Patrizia Nosengo ha scritto poche note sul mio articolo relativo alla questione ‘Liberalismo e democrazia’. Prima di tutto la ringrazio per l’attenzione, e debbo ammettere che il mio articolo conteneva degli elementi provocatori, al fine di suscitare una discussione. Però, per onestà debbo oltremodo ammettere che ha volte con le provocazioni e con la fretta, si esagera. Ha ragione Patrizia quando mi solleva il problema delle tesi contenute negli articoli precedenti di Franco Livorsi; ho effettivamente brutalizzato le sue tesi, e mi scuso pubblicamente con lui, e non sono stato chiaro in alcuni passaggi. L’ espressione sul liberalismo come regno della proprietà privata è una mia locuzione solita con cui definisco la ideologia borghese, e la definizione, dunque, non è nell’articolo di Franco, che sviluppava un altro ragionamento. La rettifica è doverosa. Semmai, nell’articolo di Franco vi erano espresse prospettive altre, riguardanti anche il governo mondiale e la pace perpetua di Kant. Ma la questione è più generale, e questa doverosa rettifica mi dà occasione di chiarire meglio la mia insoddisfazione e il mio rovello su un qualcosa che non trovo nel dibattito pubblico sui grandi giornali riguardo la crisi della democrazia e debbo dire che ciò è mancante anche nella elaborazione della nostra rivista, e questo mi ha spinto a cercare di suscitare un dibattito e una ricerca. In sostanza, ritengo sbagliato questo grande parlare di populismi, che confonde con un termine cose e movimenti anche molto diversi, e sopratutto la confusione che ne deriva non ci fa rendere conto di chi sono i nostri nemici e cosa vogliono e di che forza dispongano. Inoltre, la difesa della democrazia liberale, da parte del dibattito generale, mi appare sempre più statica e dogmatica, fino al punto di impedire di vedere quanto sia profonda la crisi di questa. Certamente la mia colpa è non aver chiarito affatto da dove nasceva la ragione ultima del mio intervento. Non si tratta, dunque, di una contrapposizione fra riformisti e rivoluzionari, visto che finché non c’è rivoluzione siamo tutti riformisti; non si tratta di una querelle sulla prospettiva liberale o sul suo superamento, tema che comunque è interessante e avrebbe un senso discuterne, ma semmai di cosa stia accadendo alla democrazia e quale crisi la attraversi.
Questo mi pare il punto: sono convinto che vi sia un revanscismo religioso che può essere compreso nella sua gravità solo se poniamo il fatto che elementi di irrazionalità influenzino la politica in modo essenziale, e dunque, la categoria di populismo non spiega nulla; la risposta liberale ha il suo limite grave nel non andare al di là di una tecnica della economia liberale e della tecnica istituzionale restando incapace di incidere nella crisi di legittimità dello stato. Qui mi riallaccio alla recensione che feci di un libro di Agamben pochi mesi fa. I miei timori sono infondati? Il mio rovello è indice solo di confusione? Può darsi, mi piacerebbe sapere che cosa ne pensa Patrizia e gli altri editorialisti della rivista. Forse il dibattito su ciò non è inutile, ovviamente sono disposto a ritornare sul tema per chiarire meglio ciò che vado scrivendo.
Sugli altri punti vado brevemente:
- Su Lenin e sul rapporto comunismo – liberalismo sono d’accordo, e penso che tale tema irrisolto sia stato punto di debolezza del comunismo. Ma qui si aprirebbero altri temi comunque interessantissimi.
- Su Hobbes e Locke hai certamente più strumenti del sottoscritto, e debbo dire che il mio articolo si rifà alle lezioni di Carlo Galli sulla Teologia Politica. In tali lezioni Galli parla di Hobbes come fondatore della dottrina razionale dello stato e non del liberalismo, e probabilmente è errore mio aver giustapposto un termine all’altro. In più, è vero che Hobbes fa un discorso religioso, infatti Galli sostiene che la sua è una Teologia Politica per ‘sottrazione’. Però, se non sbaglio, la concezione della politica di chi si occupa di tale tema è molto contestata in ambito accademico. Su questo non so che ne pensi Patrizia.
- Su liberalismo e democrazia non sono molto convinto di ciò che sostiene Patrizia, e resto inquieto quando un Monti dichiara, dopo la Brexit, che forse il suffragio universale andrebbe limitato perché il popolo non sa quello che fa. Insomma, io vedo nei tentativi degli ultimi quaranta anni, in molti paesi, di limitare i poteri parlamentari e di modifica delle costituzioni, perché ‘troppo comuniste’, una distinzione reale fra democrazia e liberalismo. Tale distinzione avrà pure una radice teorica? Se sbaglio vorrei capire meglio dove. Ovviamente, in tale discussione, bisogna chiarire il significato dei termini che si utilizzano. Per me un Monti è certamente un liberale, per altri può essere un conservatore. E’ necessario, credo, per non far nascere equivoci terminologici che possono determinare una polemica che nei fatti non ha senso di esistere, chiarire quali sono i confini di ciò che nominiamo liberalismo. Su ciò può esserci fraintendimento fra noi. Qui forse si apre un altro fronte di discussione nella nostra rivista che ritengo oltremodo utile; mi riferisco alla esigenza di circoscrivere e determinare i compiti di una politica progressista rispetto alle tematiche del liberalismo e alla esigenza di intervenire sul tema del capitalismo e del lavoro. Quali, dunque, la contrapposizione del progressismo con il mondo dei valori del conservatorismo? Pongo, come vedi cara Patrizia, più domande che risposte, ma la ricerca è una esigenza indispensabile che ha in sé un fascino irresistibile.
Alessandria 29-08-2019 Filippo Orlando
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