Il partito nuovo dalle parole ai fatti

È andata bene. Anzi – viste le premesse – benissimo. Solo un paio di mesi fa, il principale partito d’opposizione aveva l’encefalogramma piatto. E l’alleanza gialloverde appariva incrollabile. Oggi, i litigi nell’esecutivo si moltiplicano ed arroventano. Mentre il Pd consacra un nuovo segretario con toni unitari che mancavano da anni. E con un cambio di immagine che può diventare il principale atout di Zingaretti. Grazie a una leadership inclusiva, il governatore del Lazio ha cercato di schivare il piglio borioso che fece rapidamente di Renzi un leader solitario. E isolato. Ancor più che la scelta di cooptare negli organismi dirigenti l’opposizione, è significativa l’indicazione – e acclamazione – di Gentiloni alla Presidenza. Una figura di indiscusso rilievo internazionale che – nella vecchia logica renziana – avrebbe potuto fare ombra. E che, invece, fa emergere la consapevolezza che il percorso è tutto in salita. Accanto al Segretario, servono personalità di spicco ed esperienza. Tessitori, più che rottamatori. Almeno nell’immediato.

Perché poi – è bene saperlo – il partito va cambiato sul serio. Zingaretti lo ha ripetuto più volte, e non c’è dubbio che ne sia convinto. Però, l’impresa si presenta titanica. Il ritardo accumulato in questi anni sul piano organizzativo è drammatico. La struttura dei circoli è obsoleta, e non basta spalancare l’uscio perché torni a riempirsi di vita. Anzi, c’è il rischio che se dovessero bussare alle porte un po’ dei giovani che hanno riempito le piazze verdi in questi giorni, non si saprebbe cosa fargli fare, come coinvolgerli in modo duraturo. Come provare a trasformarli nell’embrione di una nuova classe dirigente. Su questo nodo, il neo-segretario ha dimostrato – in più passaggi – di aver capito che il cambiamento organizzativo va innestato su un uso molto più intenso della Rete. Quello che nel Pd è sempre mancato, e che è stato, invece, strumentalizzato in chiave verticistica e autoritaria dai Cinquestelle come da Salvini. Non si tratta di un cammino semplice. Oltre a una infrastruttura che coniughi – e moltiplichi – partecipazione reale e digitale, la vera risorsa strategica che oggi manca è culturale.

Tutt’al più, i politici nostrani vedono nel Web un territorio di conquista, di popolarità o di manipolazione. Mentre è ormai il nuovo tessuto di socializzazione e creazione di valori, identità, motivazioni. Il richiamo di Zingaretti alla centralità della scuola e dell’istruzione nel programma del suo Pd può essere l’aggancio vincente per una nuova cultura della Rete. L’unico antidoto al virus delle fake news restano l’intelligenza e lo studio, oggi infinitamente più accessibili grazie ai costi irrisori e alla velocità vertiginosa delle connessioni. Sulle grandi piattaforme che distribuiscono gratuitamente corsi universitari d’eccellenza ci sono oggi oltre cento milioni di learner, e con l’arrivo della tecnologia 5G potremo disporre di un Ateneo in tempo reale in ogni casa. Il vero Eldorado del Web restano le opportunità smisurate di conoscenza.

Da questa partita la politica – non solo italiana – resta assente. La nuova leadership del Pd sarà all’altezza di questa sfida? E come concilierà questo orizzonte, che si nutre di visione globale e di generazione Z, con l’altra rete, quella grigia del controllo locale delle risorse che resta in mano ai micronotabili e ai signori dei pacchetti di tessere? Zingaretti – nei passaggi più appassionati e applauditi del suo intervento – ha dimostrato di aver capito che il principale vantaggio del Pd, rispetto ai suoi avversari, è nelle leve culturali che detiene. Ma, in questi anni, sono state percepite – e usate – come una rendita di posizione, il privilegio di una elite. E si sono trasformate in chiusura. Oggi più che mai, la cultura è sinonimo di innovazione. Non servirà a molto aprire i circoli, se non si apre la mente.

(“Il Mattino”, 18 marzo 2019).

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