Ora che son volati gli stracci tra l’uomo più potente e quello più ricco del pianeta, tutti si precipitano a dire che se lo aspettavano. Che si tratta dell’ennesima dimostrazione della volubilità del presidente americano, vittima delle sue stesse esagerate passioni. Amputarsi con una sceneggiata quello che fino a poco prima aveva presentato come il proprio braccio destro ha suonato un campanello d’allarme nella cosiddetta tecnodestra. Gettando un’ombra sul ruolo svolto dal capo del Doge nella sua missione di smantellare – nientedimeno che – la macchina federale. In realtà, più semplicemente – e cinicamente – Musk si stava rivelando dannoso a uno dei principali obiettivi della blitz-krieg presidenziale, e Trump l’ha liquidato.
Basta rileggersi il Project 2025, la bibbia della rivoluzione repubblicana uscita un anno e mezzo prima del voto, con il titolo di Conservative Promise. I quattro pilastri del manifesto riproducono le linee guida della stagione reaganiana: restaurare il peso centrale della famiglia, smantellare lo stato amministrativo, difendere la sovranità nazionale, proteggere i diritti individuali. E un ruolo di spicco spetta proprio a quell’attacco termonucleare alla burocrazia federale di cui il team Doge, sotto la guida di Musk, ha riempito le cronache dei primi cento giorni. Ma, insieme al successo mediatico presso la base populista e antistatalista, quell’attacco ha anche accumulato una caterva di fallimenti.
Dagli stop giudiziari ai licenziamenti a tappeto in violazione della costituzione, alle reazioni rabbiose delle centinaia di migliaia di dipendenti ritrovatisi disoccupati; dalla notizia clamorosa che molti sono stati precipitosamente richiamati per i ruoli insostituibili che ricoprivano, ai conti finanziari del risparmio di pubblico danaro risultati enormemente inferiori alle aspettative. In breve, un’operazione iniziata a sirene spiegate si era rapidamente impantanata. Con Elon Musk che ben si presta a diventarne il capro espiatorio. Era stata del magnate Hi-tech l’idea di poter ristrutturare la mastodontica burocrazia federale con gli stessi metodi draconiani impiegati per risanare Twitter, comunicando la cessazione dal lavoro con un messaggio sul cellulare. Inimicandosi così, in pochi giorni, tutti i ministri del governo, che vedevano messi a soqquadro a giorni alterni gli uffici alle loro dipendenze.
Sul piano della comunicazione – che per Trump è ciò che conta di più – lo spot di Musk per un po’ di tempo aveva funzionato alla grande. Ma aveva rapidamente esaurito la propria forza propulsiva, e attrattiva. Meglio liberarsene in fretta, e concentrarsi sugli altri assi portanti del proprio progetto politico. In un articolo su Foreign Policy dal titolo autoesplicativo, In realtà Trump ha una visione coerente, Thomas Carothers dà risalto alla restaurazione conservatrice della società che investe vari livelli, dai valori tradizionali dalla law and order a un ruolo maggiore per la religione nelle vita pubblica, dall’azzeramento istituzionale di ogni presenza della cultura woke alla campagna antielitista contro i grandi atenei e la loro apertura internazionale.
Non meno incisivo è l’altro asse dell’intervento sull’economia, seguendo la ricetta dell’ortodossia repubblicana: meno tasse, meno regolazione e maggiore produzione di energia facendo nuovamente ricorso ai fossili. Ma con l’accelerazione dei tassi che apre a nuovi scenari, come il rilancio della capacità manufatturiera del paese. Infine, queste linee di azione sfruttano il moltiplicatore della novità più importante, la spinta verso un nuovo sistema politico «in cui l’autorità esecutiva è controllata da un presidente che regna supremo su tutte le altre parti del ramo esecutivo, domina pienamente le altre parti del governo, ed è in grado di sopprimere o almeno ampiamente limitare le critiche e le sfide interne».
Questa leva istituzionale del trumpismo è quella che ha raccolto le critiche più aspre, e le preoccupazioni che preluda a una svolta autoritaria della più antica democrazia moderna. Nondimeno, è anche quella che è riuscita a dare – grazie alla rapidità di attuazione dei diversi interventi – la coesione che serve a cementare il consenso della base populista. Per contrastarla, non bastano le pur legittime condanne verbali. Come Carothers conclude, se l’opposizione vuole avere successo «deve riuscire a spiegare agli americani l’ampio disegno che Trump sta perseguendo, e articolare una visione contrapposta di eguale impatto e ambizione». Altrimenti, Trump andrà dritto per la sua strada.
Mauro Calise
(“Il Mattino”, 9 giugno 2025)
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