Sta a 1O chilometri circa da Alessandria
appogiata sopra un colle monferrino
Breve storia di San Salvatore Monferrato
La fondazione dei Liguri
Furono i Liguri a “creare” San Salvatore, anche se non si è ancora riuscito a stabilire la tribù fondatrice. Prima dell’avvento dei romani (III sec. a.c.), i Liguri occupavano un vasto territorio che si estendeva fra il Po e il Mediterraneo e fra le Alpi Cozie e il fiume Trebbia. Le ricostruzioni storiche restringono il campo ai Liguri Stazielli (fondatori anche di Acqui e Asti) e ai Liguri Bagienni (che crearono Bassignana).
Neanche la data di fondazione è nota: nel suo libro sulla città, Pasquale Gobbi la colloca “a non meno di tremila anni da noi”.
L’età romana
I Liguri dovettero subire l’espansione di altri popoli che miravano a penetrare nel loro territorio. Etruschi, Celti e, infine, come già detto, i Romani. Nel 172 a.c. la conquista di Caristum, capoluogo degli Stazielli, fu per le tribù liguri l’inizio della loro sottomissione al giogo romano. Nel 14 a.c. l’imperatore Augusto, di conquista in conquista, giunse alle Alpi. L’Italia fu divisa in 11 regioni e in 25 tribù: San Salvatore faceva parte, così come Vardacate (Casale Monferrato) e Valentia (Valenza), della tribù Pollia, inserita nella IX regio augustea (comprendente gli attuali Piemonte meridionale e Liguria).
Secondo la tradizione, a quel tempo San Salvatore si chiamava Villa ad Vites, cioè “Città delle Viti” (chi si intende di toponomastica sa che molti nomi di villaggi e borghi hanno tratto la loro denominazione dalla vegetazione e dalle colture locali predominanti) e in seguito assunse il nome di Villaforte, a causa delle sue fortificazioni; fu poi San Siro, il primo vescovo di Pavia (vissuto nel II secolo d.c.) ad evangelizzare la nostra zona e a dare a Villaforte il nome di San Salvatore, in onore del Signore.
Arrivano i Romani
Il dominio dei Liguri venne messo irimediabilmente in discussione dalla crescita di altri popoli come gli Etruschi, i Celti e i Romani. Il 172 a.c. è l’anno decisivo: con la conquista di Caristum, capoluogo degli Stazielli, i romani sancirono la loro presenza sul territorio. Nel 14 a.c. l’imperatore Augusto, di conquista in conquista, giunse alle Alpi. L’Italia fu divisa in 11 regioni e in 25 tribù: San Salvatore faceva parte, così come Vardacate (Casale Monferrato) e Valentia (Valenza), della tribù Pollia, inserita nella IX regio augustea (comprendente gli attuali Piemonte meridionale e Liguria).
L’età medievale
Il più antico documento in cui si fa riferimento a San Salvatore, sembra essere il diploma del 7 maggio 999 con cui l’imperatore Ottone III concesse S. Salvatore alla Chiesa di Vercelli. Fra X e XI secolo le invasioni saracene interessarono anche il Piemonte, e l’abate di S.Pietro di Breme fece costruire un castello a scopo difensivo sulla cima del colle più alto (si tratta verosimilmente del colle del Campanone), presso il quale si trasferirono gli abitanti degli antichi pagi (nuclei abitativi) romani. All’interno delle mura, in posizione più sicura, fu costruita l’attuale chiesa di S. Martino, che prima sorgeva nel Pagus Gentianus, esattamente dove oggi è situata la Colonia G. Barco. Il nuovo borgo, formatosi attorno al castello e alla pieve, divenne Comune rurale, che ebbe proprie leggi codificate nel 1374. San Salvatore, “oppidum” (città fortificata) in posizione strategica in quanto confinante col Ducato di Milano, non fu mai infeudato (salvo due temporanee eccezioni) non fu cioè mai feudo donato o venduto a conti o marchesi vassalli, ma rimase sempre Terra immediata (cioè direttamente dipendente) dei Principi monferrini delle tre dinastie che si avvicendarono: dei Marchesi Aleramici (951-1305), dei Marchesi Paleologo (1306-1533), dei Duchi Gonzaga di Mantova e di Nevers (1536-1708). La Comunità era amministrata dal Podestà, mentre il Castellano svolgeva funzioni militari.
San Salvatore “Terra immediata”
Nel Medioevo, a San Salvatore fu edificato un castello a scopo difensivo sulla cima del colle più alto (si tratta verosimilmente del colle del Campanone), presso deil quale si trasferirono gli abitanti degli antichi nuclei abitativi romani. A volerlo fu l’abate di S.Pietro di Breme, per difendere la città dalle invasioni saracdene. All’interno delle mura, in posizione più sicura, fu costruita l’attuale chiesa ddi S. Martino, esattamente dove oggi è situata la Colonia G. Barco.
La città fortificata (“oppidum”) di San Salvatore non venne mai ceduta come feudo a conti o marchesi vassalli, ma rimase sempre Terra immediata (ovvero direttamente dip endente) dei Marchesi Aleramici (951-1305),
ECCO LA TORRE PALEOLOGA CHE FU ERETTA NEL 1413
DAL MARCHESE TEODORO PALEOLOGO E FACEVA PARTE DEL SISTEMA DIFENSIVDEL MARCHESATO
Passiamo ora alla chiesa parrocchiale di San Martino esterni
Interni
Opere di pregio conservate all’interno, che è a tre navate, sono gli affreschi della cupola, raffiguranti l’Elemosina di San Martino, San Martino di Tours in abito vescovile, San Ciriaco con la palma del martirio e l’Assunzione di Maria, eseguiti tra il 1889 e il 1890 da Andrea Vinai, autore pure dei quadri della Sacra Famiglia, di San Crispino e di Sant’Isidoro[2], l’altare maggiore in marmi policromi, disegnato da Giuseppe Caselli e costruito nel 1767 da Giacomo Pellagatta, le vetrate di inizio Novecento ritraenti San Martino Vescovo, San Ciriaco e il Miracolo della Madonna del Pozzo, due acquasantiere del Cinquecento, cinque tele risalenti al 1696 forse dipinte da Giacomo Paravicino e aventi come soggetti la Madonna del Suffragio, un Angelo Custode, la Morte di San Francesco Saverio, la Madonna di Caravaggio e San Luigi Gonzaga, alcune altre pale di scuola lombarda, con San Giovanni Battista, San Bartolomeo martirizzato e la Madonna del Pozzo, il Crocifisso ligneo, il gruppo con Maria e l’Angelo Custode assieme ai Santi Giuseppe, Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, realizzato da Giovanni Battista Gallo all’inizio del XVIII secolo, la pala avente come soggetto la Circoncisione di Gesù con Sant’Ignazio, risalente al termine del XVII secolo, le tre tele raffiguranti l’Intercessione di Maria e dei Santi Domenico e Francesco, San Bernardo da Mentone con le Sante Lucia, Cecilia, Apollonia e Margherita e l’Intercessione dei Santi Rocco e Sebastiano, dipinte da Guglielmo Caccia.
Quadro di Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo
SANTUARIO DELLA MADONNA DEL POZZO
Il santuario, risalente al XVIII secolo[1], fu costruito in ricordo di un’apparizione mariana avvenuta, secondo la tradizione, nel 1616[2]. La città di San Salvatore Monferrato, dall’anno Mille fino al 1700, subisce le alterne vicende di tre nobili dinastie. Nel 1533 si accende la disputa per la successione al Marchesato del Monferrato tra il Duca di Savoia, sostenuto da Francesco I re di Francia, e il Duca di Mantova, sostenuto da Carlo V re di Spagna e Imperatore. La guerra dura parecchi anni, portando ovunque morti, saccheggi e devastazioni. La popolazione inerme è quella che subisce le peggiori conseguenze e nutre perciò un viscerale odio verso gli eserciti occupanti. In questo clima matura il tentativo d’uccisione del soldato spagnolo Martino De Nava. Il 15 maggio 1616 una compagnia di soldati spagnoli muove da Valenza per raggiungere Casale Monferrato, attraverso le colline di San Salvatore. A questa compagnia appartiene il soldato Martino De Nava, particolarmente devoto alla Madonna, il quale ha con sé un rosario datogli dalla madre alla sua partenza dalla Spagna. I soldati spagnoli sono sparpagliati nella zona alla ricerca di acqua.
Martino si inoltra per una strada di campagna, in una zona detta Pelagallo, verso la collina. Raggiunge un pilone votivo sul quale è dipinta un’immagine della Madonna; vicino si trova, quasi nascosto tra il fogliame, un pozzo senza parapetto, profondo circa dieci metri. Martino si inginocchia per terminare la recita del Rosario, poi cerca di attingere acqua con il secchiello che porta con sé, ma viene aggredito da un contadino del posto, alla cui proprietà appartiene il pozzo. Martino, ferito, perde molto sangue e cade a terra svenuto. L’aggressore, per nascondere il delitto e per evitare la vendetta dei commilitoni poco distanti, getta Martino nel pozzo. Al contatto con l’acqua Martino rinviene, alza lo sguardo e scorge una bellissima Signora che regge in braccio un Bambino, mentre l’acqua cresce lentamente portandolo fino all’orlo del pozzo, senza che il suo corpo affondi. Martino è sorpreso: la Signora dal volto celestiale gli tende la mano e così pure il Bambino, aiutandolo a uscire dal pozzo e a raggiungere il vicino bivacco dei soldati. Sopraggiunge il capitano Don Giovanni Bravo De Laguna il quale, udito il fatto straordinario dallo stesso Martino, ordina di dare una ricompensa di “due doppie spagnole” alla Signora ma, quando il soldato si avvicina, la Signora “dispare agli sguardi esterrefatti degli Spagnoli”. Il vescovo del luogo, dopo un accurato esame dei fatti, con suo decreto
Giancarlo Patrucco Clemente Accornero
Testi e immagini qui riportati vengono dal libero web.
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