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Nel gioco d’azzardo l’emozione non è data dall’esito ma dalla pausa che intercorre tra la scommessa e il risultato. E’il tempo sospeso dell’incognita a originare il piacere: rosso o nero, carta vincente o perdente, o numero che sia, è la sfida la vera tentazione … e così accadde che in un luminoso mattino autunnale non mi fu possibile resistere.
Un’antica villa alla sommità d’un parco affacciato sul golfo; bagliori di luce dall’acqua come saette tra le foglie, e il silenzio intorno, erano lo scenario d’un premio letterario ispirato al mare. Giunta sul luogo ancora deserto, era uno stato emotivo di esaltazione quello che tentavo di placare prima della cerimonia dove una rappresentanza di alti ufficiali di marina dava lustro all’evento.
Seduta in fondo, osservo la sala gremirsi fino a quando, dopo i preliminari di rito, la cerimonia ha inizio e nel ronzio indistinto che m’avvolge sento pronunciare il mio nome. E’ lungo il percorso fino al palco. Schiena eretta, profilo alto, non inciampare ti prego. Un piede dopo l’altro non è poi così difficile.
Scivolano parole d’encomio.” Faranno un casting per sceglierli così belli gli ufficiali di marina?” penso mentre ricevo il mio premio. Flash, strette di mano. Il ritorno è più difficile: i gradini da scendere a mano libera e tutti quegli occhi che prima mi seguivano di spalle.
Ecco la sedia … sono salva … ma la mente, sempre più vaga, smarrisce la circostanza per concentrarsi sul desiderio d’uscire nel parco dove ritrovare l’equilibrio scosso dalle recenti emozioni. Trascorso un tempo sufficiente a non sentirmi in colpa, trovo il momento di involarmi senza far pessima figura, guadagnando le scale in punta di piedi.
Non ricordo d’aver notato, all’arrivo, la passatoia di velluto rosso così scendo in appagante silenzio e con tale leggerezza da non accorgermi dei miei passi. Mi sento padrona del luogo mentre sale in me un delirio d’onnipotenza che tracima quando, svoltando nell’androne, vedo inquadrato un ufficiale di bianco vestito in attesa delle autorità militari. Sono gli istanti che decidono oltre la ragione a guidare atti imprevedibili.
Mentre ricevo l’omaggio d’un saluto impeccabile, scorgo alla mia sinistra il picchetto d’onore e le parole traducono il pensiero prima di dargli il tempo di “pensare”.
“ Mi scusi … non so se riesco ad esprimerle un desiderio che conservo da tutta la vita”.
“Prego signora, vediamo se posso esaudirlo”, mi risponde l’ufficiale.
Per una strana coincidenza proprio quella mattina mi ero trovata a percorrere in solitudine la passeggiata a mare dove gli ambulanti già sedevano accanto alle loro merci contraffatte, con una postura eretta come solo gli Africani riescono a mantenere a lungo e in silenzio, quasi con fierezza.
“Guarda un po’” , avevo pensato, “sembro una regina che passi in rivista le truppe coloniali …”
“Ecco”, continuo con naturalezza, “ho sempre sognato di ricevere gli onori militari come la regina Elisabetta”.
“ Signora… non c’è ancora nessuno”, riprende l’ufficiale dopo essersi guardato attorno. “Si può fare”.
Non so dire se la mia fosse provocazione o bizzarria, fatto sta che trovai un complice inaspettato, forse mosso dalla stessa irresistibile tentazione dell’azzardo.
Dopo i comandi impartiti con tutti i passaggi di sciabola che attesi compresa nella parte, mossi il primo passo e i successivi sul tappeto rosso con studiata lentezza, lo sguardo appena rivolto ai giovani marinai sull’attenti, protagonista dell’ultimo fotogramma d’un film che si sfuma sul cenno di saluto come solo una vera regina sa fare.
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