Non poter sciare pare essere, per alcuni mass media, la principale conseguenza delle mancate precipitazioni invernali. In realtà è l’ultima, e rivela un tipo di cultura che dimentica l’uomo e i suoi inscindibili legami con la natura. Le conseguenze di una perdurante siccità possono essere assai gravi per province prevalentemente agricole come la nostra o il Vercellese, in cui l’abbondanza d’acqua è la principale ricchezza, permettendo colture ad alta resa come il granoturco irriguo o il riso.
Nel dire questo non vogliamo fare del catastrofismo. Sono ancora possibili abbondanti precipitazioni primaverili in grado di compensare le carenze invernali, com’è avvenuto molte volte negli anni passati. Non è nemmeno la prima volta che una siccità dura due anni. Avvenne ad esempio nel 1894 in cui caddero sul bacino del Tanaro solo 467 millimetri di pioggia (contro una media di 790). All’incirca quanto è piovuto l’anno scorso. Ed il fatto accadde dopo un precedente anno ugualmente scarso di pioggia, con soli 655 millimetri. Ma le precipitazioni non sono equamente distribuite in tutta la provincia. Ad Alessandria le piogge sono inferiori rispetto a Novi, con medie di 668 millimetri contro 935. Nell’alto bacino del Tanaro e dei suoi affluenti originati dall’Appennino si superano i 1050 millimetri con punte fino ad oltre 1500 millimetri. Il fatto è molto importante per la nostra economia poiché le acque dei fiumi compensano la nostra scarsa piovosità naturale, sia permettendo prelievi diretti, sia alimentando le falde di profondità.
Le conseguenze delle mancate precipitazioni sono oggi assai diverse dal passato. Un tempo dopo un anno di siccità era la fame, e ne bastavano due o tre di seguito per ridurre a un punto tale l’alimentazione delle classi povere d far insorgere epidemie di massa, per la minor resistenza a virus e batteri. E i morti a volte erano migliaia. Così, in modo indubbiamente crudele ma efficace, la natura ristabiliva l’equilibrio tra produzione alimentare e popolazione. E’ esattamente ciò che ancora avviene nelle zone sottosviluppate del pianeta. Su questo dovrebbe meditare chi sogna il ritorno al passato. Fu solo l’uomo con la sua capacità di trasferire l’acqua su lunghe distanze che mise fine alle più nefande conseguenze dovute all’imprevedibile variare delle piogge.
Nella nostra provincia nel secolo scorso si scavarono il canale Carlo Alberto e il canale Cavour, mentre si costruirono decine di piccole dighe per prese irrigue sul Tanaro, sul Bormida, sull’Orba, sull’ Erro e su molti altri corsi d’acqua minori.
In questi ultimi cinquant’anni si aggiunsero molte migliaia di pozzi, sollevando le acque di profondità con motori della potenza complessiva di molte decine di migliaia di cavalli. Nel contempo gli acquedotti raggiunsero anche le più sperdute vallate.
Questa nostra abbondanza d’acqua, da Paradiso terrestre, ha finito per farla considerare un bene illimitato di cui era possibile ogni spreco. In questi ultimi anni ci si è pure dimenticati che a volte la natura ci mette alla prova per ricordarci la primordiale realtà del mondo.
Se anche quest’anno sarà avaro di pioggia verranno al pettine tutti i nodi della pessima gestione delle nostre acque. Pagheremo per avere permesso che il secondo fiume della nostra provincia, e con esso il canale Carlo Alberto, si trasformasse in uno scarico industriale a cielo aperto. Pagheremo per i pozzi scavati senza alcun criterio idrico o approfonditi illegalmente. Pagheremo per i depuratori delle acque fognarie inefficienti, costruiti e mai entrati in funzione o inaugurati e demoliti poco tempo dopo. Pagheremo per i rifiuti industriali seppelliti sul greto dei corsi d’acqua. Pagheremo per il disboscamento delle nostre colline e dei nostri monti non più in grado di trattenere le piogge, poche o tante che siano. Pagheremo per i controlli non eseguiti da chi avrebbe dovuto farli. Pagheremo per non avere ancora capito che in un mondo ad elevata tecnologia gli equilibri non sono più mantenuti dalla natura, ma unicamente dall’uomo, dalla sua cultura, dalla sua intelligenza.
GUIDO MANZONE (Aydin, il “luminoso”)
LA STAMPA 4 FEBBRAIO 1990
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