Le Repubbliche che si susseguono le stiamo contando, ma è necessario capirle. Anche questa Terza, che sta nascendo, come la Seconda, è il prodotto di una profonda crisi di sistema, e quindi gravida di problemi complessi e confusi. Uno di questi ora è sicuramente le formazioni del governo in tempi non biblici. Se, come lascerebbe credere l’accordo per le presidenze delle Camere tra Lega e Movimento 5 Stelle, si andasse verso un governo fra queste due formazioni, tale governo non potrebbe che essere di brevissima durata pena il suicidio di chi lo mette in piedi. Un governo consociativo fra forze incompatibili e da programmi opposti è difficile da concepire. Non è possibile, infatti, combinare la promessa dell’uno di “meno tasse”- e dunque di “meno Stato” – con le promesse dell’altro del “reddito garantito”- e dunque di “più Stato”.
La situazione attuale appare ulteriormente complicata dalla posizione aventiniana del PD. Il voto del 5 marzo è stato un voto di svolta alla quale non ci si può sottrarre. Eppure il PD lo sta facendo. Si rifiuta di intercettare l’enorme richiesta di cambiamento che è venuta fuori. Questo partito sembra deciso a fare il grillino, confinandosi nell’opposizione preconcetta in un sistema parlamentare ora proporzionale, e a scimmiottare il comportamento del 5 Stelle della passata legislatura senza averne né le qualità né l’organizzazione politiche. Per cui anche i Dem, se persistessero in questa posizione di disimpegno, sarebbero probabilmente destinati a perdersi completamente per autoconsunzione privi come sono di potere e di ogni tipo di combustibile politico, ideale e organizzativo. Il sistema pertanto appare essere entrato in uno stallo estremamente rischioso per la democrazia.
In questo contesto la sinistra- quella impropriamente definita “radicale”- è come se non esistesse. In quasi un mese dalle elezioni non ha detto una parola. I tempi della politica sono ad essa completamente estranei. Nel Paese e nelle istituzioni è del tutto assente. Si sono registrati soltanto i demenziali festeggiamenti , per l’1 per cento ottenuto, della lista “Potere al Popolo”. Mai nella storia del Paese dal dopoguerra in poi la sinistra è stata tanto debole e inutile. Naturalmente tutto questo non si è verificato per caso. La sua sconfitta, culturale prima che politica, viene da lontano. La resa alla cultura di destra è stata clamorosa. Si potrebbe addirittura dire che in tutte le fasi di svolta la sinistra ha iniziato un’opera di demolizione di alcuni capisaldi della sua tradizione poi portata a compimento dalla destra. La riduzione della democrazia a mera procedura, a sola tecnica istituzionale, dei partiti a semplici macchine elettorali e per l’indicazione del leader, della politica a partecipazione virtuale senza appartenenza sono cose di cui porta la primogenitura. A partire dal nuovismo di Occhetto si è poi andati avanti con la politica liquida di Veltroni, con il leaderismo populista di Vendola, per arrivare infine al governo delle slide e del tweet di Renzi. La sinistra è stata prima in tutto: nel predicare l’inutilità dei partiti; nel praticare il leaderismo spinto; nel realizzare la riforma federalista della Costituzione; nel portare avanti la privatizzazione di molti beni pubblici. Dagli anni Novanta subisce, con scarsa capacità di resistenza, l’assalto di un pensiero neoliberista semplificato. In nessun rovesciamento di paradigma culturale è arrivata seconda. La destra spesso si è limitata a raccogliere i frutti dell’opera cominciata proprio dalla sinistra. Come scrive Michele Prospero “ la cultura istituzionale della Destra non inventa nulla, recepisce soltanto tutto quello di destrutturante che proprio la sinistra ha cosparso”. Renzi, buon ultimo, appare solo l’esecutore testamentario di tutto questo, il liquidatore di una storica forza politica ormai senza identità né organizzazione.
Anche la cosiddetta sinistra radicale o antagonista non è stata immune da questa contaminazione. Da tempo anch’essa è fatta di solo ceto politico. Anch’essa da tempo si è trasformata in sinistra degli eletti senza radicamento territoriale. Anzi, per qualche decennio, come ho già sostenuto in altre occasioni, ha vissuto “lucrando sulla presenza di un partito della sinistra moderata sufficientemente forte che comunque garantiva ad essa accesso a quote di potere, di cui si è sempre accontentata, sia a livello centrale che periferico, senza preoccuparsi di mettere a punto un suo progetto e una sua organizzazione autonomi”. Perciò, è un paradosso soltanto fino ad un certo punto che la sinistra il 4 marzo sia stata punita dall’elettore perché considerata- come dice Luigi Pandolfi sul “Manifesto” di qualche giorno addietro- la causa della sua “rovina” e ritenuta sinonimo “di contratti flessibili, di licenziamenti facili, di lavoro a termine, di pensione a settant’ anni, di ticket sanitari, di aiuti alla scuola privata, di privatizzazioni”.
In una Italia disarticolata come l’attuale, dove c’è molto poco a cui attingere per dare forza alla vita pubblica, cosa può fare una sinistra debolissima per se stessa e per il Paese? Come si disse già dieci anni fa, dopo un’altra sua storica sconfitta, essa andrebbe riprogettata. Solo che ora lo si dovrebbe fare in condizioni assai più difficili essendosi, tra l’altro, del tutto vanificato il ruolo civile e politico del sindacato (guardiano ormai solo della totale corporativizzazione degli interessi) ed essendo sparite le regioni rosse con il loro bagaglio storico di civismo e capacità organizzativa. Servirebbe, forse, ritornare ai fondamentali di una politica di sinistra, una rivisitazione storico-culturale della tradizione socialista per recuperare il nucleo vitale di questa tradizione e per poter effettuare una lettura autonoma della modernità e dei suoi cambiamenti.
Ma sul successo dell’operazione non ci sono garanzie. Sempre più frequentemente negli ultimi tempi, nella mente di uno che ha la mia età, torna un pensiero di Tocqueville : “Ignoro quando finirà questo lungo viaggio; sono stanco di scambiare ogni volta nebbie fallaci con la spiaggia, e spesso mi domando se la terraferma che noi cerchiamo da tanto tempo esiste davvero, o se invece il nostro destino non sia quello di battere eternamente il mare”.
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