In questi ultimi tempi si esalta molto l’attuale Papa, Francesco.
In realtà egli è molto attivo e fa innumerevoli dichiarazioni sulla situazione attuale del mondo, dispensando consigli sulle situazioni politiche presenti in tutto il globo, come se tali consigli fossero decisivi per la risoluzione dei relativi problemi.
Così non è: infatti, tali dichiarazioni rispecchiano le considerazioni generali della Chiesa Universale, quella che esiste da 2000 anni e che da 2000 anni si sente in diritto di proclamarsi detentrice di un Potere in collegamento con quello Divino.
Certo, venti secoli di Storia con il supporto della Bibbia e del Vangelo, nonché quello dei Padri della Chiesa, sia quelli della Patristica che quelli della Scolastica, rappresentano un elemento molto forte, indiscusso.
Ma, secondo me, mancano le basi di quel discorso politico, rivoluzionario che annunciava e portava avanti il Cristo, nella Sua vicenda umana.
Certo, Papa Francesco enuncia delle cose giuste, indiscutibili, ma al tempo stesso non dice nulla di ciò che servirebbe a cambiare le cose, a costituire un mondo Nuovo, secondo quanto esposto e richiesto dal Cristo.
Il Papa parla di cambiamenti necessari, ma inseriti in una struttura che sembra quasi eterna, intoccabile, struttura che non è più capace di rispondere ai bisogni dell’oggi.
Io, considerata anche la mia età, rivolgerei la mia attenzione su altri Papi, che io ho conosciuto durante la mia esistenza, e partirei da Paolo VI.
In Montini, uomo e capo della Chiesa, io vedo la sofferenza di qualcuno che si trova schiacciato in un periodo di trapasso, da una Chiesa Preconciliare ad una che entra in modo inequivocabile nel mondo moderno e che si scontra con esso.
Il Papa che vuole a tutti i costi il dialogo con la Chiesa Ortodossa e quelle Riformate è la rappresentazione di una sofferenza interiore, di un essere umano che vuole raggiungere certi risultati che gli sembrano necessari e che al tempo stesso non è pronto ai cambiamenti.
La figura di Papa Montini mi è sempre sembrata quella di una personalità profondamente religiosa, ma incapace di realizzare, dati i tempi, ciò che riteneva necessario, l’Unione dei Credenti.
Un altro Papa che mi è sembrato molto significativo è Ratzinger.
Lo sappiamo tutti, non è stato molto simpatico ai fedeli, specie a quelli Italiani, per un motivo molto preciso: era tedesco, per di più con un concetto di fede molto rigoroso, forse arcaico per coloro che si ritengono più aggiornati.
In realtà, Ratzinger era ed è un teologo, una persona dedicata agli studi, forse con una difficoltà di comunicare agli altri quello che è il suo senso della fede, ma non per questo meno autorevole.
Anzi, a sentire Wojtyla, un elemento molto autorevole, quasi indispensabile nella Chiesa d’oggi.
Anche io lo ritengo così, un uomo forse lontano dalle masse, ma dedito ai suoi studi, che sono chiaramente severi.
Nel mio immaginario, quello che io vedo nei miei ricordi di viaggio è il mio avvicinarmi all’Arcivescovado di Cracovia, a quel bellissimo edificio dove aveva esercitato il suo ministero Papa Wojtyla, di cui ho sempre ammirato l’esperienza umana.
Nato in Polonia in un periodo difficile, dapprima operaio, quindi conoscitore delle fatiche terrene, in seguito impegnato nella lotta contro il nazismo, che occupava il suo paese, poi, dopo la Guerra, tenace assertore della Chiesa contro il comunismo, che voleva laicizzare la società.
La vita di Wojtyla è una lotta continua contro le ideologie che si oppongono alla Chiesa Cattolica, una lotta testarda e convinta, che per me si esemplificò in due episodi della sua vita, che io rammento con grande rispetto: il perdono al suo attentatore Ali Agca, a cui espresse non solo il senso della Misericordia divina, ma un profondo Io liberatore; indimenticabile poi l’anatema scagliato negli anni ’90 contro la Mafia, nel momento della sua massima, insopportabile violenza, un anatema che mi ricordava la forza dei Papi medievali contro un potere temporale che ritenevano necessario essere asservito a quello divino.
Ecco, nella figura e nelle azioni di Papa Wojtyla io vedo non una statica constatazione del peccato in quanto tale, ma una dinamica presa di coscienza, una necessità di un cambiamento radicale, che così spesso mi abbagliò nelle parole e nelle azioni del Cristo.
Giorgio Penzo
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