. La speculazione affaristica sui titoli di borsa , da autentici «avvoltoi della finanza » sulle nostre aziende strategiche quotate in borsa , il cui valore è ovviamente crollato in questa contingenza, è una preoccupazione non minore perchè rischia di aprire lo shopping a prezzo di saldo  delle nostre residue medie e grandi imprese ai fondi speculativi esteri.

Misure restrittive –  il proibire la vendita allo scoperto dei nostri titoli di borsa – andavano prese immediatamente dopo i primi giorni di indice sottozero delle nostre aziende  quotate in borsa. Forse si dovrebbe addirittura giungere alla misura draconiana della chiusura provvisoria delle nostra borsa.

Il nostro governo annuncia che per salvare la nostra economia già malata ha già ottenuto il via libera per una spesa iniziale di 25 -30 miliardi di euro dalla UE a sostegno della nostre imprese, lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti, pensionati, sistema dello Stato sociale,  insomma del nostro sistema Paese al momento totalmente bloccato e paralizzato. Diversi economisti hanno già valutato  che una tale manovra finanziaria sarà assolutamente insufficiente, una briciola iniziale rispetto alle necessità, in base a stime di perdite di pil calcolabili negli ordini di centinaia di miliardi di euro.

Puntualmente la Germania ci dà l’esempio e ci indica la strada da seguire, trattandosi di uno Stato che ha sempre fatto i propri interessi, anche all’interno dell’Unione Europea e della zona euro. Una banca pubblica tedesca, sotto l’egida del governo federale,  ha già annunciato che se necessario l’economia e lo Stato tedeschi saranno supportati dalla «stampa di moneta» fino a 550 miliardi di euro, sostanzialmente ad libitum. Essendo la moneta a corso legale in questione sempre e solo l’euro e nessun altra, monopolio della BCE, ciò significa che la banca pubblica tedesca metterà in vendita i Bund tedeschi ( titoli di debito pubblico tedesco) se necessario fino a raggiungere quella  colossale cifra prospettata. Tali  titoli di debito pubblico,  ricordiamolo, la BCE è obbligata per statuto ad acquistarli in cambio di liquidità così come lo è per i titoli detenuti dalle banche private .

Ora se l’Italia volesse seguire questo esempio virtuoso della Germania dovrebbe fare delle residue banche pubbliche rimaste sul nostro territorio un analogo finanziatore della spesa pubblica ( Cassa Depositi e Prestiti, e le banche salvate dal fallimento mediante aiuti di Stato). Ma la Germania non si è limitata a fare questo annuncio, ha altresi’ annunciato, tramite il loro ministro delle finanze,  che ha intenzione di cambiare il suo modello economico, rendendosi conto che la dipendenza dall’estero è troppo ampia e che quindi aziende strategiche, a cominciare da quelle farmaceutiche per estendersi poi ad altri settori, dovranno essere ricostituite in patria o rinazionalizzate. Viene altresì dichiarato che  la domanda interna e l’offerta produttiva per il mercato interno, assolutamente depresse dalla vocazione storica della Germania a un politica economica «mercantilistica» di   creazione di  surplus delle esportazioni sulle importazioni , dovranno essere rilanciate , e che di conseguenza il modello di globalizzazione dell’economia dovrà essere riconsiderato.

E l’Italia? Cosa farà se riuscirà a non uscire con le ossa rotte da questa epidemia sanitaria, e dalla paralisi conseguente del sistema economico del paese ? Riusciremo a seguire le linee guida del progetto enunciato dalla Germania? Riusciremo di conseguenza  a dare dignità e priorità alla salute biologica  dei cittadini? Riusciremo a dare la priorità, la  dignità  e il  diritto   al lavoro alla nostra cittadinanza? Riusciremo a dare la priorità ai diritti sociali della disoccupazione, di una previdenza dignitosa, di un sistema di protezioni sociali, di governo pubblico della rete strategica delle infrastrutture – strade,  autostrade, ferrovie, industrie energetiche, telecomunicazioni, sistema degli istituti finanziari–  di quel sistema  generale a cui lo Stato è costitutivamente ( cioè in base alla carta della nostra costituzione ) chiamato a rispondere? Oppure al contrario scivoleremo ulteriormente sul piano inclinato senza ritorno verso un commissariamento, ora non più  mascherato da vincoli di bilancio o patto di stabilità, un commissariamento diretto da parte degli istituti finanziari della Unione Europea, in  base all’applicazione del  MES?

E’  forse la «grecizzazione» il destino che ci attende?

Finalmente abbiamo gli elementi per  rispondere  qui al primo quesito posto, rivelandone la natura di domanda retorica: sì,  eravamo già in un regime autoritario o antidemocratico, un regime che progressivamente ha smantellato tutti i diritti sociali, dalla salute, al lavoro ,all’efficienza dell’istruzione pubblica, alle protezioni sociali, al governo pubblico  delle infrastrutture, diritti conquistati  nel dopo guerra. Inoltre siamo in  un regime di monopolio del pensiero unico, in cui tutti i media main stream sono di proprietà dei «padroni del vapore» cioè di quel grande capitale finanziario e multinazionale che indirizza, censura  e manipola  l’informazione dell’opinione pubblica, «formattando» in un certo senso le coscienze.

Indubbiamente si tratta, per certi versi , di un autoritarismo di nuovo conio, differente da quello a cui eravamo stati abituati a conoscere nel secolo scorso:  i totalitarismi fascisti e comunisti europei, i regimi monopartitici asiatici, le dittature militari latinoamericane o africane, in cui lo Stato, nelle sue diverse configurazioni era  il centro del potere, venendo a costituire una sorta di «statolatria» .

Si tratta ormai invece  dell’autoritarismo o dittatura dei mercati  economici e dei loro mandanti  ed esecutori . Lo  Stato , e nella fattispecie il nostro Stato, le sue istituzioni , il suo governo ,  svolgono appunto la funzione di esecutori degli ordini che provengono dai mandanti , i poteri finanziari internazionali, a loro volta associati alle classi dirigenti di particolari Stati nazione, in primis la Germania, poteri che hanno acquisito la veste di istituzioni politiche: la Commissione Europea , la BCE,  il Fondo Monetario Internazionale.

E’ dunque un autoritarismo dello Stato per interposta persona , in qualità di intermediario ed esecutore del mandato assegnatogli da quei poteri sovranazionali collegati a particolari potenze nazionali.

Come è noto  è il frutto di quel «modello sperimentale » di «ordoliberismo»  europeo che prevede  che i grandi potentati economici si facciano istituzioni  politiche e  corpus giuridico, che ne vengano perseguite fino in fondo le  logiche. Tali  logiche non sono quelle  della democrazia, del governo del demos, il popolo , ma dell’aristocrazia economico-finanziaria, di quella oligarchia autoritaria che dettando legge sulla politica, sul sistema dei media, in tutti i campi sociali e assurgendo ormai da tempo a modello culturale dominante, si è costituito in una nuova forma di totalitarismo, l’ordoliberismo appunto.

Il tanto paventato «stato d’eccezione»  che l’Italia sta, tra mille tentennamenti, tentando di mettere in piedi, sul fronte  delle misure sanitarie, sul fronte delle misure economiche, sul fronte della richiesta di assunzione di responsabilità da parte della cittadinanza, potrebbe portare a uno sconvolgimento dello status quo, imprevedibile fino a un mese fa.

Gli italiani, purtroppo, come dimostra il passato,  sono in grado di risollevarsi da un dramma solo dopo aver affrontato una condizione di guerra. Ora rischiamo di ritrovarci in una analoga situazione.

La tremenda prova che l’Italia sta affrontando, con un tributo di vittime già altissimo e ancora difficilmente stimabile, è una tragedia che potrebbe portare a un mutamento di paradigma, alla dissoluzione della  morsa autoritaria.

Starà a noi come  Nazione , come popolo, prendere coscienza di ciò e far sì che tale tragedia non sia stata invano.

 

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