Nicola Zingaretti eletto Segretario alle Primarie del PD dal 70% dei votanti
Gli uccelli del malaugurio, che tanto si erano infervorati alla vigilia del voto con previsioni catastrofiche sul PD e sulla sinistra, sono andati delusi.
1 milione e 800 mila, tra iscritti e simpatizzanti del PD, domenica 3 marzo, si sono recati presso i vari gazebo per scegliere il nuovo Segretario Nazionale del Partito. Hanno scelto Nicola Zingaretti, attuale governatore della Regione Lazio e in precedenza già Presidente della Provincia di Roma. Dirigente di provata esperienza sia politica che amministrativa è l’uomo chiamato a risollevare le sorti del Partito e di tutto il centro sinistra dopo la sconfitta elettorale subita alle politiche del 4 marzo del 2018. Il suo primo impegno è quello di passare dall’io al noi. Di non essere il capo, ma un leader alla guida di un complesso ed articolato partito e schieramento.
Le responsabilità di quella sconfitta ricadono in larga misura su Matteo Renzi e sul gruppo dirigente che lo stesso ha modellato a propria immagine. Dirigenti in larga misura scelti sulla base dell’età e della fedeltà al capo e non per esperienza e competenza. Collocati a posti di responsabilità politica e governativa, dove, sovente, in presenza di critiche e contrasti, anziché scegliere le strada del dialogo e del confronto, hanno sfoderato arroganza ed insulti dalla “rottamazione all’asfaltatura”. In pochi anni hanno distrutto un ricco patrimonio di identità culturali, di convergenze politiche e di campo, di contatti politici e personali. La rottura ha riguardato i rapporti con i sindacati, le varie organizzazioni di categoria dagli artigiani ai commercianti, dal mondo cooperativo a quello del lavoro, della scuola e parte degli intellettuali.
Il buon Santo, Apostolo ed Evangelista, non c’è l’abbia con noi, ma il Partito e il Paese vanno liberati dai tanti “Mattei”, certamente usurpatori del nome.
Il lavoro del nuovo Segretario non sarà facile. L’emigrazione ha aumentato le paure, è aumentato il rancore sociale e con esso l’aggressività e la maleducazione elevata a linguaggio istituzionale.
Il Centrosinistra però deve e può far leva sui valori ancorati alla nostra storia: dall’Antifascismo, alla Resistenza, alla Costituzione, alla nascita della Repubblica, al diffondersi della democrazia e poi alla ricostruzione, l’affermarsi di un benessere diffuso, la grande stagione delle riforme da quelle economiche a quelle sociali come il diritto di famiglia che ha posto su un piano di parità uomini e donne, e poi il divorzio, l’aborto, i diritti civili, la lotta al terrorismo, l’apertura all’Europa e al mondo. La vita è migliorata, si viaggia molto di più, si mangia e si beve meglio, si vive più a lungo. Oggi dobbiamo scontraci contro le discriminazioni razziali e religiose che mirano a far retrocedere di decenni le lancette della storia.
La crisi economica ha bloccato in parte l’ascensione sociale. Bisogna allargare la base produttiva. Migliorare la formazione scolastica e culturale. Investire nella crescita e nello sviluppo.
Da parte nostra dobbiamo cambiare registro, abbandonare le recriminazioni e le polemiche interne, acquisire un rapporto di rispetto e di maggiore solidarietà e stima reciproca.
Aprirci al dialogo e al confronto con la società sulle cose concrete immediate e di prospettiva; nella convinzione che nel medio e lungo periodo la scelta delle argomentazioni ed il buon senso avranno la meglio contro l’arroganza, l’improvvisazione e la maleducazione usate come clave dai vari componenti del governo gialloverde.
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