(*) Aydin
Come ben sanno i nostri lettori non siamo soliti indulgere alla nostalgia, ad abbandonarci a lirici ricordi, spesso resi mendaci dall’inganno della memoria, portata a conservare traccia del positivo, cancellando ciò che è spiacevole. L’unica cosa che rimpiangiamo dell’Alessandria di un tempo è il fermento culturale, il rovello intellettivo e la sfrontata libertà di parola che la caratterizzò negli anni della nostra giovinezza. Erano tempi in cui poteva capitare di dire a una ragazza “ci vediamo al Cineclub” e magari sentirsi rispondere “ma io vado al Cineforum”. E nasceva subito una serratissima e accorata discussione su laicismo e cattolicesimo progressista. Cosa oggi impensabile in dilaganti “tempi di discoteca” in cui le comunicazioni tra i giovani, nel rumore assordante della musica rock, paiono per lo più avvenire a livello visivo, con effimeri oggetti imposti dalla mode, a svolgere una determinante funzione attrattiva, non molto dissimile dalle livree di piume colorate e pietruzze luccicanti portate sul capo dai popoli primitivi. Allora non c’era evento che non fosse sviscerato in affollati dibattiti, in circoli culturali, come il De Sanctis, o alla Casa della Cultura e anche in parrocchie frequentate da giovani preti d’avanguardia. E gli scontri verbali a volte continuavano nei bar cittadini o nei giardini pubblici facendo mattina. Al Cristo c’era un bar,”da Pierino”, ai cui tavolini in molti si sono accostati per la prima volta alla letteratura, alla storia, alla politica, svolgendo una stimolante funzione di liberatorio e imprevedibile cenacolo ideologico. Tra i suoi frequentatori di allora si annoverano oggi personaggi di spicco dell’Università, del giornalismo e della politica. Fu anche un’epoca di grandi maestri che seppero passare il loro “testimone”culturale incidendo su generazioni di giovani. Ne ricordiamo alcuni come Delmo Maestri, Adelio Ferrero, Maurilio Guasco, Enrico Foà, Giorgio Canestri. Erano maestri tutt’altro che benevoli, facili all’ironia spietata, alla battuta feroce che non distingueva l’amico dal nemico, in un continuo esame che stimolava le menti più brillanti. Perché oggi non è più così? Perché tutto questo fervore si è spento? Indubbiamente hanno contribuito fattori a carattere generale, come la crisi delle ideologie e l’incrinarsi delle certezze e delle speranze. E’ pure enormemente mutata la cultura del Paese per l’importazione ,e la voluta diffusione in Italia, di quanto di peggiore e plebeo esiste nella grande cultura Nord Americana, dando ai giovani modelli di vita e di comportamento propri del sottoproletariato di colore, che un appartenente alla classe dirigente statunitense mai si sognerebbe di accettare o di dare come esempio ai propri figli. Fenomeno avvenuto in modo assai minore in Francia o in Germania, paesi che hanno sempre mantenuto un’identità nazionale e riferimenti culturali prettamente europei. Ma a questi vanno aggiunti una serie di fattori a carattere locale, come la progressiva emarginazione degli intellettuali da parte dei partiti politici e la loro sostituzione nei gangli vitali della cultura alessandrina con burocrati ubbidienti, talvolta anche senza cultura e prestigio. Altri intellettuali sono stati asserviti, hanno chinato la testa, e il loro agire complice è stato ricompensato con incarichi e privilegi generalmente miserabili. La cultura non può vivere senza libertà e la richiesta di ubbidienza è il peggiore e più subdolo veleno che le si possa propinare. A questo punto occorre aprire una piccola parentesi su che cos’ è la libertà per un intellettuale. Un intellettuale non gode mai di una libertà assoluta, ma relativa. Per svolgere la sua funzione ha bisogno di strumenti per comunicare, esattamente come un attore ha bisogno del palcoscenico. Questi strumenti di comunicazione non sono mai di sua proprietà, ma appartengono ad altri. Per dirla con un linguaggio rinascimentale sono di proprietà del “principe”. Nel nostro caso i politici che, ad Alessandria, dominano e controllano ogni cosa non esistendo nelle nostre terre il contraltare di principi alternativi come industrie, banche, ecc. con la voglia o la possibilità di finanziare attività culturali. Tanto più il principe è “liberale”tanto maggiore è il campo d’azione dell’intellettuale. E c’è di più. Il principe, per liberale che esso sia, tende inevitabilmente ad arruolare intellettuali che gli siano organici, che condividano un’uguale visione del mondo. E’ sempre stato così nei secoli. Quando il principe è delirante, ottuso o analfabeta, assolda mostri, mentre viene meno la collimanza tra lui e gli intellettuali che sono costretti al silenzio o a emigrare altrove, come solitamente avviene nei paesi totalitari e come capitò in Italia e in Germania sotto il fascismo. Vorremmo invitare i partiti politici alessandrini, nessuno escluso, a meditare un poco su quanto detto.
Il Piccolo 14/12/1991
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(*) Aydin, il “luminoso” è sempre con noi. Il contributo del nostro caro Guido Manzone continua ad essere di qualità
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