La rivista Next , oltre all’inserto economico del “Corriere” e al “Sole 24 Ore” ci segnalano movimenti nell’alleanza di Governo di transizione (non lo chiamero’ mai “giallo-rosso” termine improprio e fuorviante) tutti da interpretare. Importanti perché si ha la conferma di un trend di riprocessamento dell’azione governativa nel segno dell’efficacia, del basso profilo e dell’attenzione ai movimenti internazionali più rilevanti. Se trattassimo di “sardine”, è come se, dopo essersi allontanate a distanza di sicurezza dal “bad-self-made-man” Salvini, si fosse passati ad una fase di studio. Il tempo di guardarsi intorno (e un pochettino anche all’interno…) per poi decidere il percorso con maggiori possibilità di riuscita. Quello che, innanzitutto, dovrebbe portare la compagine giuseppecontesca al traguardo del 2023, quindi a fine Legislatura. Adeguandosi il più possibile alla koine’ proveniente dalla faccia buona di Bruxelles, quella impersonata da David Sassoli e dalla Von Der Leyen. Un procedere da formichine che tentano, pur nella pochezza di un formicaio pieno di toppe e invasori indesiderati, di avvicinarsi alla grande rete delle formiche giganti europee, quelle che contano. Contribuendo alla costruzione di vie, cunicoli protetti, aree di nuove espansioni, occasioni di rifornimento, utili per tutti. Uscendo dalla micro-metafora vediamo cosa sta succedendo. Notizia della settimana, anche se un po’ oscurata dai vari focolai COVID19 è l’entrata a Palazzo Chigi degli economisti Mariana Mazzucato e Gunter Pauli per lavorare – guarda caso – alle misure di contrasto degli effetti economici del “coronavirus”. E’ stato infatti il premier Conte in prima persona a nominare i due economisti come suoi consiglieri proprio per redigere nel modo migliore i decreti anti-coronavirus. Ma chi sono i due “fortunati”?.
Mazzucato, romana, ma cresciuta professionalmente negli Usa è docente di Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’università di Londra. Pauli è un economista di ordine belga, tra i primi promotori dell’ “economia blu”, che fa dello sviluppo sostenibile il suo perno. Mazzucato è anche la fondatrice-direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose (IIPP), ma ha insegnato anche alla New York University e alla Royal University of Sussex. Interessante uno sguardo ai titoli (tutto un programma) dei suoi ultimi libri: Lo Stato Innovatore, pubblicato nel 2014 con Laterza, Ripensare il Capitalismo, scritto con Michael Jacobs e Il valore di tutto. Chi lo produce e chi lo sottrae nell’economia globale, uscito nel 2018. Altra nota rilevantissima che ci fa capire come le “sardine” di cui sopra si stiano riorientando, è la seguente. Mariana Mazzucato era stata gia’ inserita illo tempore tra i nomi per il ministero dell’Economia dal MoVimento 5 Stelle nella fase successiva al successo elettorale e anche all’atto del “cambio di corsia” ConteUno-ConteDue. Personalità di media rilevanza nell’ampio panorama italiano degli esperti di Economia e discipline collegate, in questi anni è intervenuta spesso nel dibattito sulle scelte economiche di fondo con editoriali e commenti pubblicati specie da “Repubblica”. Scrive (dice e conferma con le sue azioni) cose semplici, logiche, concrete che da tempo sappiamo o – comunque – percepiamo, ma che difficilmente hanno trovato spazio nei salotti del potere. Ne è un esempio il pezzo scritto nel 2015 sul c.d. piano Merkel contestato dall’allora ministro dell’Economia greco Yanis Varoufakis: “Oggi in Europa i Paesi che se la passano bene non sono quelli che hanno stretto la cinghia, bensì quelli che hanno investito e investono maggiormente in tutti quei settori ed aree in grado di determinare un incremento della produttività, come formazione del capitale umano, istruzione, ricerca e sviluppo, nonché nelle banche pubbliche e nelle agenzie che favoriscono le sinergie tra settori diversi ad esempio le collaborazioni tra mondo scientifico e imprese. Il problema dell’Italia non è il deficit eccessivo ma la mancata crescita, perché da almeno venti anni non si fanno investimenti di questo genere. Ciò che è mancato all’Europa quindi non è un piano comune di tagli ma un piano comune di innovazione e di investimenti. Che è ben diverso dal litigare sul fiscal compact.” (1)
Molte, d’altra parte, sono le assonanze con quanto più volte espresso da Yanis Varoufakis, discusso ministro greco dell’Economia che propose la creazione di denaro da destinare specificamente all’attività produttiva. L’idea, semplice, era favorire una crescita trainata dalla Banca Europea degli Investimenti attraverso l’emissione di bond destinati all’investimento produttivo — con la Bce pronta ad acquistare quei bond, che avendo un rating AAA sarebbero stati molto meno rischiosi dei bond nazionali. Alla fine di un lungo braccio di ferro l’Europa ha approvato un piano importante di quantitative easing assolutamente insufficiente, secondo Varoufakis, soprattutto in vista di un progressivo rientro in grande stile sulla scena internazionale di tutta l’Europa. E sul termine “tutta” il già ministro greco si è esposto ben oltre i propri compiti. Un fil rouge riproposto, comunque, dalla dott.ssa Mazzucato, specie rispetto agli Stati forti d’Europa, ai “formiconi” che determinano l’insieme della colonia e con cui – comunque – occorre fare i conti. Il benefit avuto da Conte, dalle varie tribù originarie e nuove dei giueseppeconteschi (alcune, particolarmente influenti, capeggiate addirittura dal Presidente Mattarella) fa capire dove si ha l’intenzione di andare. In un certo senso fanno parlare la Mazzucato per non esporsi troppo…ma il messaggio è chiaro. “Purtroppo – afferma Mazzucato – sino a quando la Germania non ammetterà che le differenze tra paesi forti e paesi deboli sono dovute ai mancati investimenti strategici, finché non smetterà di proporre unicamente tagli ai bilanci nazionali, sarà difficile articolare una vera soluzione. Per quante riforme strutturali si possano architettare, l’Europa non andrà da nessuna parte se non inizierà a programmare un futuro nuovo. Un futuro nel quale sia il settore pubblico che quello privato spendono di più nelle aree che favoriscono la crescita di breve e lungo termine. Proprio come su scala nazionale la Germania fa con il suo programma energiewende, che cerca di ottenere una vera trasformazione verde basata su nuove tecnologie e nuovi modelli di consumo e distribuzione. “ (2)
E, giusto per rincarare la dose… “L’Europa dovrebbe fare come la Germania fa e non come la Germania predica ai Paesi europei in difficoltà. La «stagnazione secolare» non è affatto inevitabile, è un prodotto degli investimenti che decidiamo di fare o non fare. È ora di cambiare direzione, progettare, e creare, un progetto veramente comune” (idem 2). Come anticipato, eloquio semplice, conseguente, logico, responsabile, così come si addice ai nostri tempi…diciamo… “controversi”. Un’attenzione al cambiamento vero, quello che deriva dal lavoro “vero”, dalla politica economica forte e ben strutturata, non dalla precaria speculazione finanziaria o da rendite di posizione sempre più erose dal tempo e dai tempi. Una predilezione per le “riforme strutturali” che fanno tanto “Referendum del dicembre 2015” ma che, a ben vedere, colgono nel segno. L’imbarazzante cinguettio di piccole formazioni o di articolazioni minoritarie di partiti impegnati nella perpetuazione delle loro prebende e nella ripetizione delle poche idee che sono riusciti a produrre in questi anni, tutte abbarbicate nel “no” al referendum sull’adeguamento del numero di parlamentari alla media europea di fine marzo, ne è una conferma. L’Italia ha bisogno di riforme strutturali, ma che siano serie, ben congegnate e condivise. Non certo come forma surrettizia di legittimazione di un solo politico (uomo o donna che sia) al comando ma, semplicemente, strumenti di innovazione e valorizzazione del capitale umano nazionale. Infatti su questo tema, attualissimo anche in vista del dibattito aperto da Matteo Renzi sul “Sindaco d’Italia”, è utile ricordare cosa scrisse la nostra Mariana nel non lontano 2016 trattando di nuove richieste di flessibilità del precedente premier Renzi. “Sicuramente una battaglia corretta, quella sulla flessibilità (richiesta all’Europa) , ma bisogna capire come questo delicato strumento possa essere utilizzato. Abbassare le tasse sulle imprese o il cuneo fiscale non stimola gli investimenti: le aziende investono quando vedono opportunità di crescita, che sono trainate dalla spesa pubblica. Renzi ha fatto riforme simboliche, come il Jobs Act, ma non ha scommesso sui fattori che fanno aumentare la produttività, come capitale umano e innovazione. La riforma della pubblica amministrazione è fatta di tagli, non ragiona su come renderla più efficace e smart. Intanto la Cassa depositi, a differenza della tedesca KfW, investe per sostenere imprese in difficoltà e non su settori d’avanguardia, come le energie alternative”. (3)
Capitale umano e “innovazione” come obiettivi prioritari, con sostegni adeguati dai formiconi europei che, prima o poi , dovranno capire che, se la struttura dovrà sostenere l’impatto di tapiri famelici provenienti da oriente o bulldozer mescola-tutto a stelle e strisce, si vince tutti insieme oppure non vince nessuno.
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(1) http://www.hyperpolis.it/online/author/passini?print=print-page
(2) https://www.dirittiglobali.it/2015/03/il-futuro-delleuropa-passa-dagli-investimenti-pubblici-puntiamo-sul-piano-varoufakis/
(3) https://www.repubblica.it/economia/2016/02/22/news/mariana_mazzucato_mancano_gli_investimenti_crescita_troppo_fragile_se_londra_esce_sara_imitata_-133960692/
Bella riflessione, assolutamente condivisibile