C’è ancora qualcuno che ritiene che le difficoltà della sinistra siano dovute soprattutto all’interruzione del processo di rottamazione avviato da Renzi e che, perciò, tale processo debba essere celermente portato a compimento. Ma non ci dice cosa resti ancora da rottamare in una sinistra e in un Paese che praticamente hanno rottamato tutto. La sinistra da tempo ha messo da parte il suo bagaglio ideale: da tempo ha sposato l’ideologia neoliberista, distrutto i suoi partiti, avversato e indebolito il sindacato, eliminato le tutele dei lavoratori, precarizzato al massimo il lavoro. Da tempo il parlamento conta quasi niente; da tempo esso è costituito per quasi i due terzi da reclute, da gente senza esperienza e senza competenza; da tempo legifera l’esecutivo e non il legislativo. Con il governo gialloverde abbiamo perfino messo in discussione il valore del sistema democratico rappresentativo, tanto è vero che siamo l’unico Paese occidentale ad avere un ministro della “democrazia diretta”, al quale, da un lato, preme che “la volontà del popolo non venga messa in un cassetto come è successo per alcuni referendum” (“Corsera” del 6/6/18) e, dall’altro, in modo disinvolto ripristina i voucher mettendo in un “cassetto” proprio un referendum popolare che li aveva aboliti.
Cose dell’altro mondo alle quali purtroppo stiamo facendo l’abitudine e che richiederebbero invece una opposizione ferma e ricca di proposte. Ma non sapendo che pesci pigliare, ci si affida invece agli astri o alla cabala. L’ex presidente del Consiglio Renzi, per esempio, predice che presto questo governo cadrà per ragioni giudiziarie. Altri, perché il livello dei suoi componenti è troppo basso. A parte il fatto che chi ha voluto uno come lo statista di Rignano segretario nazionale del partito e presidente del Consiglio non può sentirsi in alcun modo legittimato ad accusare altri di “basso livello”, c’è da dire che si tratta di argomenti assai fragili. La realtà è che Lega e 5Stelle hanno un’omogeneità culturale di fondo che può mettere in condizione il loro governo di durare. Entrambi cavalcano il populismo con prospettive apparentemente distanti ma sostanzialmente convergenti. La Lega cerca la soluzione dell’uomo forte, centralizzando al massimo il momento decisionale, e il M5S vuole lo stesso sbocco puntando ad un regime forte senza parlamento, senza eletti dal popolo con un’agenzia imprenditoriale che controlla tutto attraverso la capacità di manipolazione della rete.
Il M5S è veicolo della malattia mortale della II Repubblica: quella della presenza di partiti a struttura proprietaria. Anche con i 5Stelle l’economia si fa direttamente politica. Il movimento, infatti, dipende da un’impresa privata (la Srl Caselleggio Assocciati) che ha tutto l’interesse aziendale di imporre il vincolo di mandato per comandare sui propri eletti e per destrutturare l’assetto istituzionale e le regole proprie di una democrazia rappresentativa. Il pericolo appare talmente grave e incombente che perfino cinquanta parlamentari pentastellati alcuni mesi addietro hanno fatto circolare un foglio nel quale definivano quella di Casaleggio “un’azienda privata che controlla la Presidenza del Consiglio”. La Lega, a sua volta, non va considerata banalmente espressione di soli interessi locali di folklore territoriale. Sa, invece, cogliere istanze reali, mettere a fuoco problemi sociali (il bisogno diffuso di sicurezza, la questione pensionistica, il malessere di massa). Però, pur intercettando molti voti delle fasce più deboli, è avviluppata nella contraddizione di essere per sua essenza una forza neoliberista, di tutelare i redditi più alti anche se maschera questo suo liberismo con venature comunitariste. La flat-tax può essere considerata l’esempio più eloquente di questa sua natura classista.
La sinistra, anziché far esplodere queste contraddizioni dei 5Stelle e della Lega e condurre una battaglia d’ampio respiro, si balocca invece in un politichese stantio, elucubra sterili tattiche senza possibilità di successo nel tentativo di dividere il governo, di separare due contendenti che, allo stato, sono comunque gli unici poli di un’alternativa dalla quale gli altri sono esclusi. Lo spettacolo che sa offrire è sostanzialmente quello di una divisione (ulteriore) fra chi ritiene di dover cercare un’intesa con i 5Stelle (D’Alema, Bersani) e chi invece – neofita di un improvvisato sovranismo antieuropeo – perfino con Salvini (Fassina, D’Attorre). Insomma: una confusione totale proprio quando, non contando niente, si potrebbe per questo godere del “privilegio” di avere poche idee ma chiare per fare poche cose ma comprensibili, emblematiche, simboliche. Infatti, per una sinistra ridotta a meno dell’osso, non può essere decisivo il fatto che il governo duri poco o molto. In ogni caso, essa è fuori dai giochi della formazione di una maggioranza di governo. I sondaggi dicono che Lega e 5Stelle raggiungono insieme quasi il 65 per cento dei consensi. Se si aggiunge il 4 per cento della Meloni e il 10 per cento di Berlusconi abbiamo uno schieramento anti-sinistra di quasi l’80 per cento. A che serve allora in questa situazione e con queste percentuali una sinistra “di governo”? Perdersi dietro congetture che, in ogni caso, possono essere formulate prescindendo completamente dalla sinistra?
È un momento storico, questo, in cui il “popolo”, l’elettorato stanno dall’altra parte. E per un po’ ci resteranno. Alla sinistra rimane comunque l’essenziale: rendere evidente, che piccola o meno piccola, sui principi non molla, non si arrende; che un Paese civile può continuare a contare su un forza, soggetto, movimento, sempre schierati dalla parte della democrazia, del lavoro, della giustizia sociale. E dalla parte dei giovani. Ai quali bisogna parlare primariamente.
Commenta per primo