Quando i 5stelle esplosero sulla scena politica, la sintesi – un po’ approssimativa – fu che i loro voti provenivano solo per un terzo dalla propria storia e identità. Gli altri due spicchi erano transfughi da centrodestra e centrosinistra, spinti dal disappunto per l’immobilismo dei loro partiti e dal fascino irresistibile del nuovismo. Oggi – a soli cinque anni dall’esodo – assistiamo a un ritorno a casa.
Il caso di Cancelleri fa notizia, perché appare un clamoroso voltafaccia. Ma – sul piano elettorale – il dato più rilevante è l’emorragia che Conte non riesce a fermare. Quella verso i partiti di destra era già iniziata da tempo, prima con Salvini e poi con la Meloni. Ora sta accelerando quella verso il nuovo corso del Pd di Elly Schlein. I numeri sono già significativi. E al posto del sorpasso dei grillini in rimonta preconizzato fino a pochi mesi fa, si assiste – stando ai sondaggi – a un aumento del vantaggio dei democratici.
Nell’immediato, questo rende più complicato concretizzare l’alleanza tra due partiti che sempre più chiaramente competono per lo stesso bacino di votanti. E le ripetute frenate di Conte confermano che il leader 5stelle è consapevole della difficoltà in cui si trova. In prospettiva, però, alla Schlein potrebbe convenire questo irrigidimento dei suoi potenziali alleati. Rinchiudendosi nella identità movimentista delle origini, i grillini finiscono con l’evidenziare che la partita che la Schlein vuole giocare è diversa. Che è proprio ciò che serve, in questa fase, alla nuova leader democratica. Spostarsi a sinistra su alcuni temi, ma evitare che questa scelta strategica possa essere vista come uno schiacciamento sulle posizioni di un movimento che – fino a poco fa – era, per buona parte del suo partito, un avversario.
Ancor più in ragione della frana che si sta verificando nei consensi per il Terzo Polo. Gran parte dell’appeal del duo Renzi-Calenda nei confronti dei votanti più moderati della vecchia gestione democratica si basava sulla possibilità di costruire nuove prospettive – e alleanze – puntando la barra verso il centro. Ora che questa scommessa si sta rivelando un fallimento, rispunterà la tentazione di tornare all’ovile democratico, magari turandosi il naso, pur di fare pesare il proprio voto sullo scacchiere politico. Questo ripensamento è favorito dal fatto che – con un po’ di spregiudicatezza – la Schlein si sta guardando bene dal tradurre tutti i suoi pronunciamenti in atti politici consequenziali. Come dimostra in modo lampante il caso del termovalorizzatore di Roma.
In questa come in altre situazioni, la leader Pd ha dimostrato di essere molto ben sintonizzata sul cosiddetto spirito del tempo. Dove le posizioni contano, ma molto di più conta chi le sostiene e come le gestisce. La vera differenza, ormai da diversi anni, la fa la leader, la sua personalità e la fiducia/appeal che riesce ad ispirare. Non si spiegherebbe altrimenti come il gradimento della premier resti, pur con qualche flessione, molto alto malgrado le sue principali scelte di governo abbiano poco in comune con il programma elettorale, e si posizionino piuttosto in una linea di continuità con l’esecutivo Draghi. Del quale la Meloni era stata l’unica e tenace oppositrice.
In un elettorato sempre più frammentato, disorientato, volatile, la chiave del successo di un leader non riguarda la sua coerenza e aderenza alla propria piattaforma originaria. Ma, al contrario, la capacità di tenersi le mani libere. Sfruttando le proprie doti di comunicazione e persuasione. È quello che la Schlein sta facendo, aderendo – per la prima volta a sinistra – con convinzione e determinazione al trend dominante della personalizzazione del consenso. È presto per sapere quanto Elly riuscirà a tener testa alle resistenze che, all’interno del suo partito, hanno sempre portato all’uccisione – politica – del proprio leader. Ma il guanto della sfida è lanciato. E il fatto che sia una donna è la conferma che la Storia ha ormai preso un altro corso.
di Mauro Calise
(“Il Mattino”, 24 aprile 2023)
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